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Il ritorno del nucleare

Dopo anni di oblio, la nuova preoccupazione per la sicurezza energetica e la necessità di contrastare il riscaldamento globale riaprono il dibattito sull’energia nucleare. I tempi per la ricerca di tecnologie innovative sono lunghi e le riduzioni di gas serra entro il 2050 dovranno avvenire con le tecnologie di  adesso. Ma la scarsa sicurezza non sembra un motivo valido per dire no al nucleare: i rischi connessi al suo utilizzo sono ben inferiori a quelli che si registrano in altri settori produttivi e nelle attività che ci vedono abitualmente coinvolti. Da valutare, invece, la sua convenienza economica, se le quotazioni del petrolio torneranno basse.

Dopo diversi anni di oscurità, negli ultimi tempi l’energia nucleare per scopi pacifici è tornata a far parlare di sé, riaprendo ufficialmente un dibattito tradizionalmente controverso.

Perché si riparla di nucleare

La crescita stabile, ma continua, dei consumi energetici e il contemporaneo aumento dei prezzi dei combustibili fossili, unito a questioni di sicurezza dell’approvvigionamento energetico e di contenimento dei gas responsabili del riscaldamento globale, hanno spinto diversi paesi a interrogarsi sul ruolo futuro della fissione nucleare nella produzione di elettricità.
Tony Blair e George Bush, premier di due paesi che già oggi utilizzano il nucleare in modo rilevante, si sono politicamente esposti a favore di un maggiore impegno. La Finlandia, intendendo ottemperare al Protocollo di Kyoto attraverso misure domestiche, ha deciso la costruzione della sua quinta centrale nucleare. La Francia, un paese in cui l’80 per cento del fabbisogno elettrico è oggi soddisfatto dal nucleare, ha annunciato la costruzione di una grande centrale in Normandia, al cui investimento parteciperà anche la nostra Enel. È comunque nella rampante Asia che si concentrano gli sforzi maggiori: la Cina, ossessionata dalla insaziabile domanda interna, intende aumentare la propria produzione elettro-nucleare di sei volte entro il 2020, e piani simili sono condivisi da India e Corea del Sud. Il Giappone, paese che ha aderito al Protocollo di Kyoto, ha messo a punto una strategia energetica di lungo termine incentrata sulla produzione congiunta di elettricità e idrogeno via nucleare. (1)
Qual è allora il futuro di una tecnologia di grande potenziale, ma scomoda?

Un po’ di storia

Uno dei sogni dei fisici che nella primavera del 1939 scoprirono la fissione nucleare era quello di assicurare al mondo un futuro energetico illimitato, sfruttando l’enorme quantità di energia che si libera nella reazione a catena. Le idee di Enrico Fermi vennero poi tragicamente applicate alla risoluzione del conflitto mondiale, e l’energia nucleare dovette aspettare gli anni Sessanta per trovare applicazione per scopi pacifici, nella produzione di elettricità. Negli anni Settanta, dopo lo shock petrolifero e la necessità di svincolarsi dai paesi produttori, molti paesi si impegnarono in piani elettro-nucleari, aumentando considerevolmente la quota di elettricità prodotta dalla fissione, fino alla fine degli anni Ottanta (vedi Figura 1).
Da allora, però, i prezzi bassi del petrolio e del gas naturale insieme all’opposizione della percezione pubblica, particolarmente forte dopo l’incidente nella centrale nucleare di Chernobyl, hanno stabilizzato la crescita della fonte nucleare. L’incidente del 1986 nella centrale ucraina ebbe una risonanza mondiale e portò alla ribalta il problema della sicurezza del nucleare, aumentando l’opposizione a questa fonte energetica. Tanto che in Italia si arrivò alla chiusura degli impianti già esistenti, dopo un referendum tenutosi sull’onda emotiva suscitata dall’incidente.
L’esplosione di Chernobyl causò la morte diretta di trentuno persone, ma furono soprattutto le conseguenze indirette a preoccupare l’opinione pubblica. Il tema è ancora dibattuto, sebbene un recente studio di centinaia di scienziati abbia trovato un’incidenza di tumori nella zona dell’incidente di poco superiore alla media. (2) Ed è bene sapere che il carbone, attualmente la prima fonte mondiale di produzione dell’elettricità, uccide decine di migliaia di persone ogni anno, senza contare gli effetti dell’inquinamento. Ma evidentemente in questo caso la suggestione psicologica è più contenuta. Ad ogni modo, l’incidente dimostrò che era imprescindibile la necessità di avere standard di sicurezza omogenei: la centrale di Chernobyl era di una tipologia inaccettabile in qualsiasi paese occidentale.

… e di tecnologia

La grande attrattiva del nucleare è la possibilità di ottenere un’enorme quantità di energia con un piccolo volume di carburante (si pensi che 1kg di uranio 235 ha lo stesso contenuto energetico di 3 milioni di kg di carbone). La tecnologia richiesta è piuttosto sofisticata, e per questo i costi di investimento sono alti. Ma il costo finale di produzione di elettricità rimane comunque contenuto, in linea con quelli dell’elettricità a gas o carbone. (3) La disponibilità di uranio 235 è limitata, e qualora il nucleare si sviluppasse in fretta le riserve si esaurirebbero in poche decine d’anni. Ma contrariamente a quanto spesso si dice, il problema è già stato risolto con i cosiddetti reattori “veloci”, che, funzionando da fertilizzatori, possono estrarre dall’uranio naturale circa cinquanta volte in più di energia, assicurando una disponibilità di materiale fissile per diverse centinaia d’anni.
Da un punto di vista ambientale, il nucleare ha il vantaggio di emettere pochissima CO2, e questo lo rende particolarmente interessante nell’ambito della salvaguardia del pianeta dal riscaldamento globale.
Il problema più spinoso rimane comunque quello delle scorie: nonostante modeste produzioni di rifiuti e soluzioni tecniche affidabili, l’accettabilità sociale del contenimento di rifiuti radioattivi è complicata. Le quantità oggi in attesa di sistemazione definitiva sono considerevoli; si trovano per lo più all’interno del sito delle centrali, dove sono rimaste stoccate per decine d’anni in sicurezza. Programmi di ricerca e sviluppo su cicli del combustibile avanzati, col fine di ridurre i rifiuti radioattivi e i requisiti del deposito geologico di stoccaggio, stanno entrando in una fase di valutazione tecnico-economica.

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Il “clima cambia”?

L’energia nucleare è una importante opzione tecnologica nella soluzione di due temi fortemente interconnessi, e che saranno strategici per i prossimi decenni: la dipendenza energetica e il riscaldamento globale dovuto alle emissioni di gas-serra. (4)
La domanda sostenuta, le tensioni politiche e le rigidità dell’offerta hanno spinto i prezzi del petrolio fino a 70 dollari al barile, un record storico che ci riporta agli anni Settanta. Come allora, non sorprende che molti paesi si adoperino per differenziare il mix energetico e svincolarsi dai cartelli di paesi “caldi” come quelli Opec. Nonostante le incertezze sulle attuali riserve di idrocarburi, e le certezze sulle crescenti domande energetiche di giganti come Cina e India, molti analisti del petrolio si aspettano che i prezzi tornino ad assestarsi su valori decisamente più contenuti: le enormi riserve di cosiddetto petrolio non-convenzionale, ottenuto da sabbie, dovrebbero consentire un futuro ancora lungo agli idrocarburi.
Il secondo elemento che pesa a favore dell’energia nucleare è il tema dei cambiamenti climatici. Si prevede che, senza nessuna correzione (scenario “Business as Usual”) le emissioni di CO2, uno dei principali gas responsabili dell’effetto serra, trainate dalla crescita dell’economia e della popolazione dei paesi emergenti duplicheranno per metà secolo e addirittura triplicheranno entro il 2100. Per rimanere sotto l’obiettivo dei +2°C, un valore considerato dai climatologi come una soglia critica, sarà necessario un taglio sostanziale già dal 2030 (vedi Figura 2).
L’auspicato salto tecnologico per il lungo periodo, del quale la fusione nucleare rappresenta l’ambito traguardo, probabilmente avverrà, ma solo fra molti decenni. La ricerca di tecnologie energetiche innovative continua:recentemente un gruppo di paesi ha approvato la costruzione di un progetto sperimentale a fusione nucleare da 10 miliardi di euro e di durata trentennale. Ma il passaggio dalla scoperta in laboratorio, al progetto dimostrativo e poi alla realizzazione industriale e commercializzazione su larga scale richiede di norma fra cinque e sette decenni: un tempo troppo lungo nell’ottica del contenimento delle emissioni. (5)
Entro il 2050, dunque, le riduzioni di gas serra dovranno avvenire grazie alle tecnologie di cui disponiamo adesso. All’interno del comparto elettrico, le energie rinnovabili sono uno strumento interessante, ma di limitata applicabilità. L’utilizzo del carbone sequestrando la CO2 è un’altra possibile soluzione, ma di difficile accettabilità e ancora in fase di sperimentazione. Il nucleare si pone dunque come una delle poche opzioni tecnologiche presenti oggi per prevenire seriamente gli effetti del riscaldamento globale. (6)

Il riscatto del nucleare

Nonostante i diversi aspetti positivi, il nucleare come fonte di elettricità continua a godere di scarsa reputazione. La minaccia del terrorismo e le dubbie intenzioni nucleari di paesi come l’Iran, richiedono cautela e una supervisione attenta degli organismi internazionali. Ciò nonostante, la produzione di elettricità attraverso la fissione nucleare continuerà a giocare un ruolo importante negli scenari energetici dei prossimi decenni. Se infine il problema del riscaldamento globale verrà affrontato con sufficiente serietà, allora il nucleare sarà chiamato a un contributo indispensabile.
A cinquanta anni di distanza, il celebre auspicio di Dwight Eisenhower di fronte all’assemblea delle Nazioni Unite, “atoms for peace”, è ancora irrealizzato. Lo stesso Mohamed El Baradei, il direttore dell’International Atomic Energy Agency vincitore del Nobel per la pace lo scorso anno, nella cerimonia di consegna del premio, ha rinnovato l’invito del presidente americano. (7)
Sarà il riscaldamento globale a offrire al nucleare la necessaria opportunità di riscatto?

Figura 1

Fonte: World Development Indicators 2004, World Bank

Figura 2

Fonte: Fondazione Eni Enrico Mattei

 

(1) A. Mathis e Monti S., 2006 “Energia nucleare: l’opzione del futuro”, Termotecnica, in corso di pubblicazione.
(2) “Nuclear power: Little to fear but fear itself”, The Economist, 8 settembre 2005, http://www.economist.com/science/displayStory.cfm?story_id=4370135.
(3) “Projected costs of generating electricity”, IEA/NEA, 2005 update.
(4) R. Wilson, 2006, “Sustainable Nuclear Energy – Some reasons for Optimism”, International Journal of Global Energy Issues, in corso di pubblicazione.
(5) A. Grübler, 1998, “Technology and Global Change”, Cambridge Univ. Press, Cambridge.
(6) W. Sailor, Bodansky D, Braun C., Fetter S. e van der Zwaan B., 2000 “A nuclear solution to climate change ?”, Science, vol 288, no 5469, pp. 1177-1178.
(7) Mohamed El Baradei, Discorso all’assegnazione del premio Nobel per la pace 2005.

La sicurezza del nucleare

di Francesco Ramella

Prima il petrolio: da venti a sessanta dollari al barile. Poi, il gas russo che si perde un po’ per strada. Così, a quasi vent’anni dal referendum, si torna a parlare del nucleare come di una possibile soluzione alternativa per la produzione di energia elettrica nel nostro paese.

Cosa è accaduto davvero a Chernobyl

Qualche tempo fa, intervenendo a un convegno di Legambiente sulle fonti rinnovabili, Romano Prodi ha sostenuto che un ritorno al nucleare non è maturo, aggiungendo che “non si può dimenticare Chernobyl, quell’evento ci fa pensare a quanta prudenza occorre avere”. E nel programma dell’Unione si legge che “Una ripresa del programma nucleare in Italia oggi non è proponibile”.
Ma abbiamo davvero dimenticato Chernobyl? Oppure non abbiamo mai saputo cosa è successo?
Se si vanno a rileggere i titoli dei giornali di allora non si può che pensare a un’immane catastrofe: decine di migliaia o addirittura centinaia di migliaia di morti. La realtà, però, è un’altra.
Lo ha riconfermato un recente rapporto del “Chernobyl Forum” un organismo formato da otto agenzie delle Nazioni Unite, tra le quali l’Oms e la Fao e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica.
A oggi, sono attribuibili direttamente all’incidente meno di cinquanta decessi registrati quasi esclusivamente tra gli addetti che operarono nei pressi dell’impianto.
Furono infatti meno di duecento le persone che ricevettero elevate dosi di radiazione, mentre la quasi totalità della popolazione fu assoggettata a piccole dosi, confrontabili con il livello naturale.
Nel rapporto del Chernobyl Forum si stima che, nel lungo periodo, le radiazioni causate dall’incidente potrebbero causare quattromila morti. Il numero è peraltro difficilmente verificabile, affermano gli stessi ricercatori, in quanto rappresenta una percentuale inferiore all’1 per cento di tutti i decessi.
Occorre aggiungere che tale stima si basa su un’ipotesi prudenziale che non trova riscontro nella realtà ossia che qualsiasi livello di radiazioni abbia un impatto negativo sulla salute.
Una serie di dati empirici sembrano però smentire tale assunzione: per esempio, non si è registrato un incremento dei casi di cancro tra i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki che ricevettero una quantità di radiazioni fino a cento volte superiore al livello naturale. Analogamente, studi epidemiologici condotti in Iran, India, Cina, Brasile e Norvegia dove il livello di radiazione è superiore di cinquanta-cento volte rispetto a quello che interessa la maggior parte della terra, hanno mostrato come l’incidenza delle malattie e la speranza di vita media siano analoghe a quelle delle altre zone del pianeta.
È dunque verosimile che il più grave impatto negativo dell’incidente di Chernobyl sia da attribuire non alle radiazioni in sé ma, paradossalmente, alla paura delle stesse creata nella popolazione e alla evacuazione di oltre 350mila persone solo in minima parte realmente necessaria per evitare rischi sanitari. Molte fra queste persone hanno sofferto di problemi gastrointestinali ed endocrinologici non correlati alle radiazioni e hanno subito le evidenti ricadute negative conseguenti allo sconvolgimento delle relazioni famigliari e sociali.
Ancora più tragiche sono state le conseguenze che l’ingiustificato allarme ha determinato in tutta l’Europa: si stima infatti che nei mesi successivi all’incidente di Chernobyl alcune decine di migliaia di donne abbiano abortito temendo inesistenti danni ai feti a causa delle radiazioni.
Un caso analogo si era verificato qualche anno prima in Italia. A seguito dell’incidente di Seveso che, giova ricordare, non provocò vittime, vi furono trenta aborti giustificati dalla paura di possibili malformazioni, nonostante le informazioni scientifiche disponibili consentissero di escludere tale rischio come allora sostenuto dal professor Bompiani e come verificato a posteriori dall’analisi dei feti abortiti.
Non sembra quindi essere quello della scarsa sicurezza un motivo valido per dire no al nucleare: i rischi connessi all’utilizzo di tale fonte energetica sono largamente inferiori a quelli che si registrano in altri settori produttivi e nelle attività che ci vedono abitualmente coinvolti, basti pensare agli incidenti domestici o a quelli stradali.
D’altra parte, per restare alla produzione di energia, nessuno ha mai proposto la messa al bando per ragioni di sicurezza dell’energia idroelettrica benché nello scorso secolo si siano verificati in tale settore disastri di dimensioni assai più rilevanti rispetto a Chernobyl, tra i quali il crollo nel 1976 della diga sullo Yantze in Cina che provocò 200mila morti o, per restare in Italia, il crollo della diga di Gleno (209 decessi) e la tragedia del Vajont (duemila vittime).

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Le ragioni economiche

Oltre a causare paure inutili ed effetti negativi diretti, l’esagerazione dei rischi dell’energia nucleare, così come di altre attività produttive, può comportare conseguenze negative indirette. Quando si immagina di ricorrere a fonti alternative più sicure e meno inquinanti spesso ci si dimentica che il costo di produzione dell’energia risulta più elevato rispetto a quello delle fonti tradizionali. Ciò fa sì che, a parità di energia prodotta, venga a ridursi il reddito disponibile poiché il maggior costo dell’elettricità comporta un aumento nel costo di produzione dei beni.
Ma, come dimostrano numerosi studi, le persone destinano una quota del proprio reddito all’aumento della salute e della sicurezza propria e della propria famiglia. Una riduzione del reddito delle famiglie o, per esempio, l’impossibilità di destinare alla spesa sanitaria le risorse impiegate per sussidiare forme di produzione di energia più costose, può quindi comportare danni superiori ai benefici conseguiti. La prudenza, qualche volta, può essere troppa.
Il vero tallone d’Achille dell’energia nucleare potrebbe essere non la sicurezza quanto la convenienza economica, in particolare nel caso in cui il petrolio ritornasse alle quotazioni di qualche anno fa. Ma non vi è ragione perché tale forma di produzione di energia non possa competere ad armi pari con le altre, senza incentivi né sussidi pubblici, ma anche senza immotivati veti preventivi.

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11 commenti

  1. Matteo Civiero

    Premetto che credo fermamente che un progetto serio di risparmio, efficienza energetica e incentivazione delle rinnovabili sia la soluzione migliore per ridurre le oscillazioni nel mercato energetico attuale, aumentare la sicurezza e la diversificazione degli approvvigionamenti, promuovere sviluppo economico.
    Questi provvedimenti credo contribuiscano a creare una rete energetica più sicura, stabile, decentrata, democratica, trasparente e che assicura concorrenza e maggiore distribuzione delle risorse. Carbone o nucleare tendono a creare, per quanto ne so, mercato oligopolistici e grandi concentrazioni di capitali e profitti sia dal lato della produzione che da quello dell’approvvigionamento.
    Conseguentemente contesto anche il fatto che il fabbisogno energetico, in particolare quello italiano, debba per forza crescere. In un quadro più generale di efficienza negli usi finali (mezzi puliti, edifici a basso consumo o addirituttura produttori di energia, apparecchiature ad alta efficienza, ecc.) credo che la domanda energetica possa essere contenuta, o addirittura ridotta.
    Fatta questa lunga premessa vorrei sottoporre agli autori e ai partecipanti alla discussione alcuni punti, e chiedere loro conferma e valutazioni. E’ vero che:
    – negli ultimi 18 mesi il prezzo dell’uranio è quadruplicato (+300%) e che la produzione è in mano a pochi produttori, come risulta da questo rapporto http://www.evomarkets.com/assets/evobriefs/nw_1139953546.pdf
    – i soli Stati Uniti hanno prodotto circa 500.000 tonnellate di uranio impoverito dalla produzione energetica negli ultimi 50 anni, che vengono utilizzate per la produzione di armamenti?
    – 10.000 soldati sono morti e oltre 250.000 soldati americani dal 1991 al 2002 hanno contratto malattie direttamente collegabili all’uranio impoverito usato nei bombardamenti nel solo Golfo Persico? http://www.iraqlibero.at/pag/uran.htm
    Se sì, dovremmo riconsiderare il prezzo ATTUALE dell’energia atomica alla luce di questi dati?

    • La redazione

      Gentile Lettore:
      La spesa in combustibile rappresenta una quota minima sul costo totale, e quindi aumenti anche sostenuti del prezzo dell’Uranio non hanno conseguenze rilevanti sul costo finale dell’elettricità. Questa è la ragione per cui il nucleare viene considerato un’opzione per ridurre la dipendenza energetica
      dei Paesi. E’ vero però che l’Uranio è una risorsa finita, e per questo nuovi reattori -più costosi- dovranno essere impiegati una volta che le risorse di uranio si assottiglino. Per quanto riguarda l’utilizzo dell’Uranio per scopi militari, condivido le sue preoccupazioni ma credo si tratti di una questione separata.
      In ultima analisi, i costi dell’elettricità nucleare devono essere valutati nell’ottica della salvaguardia dal riscaldamento globale e della dipendenza energetica: congiunto alle rinnovabili offrirebbe un’opzione per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra fin d’ora.

  2. Maurizio Grassi

    Ho letto con interesse l’articolo in oggetto ma mi trovo in disaccordo con le conclusioni benevole che gli autori danno nei confronti di questa fonte di energia. Premetto che sono un profano della materia ma tre considerazioni a mio avviso bastano per rivolgere altrove energie intellettuali ed economiche per risolvere il problema delle emissioni di CO2 nell’atmosfera:
    – i costi ed i tempi di realizzazione di una centrale nucleare sono enormi e lunghissimi, si parla di miliardi di euro e di 10 – 15 anni come tempi di consegna. Supponiamo di impiegare gli stessi soldi e lo stesso tempo per lo sviluppo di fonti rinnovabili ed avremo lo stesso beneficio in termini di porduzione elettrica. Con una cifra di 2 mld di Euro quanti pannelli solari potrebbero essere installati su edifici di proprietà pubblica su tutto il territorio nazionale? Quale risparmio ne deriverebbe in termini di bollette pagate dall’amministrazione pubblica? Senza tener conto che i tempi di consegna di un impianto solare si contano in settimane e non in decenni. Senza considerare che i costi di manutenzione sono ridicoli rispetto ad una centrale nucleare, le emissioni sono zero e non esistono scorie;
    – il problema della sicurezza degli impianti mi sembra che sia stato sbrigativamente liquidato. E’ sufficiente una prova del nove per capire quanto non ci siano garanzie che non si ripetano eventi come Chernobyl o Three Mile Island: non esiste al mondo società assicurativa disposta a coprire il rischio di una qualsiasi centrale nucleare. E questo per citare solo la sicurezza interna dell’impianto. Che dire del caso di un eventuale attentato terroristico? Se gli aerei dell 11/9 fossero stati dirottati verso un impianto di tal genere che sarebbe successo?;
    – da ultimo il non trascurabile dettaglio che in Italia i cittadini sono contro l’investimento nel nucleare rispetto alle rinnovabili. Quindi, che piacciano o no, in democrazia le decisioni (vedi referendum) del popolo si rispettano.

    • La redazione

      Gentile Marco Grassi, grazie per i suoi commenti che ci aiutano a essere più precisi in merito ad alcune questioni tecniche che abbiamo trascurato nell’articolo per ragioni di spazio. Quattro anni è il tempo standard per la costruzione di un impianto nucleare con la tecnologia attuale (IEA, Projected Costs of Generating Electricity, 2005). La costruzione della centrale di Olkinuoto3, in Finlandia, è iniziata nel maggio del 2005 e la consegna è prevista nel 2009.
      Il costo di costruzione di una centrale nucleare è di circa 1750$/kw mentre il costo di costruzione di un impianto fotovoltaico è di circa 4000$/kw. I costi di manutenzione sono
      circa 65$/kw per il nucleare e circa 15$/kwh per il fotovoltaico. Includendo i costi di smantellamento della centrale nucleare, il costo di generazione dell’energia elettrica è circa 0,03$/kwh per il nucleare e 0,30$/kwh per il fotovoltaico. Pertanto, l’installazione di pannelli solari su tutti gli edifici della pubblica amministrazione aggraverebbe notevolmente il bilancio di gestione (anche rispetto all’attuale costo dell’elettricità, senza nucleare).
      Per quanto riguarda la sicurezza, i nuovi reattori resistono allo schianto di un aereoplano e da tempo sono a prova di fusioni del nucleo, quanto avvenuto a Cernobyl. La scelta di
      intraprendere un programma nucleare è delicata e controversa e pertanto deve essere discussa in maniera trasparente, illustrando i vantaggi e gli svantaggi di tutte le opzioni praticabili. La gravità del problema del riscaldamento globale
      sollecita, a nostro avviso, una nuova riflessione sul tema.
      EM MT

  3. Walter Maggi

    Salve, quando si considera l’opzione nucleare, credo bisogna anche considerare non solo i costi vivi (materie prime e impianti), ma anche e soprattutto il costo di stoccaggio delle scorie: vuol dire costruire impianti sicuri che durino secoli e secoli con seri rischi per l’ambiente e i nostri discendenti: dire usiamo oggi il nucleare per abbattere il gas serra senza trovare adeguato rimedio al problema delle scorie credo sia un atteggiamento del tipo “godiamoci il presente e chi se ne frega del domani”, peccato che quel domani verrà….

  4. ugo montevecchi

    hHo apprezzato il coraggio con il quale si è affrontato un tema politicamente così sensibile.
    Ciò detto, alla luce delle argomentazioni proposte e riproposte dagli antinucleari ormai da almeno 20 anni, la cui insussistenza e strumentalità mi pare palese, mi ritrovo ciclicamente ad interrogarmi sugli interessi che, più o meno consciamente, vengono difesi o addirittura promossi da chi si oppone ad una ripresa della produzione di energia dal nucleare in Italia.
    Riterrei opportuno, infine, che si approfondissero le implicazioni strategiche, in senso lato, per il nostro Paese della dipendenza quasi totale da fonti energetiche che ci vengono da aree politicamente instabili: mi sento appeso ad una qualsiasi vignetta danese!

  5. Matteo Olivieri

    L’articolo affronta con dovizia di aggiornamenti i recenti progressi della tech nucleare, e questo è senz’altro positivo in un panorama dell’informazione dove troppo spesso si ragiona sempre sugli stessi pregiudizi.
    Tuttavia considero precari i calcoli finanziari senza prevedere la quota di assicurazione dell’impianto.
    L’accettabilità sociale è già sotto zero, se non si compie un passo verso garanzie economiche non si realizzeranno mai in Italia nuovi impianti. Per quanto riguarda il resto d’Europa bisognerebbe prevedere per i nostri consumatori la possibilità di acquistare quote di energia atom free, perchè se quella centrale non è assicurata io non voglio consumare la sua energia.
    E poi se è sicuro perchè non può essere assicurato?
    Ve lo dico io.
    E’ stato un vero peccato che le intelligenze del nucleare in Italia siano state sprecate cadendo nell’oblio senza poter esprimere le loro potenzialità. Perchè forse alcune di loro ci racconterebbero cosa poteva succedere a Caorso in seguito ad alcune recenti secche del Po. E’ davvero un peccato che molti documenti , conservati in scantinati di enti pubblici, siano andati al macero.
    Quelle secche non avrebbero fornito un adeguato raffreddamento! Ma ormai è andato tutto al macero, e nessuno si è ricordato di quelle splendide intelligenze. Destini nucleari.

  6. gino

    Le scorie sono un problema tecnicamente risolvibile, ma occorre sapere che il costo è inversamente proporzionale (in modo esponenziale) all’impatto ambientale. Mi piacerebbe sapere, invece, se ci sono studi seri sul costo di bonifica delle centrali dismesse (non sono eterne).
    Il fotovoltaico non può certo sostituire le attuali fonti minerali per la produzione di energia elettrica, ma occorre tener conto delle seguenti considerazioni:
    – il costo per KVA generato è in continua diminuzione a differenza delle altri fonti(compreso il nucleare)
    – la densità di potenza è in aumento costante (diminuzione del suolo occupato), oggi mediamente 150VA/m2.
    – la materia prima è praticamente inesauribile (sabbia)
    – non ha costi di distribuzione, e lo smaltimento di un impianto esaurito è molto basso e i materiali sono riciclabili per oltre il 90%.
    Credo che il problema energetico dei prossimi decenni si risolvilbile utilizzando tutte le fonti disponibili in modo appropriato e soprattutto incentivare la ricerca nel nucleare (soprattuto fusione), nel fotovoltaico, nell’eolico, idrogeno…, ma anche per diminuire l’impatto ambientale delle fonti minerali tradizionali ed aumentare il loro remndimeto. Non va dimenticata la ricerca nelle tecniche di costruzione di edifici civili ed industriali per contenere il grande spreco di energia che attualmente si fa.

  7. Alessandro La Spada

    Trovo interessanti le argomentazioni esposte nell’articolo a supporto del nucleare, e le risposte circostanziate ai primi commenti. Tuttavia trovo che si sta prescindendo da una necessaria considerazione preliminare: gli investimenti vanno fatti, laddove possibile, su tecnologie che promettono di risolvere i problemi, non su quelle che hanno gia’ manifestato problemi enormi e che al massimo possono promettere di bilanciare enormi problemi con enormi benefici. A cio’ bisogna aggiungere il fatto che, mentre i benefici del nucleare sono noti, i problemi, gia’ rilevantissimi, sono stimati per difetto: chi puo’ dire quanto costerebbe il potenziamento delle difese militari qualora si scoprissero, ed e’ indubbio che cio’ avverra’ in futuro nell’ambito della normale ricerca militare e batteriologica, nuovi modi di attentare alla loro sicurezza?
    Una seria politica di utilizzo dei fondi pubblici deve necessariamente puntare su cio’ che risolve i problemi, non su cio’ che si limita a sostituire il problema A con il problema B.
    Questo e’, a mio avviso, la corretta razionalizzazione dei cosiddetti timori immotivati, che immotivati non lo sono affatto. Percio’ e’ giusto restare fuori dal nucleare e, sfruttando la liberta’ di posizionamento che ne deriva all’Italia, investire con forza nelle fonti rinnovabili.

  8. alberto clò

    Gli autori trascurano il principale motivo per cui dal 1978 (con prezzi oil sui 12 doll/bbl) non si costruisce una sola centrale negli USA e dal 1993 in Europa: per l’impossibilità del nucleare di reggere in un contesto concorrenziale e di mercato. E’ l’economia e non l’ambiente o l’ostilità pubblica ad avere bloccato ovunque gli investimenti. Per l’impossibilità di beneficiare delle 3 condizioni che lo sostennero: aiuti di Stato, regolazione prezzi del tipo cost-plus, monopolio produzione e vendita. Lo studio dell’MIT cui ha partecipato Joskow lo dimostra bene. In un sistema di Borsa un kwh nucleare di nuova costruzione non superebbe mai il confronto con 1 kwh da ciclo combinato! il mercato funziona per massimizzare l’efficienza, ma fallisce su obiettivi d’altro genere. Questa è la vera impasse in cui si è arenato il nucleare!

    • La redazione

      Grazie per il commento.
      Lo studio del MIT “The future of nuclear power” (reperibile al sito http://web.mit.edu/nuclearpower/) stima il costo dell’elettricità col nucleare a 6.7 c€/kWh (pag 7), collocandolo quindi al di sopra del carbone e del gas (entrambi attorno ai 4 C€/kWh).
      Questi valori non tengono però in considerazione il costo della CO2. Nella stessa pagina, gli studiosi del MIT dimostrano che per valori della CO2 pari a 100$/tC il nucleare diventa competitivo col carbone e con il gas naturale (per prezzi del gas pari a $6.7/MCF, circa il valore medio negli USA nel 2005).
      Come argomentato nel nostro articolo, la competitività del nucleare dipenderà dunque dalle politiche di contenimento dei gas serra: qualora si decidesse di ridurre drasticamente i gas responsabili del riscaldamento globale, gli alti prezzi della CO2 renderebbero vantaggiose tecnologie di produzione dell’elettricità senza emissioni di CO2 rendendo -come citato
      nello stesso studio americano- “l’opzione nucleare una importante fonte di elettricità a zero emissioni che può contribuire significativamente alla futura produzione di elettricità” (pag 3).

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