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Crescita italiana e crescita europea

Nel terzo trimestre 2006 l’economia italiana è cresciuta dell’1,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2005. Più della Francia che, dal 1995 a oggi, ha sempre registrato risultati migliori dei nostri. Tuttavia, i dati tendenziali per Germania, Regno Unito e Stati Uniti superano quelli italiani per più di un punto percentuale. La scarsa crescita di più lungo periodo non è un problema europeo, ma sostanzialmente di Italia e Germania. Che hanno ancora molto lavoro da fare per risolverlo. Dopodichè forse scopriremo che l’Europa è capace di crescere quasi come gli Stati Uniti.

Le stime preliminari sulla crescita del Pil italiano nel terzo trimestre confermano le attese, cioè che l’economia va molto meglio che nel 2005. Ma il 2005 è stato “l’anno zero”. I confronti con gli altri paesi europei e con gli Stati Uniti suggeriscono che c’è ancora molto spazio per migliorare i risultati raggiunti.

 

L’Italia e l’Europa dopo il terzo trimestre 2006

 

Come riportato nell’ultima colonna della tavola 1, nel terzo trimestre 2006, l’economia italiana è cresciuta dello 0,3 per cento rispetto al trimestre precedente e dell’1,7 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2005, il che corrisponde a una crescita “acquisita” (quella che si avrebbe a fine 2006 in presenza di crescita zero nel quarto trimestre) dell’1,5 per cento e a una previsione di crescita per il 2006 di circa l’1,7 per cento. Ma +1,7 per cento nel 2006 è un buon dato o un dato deludente?

È certamente un buon dato rispetto al periodo 2001-05, nel quale la crescita media del Pil è stata solo dello 0,6 per cento. Ma fare meglio rispetto a un periodo in cui la crescita è stata zero per tre anni (2005, 2003 e 2002) non è un buon risultato, è semplicemente obbligatorio in presenza di una congiuntura internazionale favorevole come quella attuale, in cui il Pil mondiale aumenta del 5 per cento. In passato si è fatto di più: nel 2000, con lo stesso tasso di crescita del Pil mondiale, quello italiano aumentò del doppio (+3,5 per cento). Ma si è fatto anche di meno: nel 2004 e nel 2005 il Pil mondiale cresceva ugualmente del 5 per cento circa l’anno, eppure i nostri risultati sono stati molto inferiori a quelli registrati nel 2006.

Il dato trimestrale dell’Italia è, tra l’altro, migliore di quello della Francia che, dal 1995 a oggi, è sempre cresciuta di più dell’Italia, così che il Pil francese è aumentato di 24 punti percentuali contro i 14 dell’Italia. L’economia francese si è invece fermata nel terzo trimestre (+0,0 rispetto al secondo trimestre). Ma i dati dei due trimestri precedenti (soprattutto quelli del secondo) garantiscono una crescita acquisita e una previsione di crescita per il Pil francese di circa il 2 per cento per il 2006.

Si può però fare di più. I dati tendenziali per gli Stati Uniti , il Regno Unito e la Germania sono infatti migliori di quelli dell’Italia per più di un punto percentuale. L’advance estimate della crescita del Pil per il terzo trimestre segnala che l’economia Usa è in frenata: “solo” +0,4 per cento, dopo un +0,6 per cento del secondo trimestre e uno spettacolare +1,3 per cento del primo. La cumulata di questi tassi (più il dato registrato nell’ultimo trimestre) porterà probabilmente l’economia americana a crescere un po’ più del 3 per cento nel 2006. E dunque malgrado il rallentamento ciclico, anche quest’anno farà meglio di quella dell’Europa a 25 che, come riportato da Eurostat, potrebbe crescere del 2,8 per cento nel 2006, circa un punto percentuale in più che nel 2005. Il Regno Unito prosegue la traiettoria di crescita stabilmente al di sopra del 2.5% l’anno che segue da qualche anno. Per la Germania i dati congiunturali sono buoni, ma a partire dal primo gennaio 2007, sarà attuato l’aumento di tre punti percentuali dell’IVA che porta i principali centri di ricerca ad aspettarsi un brusco rallentamento dell’economia tedesca per il 2007.

 

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Stati Uniti, Europa, Italia & Germania

 

Rimane il fatto che, negli ultimi dieci anni, cioè da quando Internet ha potenzialmente rivoluzionato la competizione globale, la crescita cumulata del Pil negli Stati Uniti è stata di 38 punti percentuali contro i 26 dell’Europa.

Questi dati hanno sollevato il dubbio che ci sia un problema continentale di scarsa crescita. Un esame delle informazioni sui paesi europei degli ultimi dieci anni porta però a concludere che il problema non è europeo, ma di pochi Stati nazionali: sostanzialmente, Italia e Germania.

Dal 1995, l’Italia è stata il fanalino di coda dell’economia europea. La crescita cumulata del Pil italiano tra il 1995 e il 2005 è stata di circa 14 punti percentuali (circa 1,3 per cento l’anno). Esattamente la stessa che si è verificata in Germania. Se si considera che i due Stati insieme rappresentano circa un terzo del Pil dell’Unione Europea a 25, ne viene fuori che gli altri paesi dell’Unione europea, nello stesso periodo di tempo, hanno sperimentato una crescita media cumulata del Pil di circa 32 punti percentuali: un dato inferiore a quello registrato per gli Stati Uniti, ma certamente tutt’altro che disprezzabile. E che non descrive un continente in crisi.

Niente eurosclerosi, dunque, ma solo due – seri – problemi nazionali. In Germania, come dicono i dati congiunturali del secondo e del terzo trimestre dell’anno, il lavoro è stato cominciato e la crescita è ripartita, anche se è troppo presto per concludere che di crescita durevole si tratta. In Italia, le misure per la crescita, che erano il cuore del Dpef, sono state invece messe un po’ in ombra nella Finanziaria. Al di là della favorevole congiuntura ciclica, in Italia e in Germania c’è ancora molto da fare per consolidare la crescita. E quando italiani e tedeschi avranno finito il lavoro, forse scopriremo che l’Europa è capace di crescere quasi come gli Stati Uniti.

 

 

(1) http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/european_economy/2006/ee506en.pdf

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Tavola 1: Crescita del Pil – Stati Uniti, Unione Europea e grandi pesi europei

Tassi di crescita, punti percentuali

 

2000-2005, cumulati

1995-2005, cumulati

2005

2006 (dato previsto)

Terzo trimestre 2006 (dato tendenziale)

 

 

 

 

 

 

USA

+12.6

+37.9

3.2

3.4

2.9

Eu-25

+9.0*

+26.0*

1.8

2.8

2.8

— Italia

+3.2

+13.5

0.0.

1.7

1.7

— Germania

+3.2

+14.0

0.9

2.4

2.8

— Francia

+7.7

+23.6

1.2

2.2

1.9

— Regno Unito

+12.2

+31.6

1.8

2.7

2.8

— Spagna

+11.7

+31.0

3.5

3.8

3.8

 

* Dato per Eu-25 non disponibile. Si riporta il dato per l’Eu-19, cioè l’Eu-15 più Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria

 

n.d. = dato non disponibile

Fonti: Oecd Productivity Database (versione del 13/10/06); Istat, comunicato stampa del 14/11/2006; Commissione europea, European Economy, Autumn Economic Forecasts, 0506

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Stabili per legge?

  1. Alessandro Sciamarelli

    Mi pare un’analisi ineccepibile. Oltretutto, il divario di crescita tra gli Usa e l’Ue nel suo insieme è osservabile soltanto negli ultimi 2 decenni. L’economia mondiale non è un gioco a somma zero (i.e. tutti stanno un po’ meglio di prima) e l’Ue15 ha conseguito un tasso di crescita soddisfacente anche nel citato periodo 2001-2005 (Italia esclusa), per cui la cosa va ridimensionata. Tale gap Usa-Ue si può spiegare, nel lungo periodo, con: a) dinamica demografica sfavorevole all’Ue; b) crescita Usa drogata da un policy-mix di tassi di interesse reali negativi e politiche fiscali “lafferiane”, con enormi squilibri (disavanzo in conto merci al 6% del Pil, tasso di risparmio delle famiglie negativo ecc.); c) un “mercato interno” Ue tale solo sulla carta, con numerosi settori dell’economia per i quali non vige la concorrenza. Non è invece vero che “lavoriamo poco”, così come altre leggende di cui si nutre un certo pensiero economico un po’ ideologico (è “colpa” dei vincoli di Maastricht, ecc.). E’utile anche confrontare i dati del Pil con quelli della produttività (per unità di lavoro), considerando il solo ciclo 2000-2005, nell’aggregato Ue15 la produttività del lavoro ha avuto una crescita media annua composta dell’1,1 rispetto al 2,0 Usa. Anche in questo caso, però, disaggregando per singoli paesi, si nota che le performance country-level variano notevolmente. La produttività francese, ad esempio, ha avuto un andamento molto buono, mentre l’Italia fa peggio di tutti (0,2 appena). In sostanza: il “declino europeo” è una nozione semplificata e abbastanza fuorviante; meglio distinguere da paese a paese ed osservare un arco di tempo più ampio. Detto questo, guardando a casa nostra, la nozione ci riguarda ben più da vicino. E’ in corso una “ripresa congiunturale” (e ci mancherebbe che, dopo 2 degli ultimi 3 anni a crescita zero, non ci fosse un rimbalzo positivo), e un 1,7 di crescita sul 2005 (anno veramente disastroso) non cambia le cose.
    A.S.

  2. Riccardo Mariani

    Per quanto le precisazioni da fare siano molte, direi che il concetto di “declino europeo” sia istruttivo e vada mantenuto.
    Certo, per “Europa” si deve intendere essenzialmente la “vecchia” Europa: Italia/Germania/Francia. Quel nucleo di Paesi che, tanto per dirne una, combatte con tutti i mezzi le politiche fiscalmente aggressive dei Paesi europei più giovani invocando il protezionismo sottoforma di “armonizzazione”.
    L’ Inghilterra la tirerei fuori per motivi storici e culturali. E’ più un rappresentante del modello opposto che non del modello europeo.
    La Spagna della cura Aznar mi sembra che debba le sue performance a motivi che non hanno molto a che vedere con il “modello europeo” a base di welfare.
    Anche nella Vecchia Europa rimane pur sempre chi perde più o meno terreno. In genere queste differenze si potrebbero spiegare anche con l’ andamento dell’ imposizione delle attività produttive. Alcuni usano o hanno usato l’ espediente di riservare aliquote di favore all’ impresa.
    In Francia (non parliamo dei paesi nordici), per esempio, la pressione fiscale sulle imprese è decisamente inferiore che non in Italia o in Germania. La produzione riesce a respirare e i capitali subiscono ancora una certa fascinazione attrattiva.
    Ma crescere la metà degli altri (ovvero degli USA) anzichè un terzo, non puo’ dare grande soddisfazione. Sopratutto se i problemi da affrontare nell’ immediato (es. disoccupazione) e in prospettiva (es. pensioni) sono doppi rispetto a quelli che devono affrontare i nostri dirimpettai.

    • La redazione

      Ci sono certamente problemi comuni ad alcuni paesi dell’Europa cosiddetta continentale. ma, come anche sottolineato nel commento, tra francia, germania
      e italia – il cuore della vecchia europa – ci sono tante differenze quante somiglianze. e poi l’europa è oggi a 25. dobbiamo rassegnarci a pensare che, specialmente con l’euro, aumenteranno le differenze anzichè diminuire.

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