Negli ultimi anni in Valle d’Aosta è mancato il contributo delle piccole e medie aziende del made in Italy, in particolare quelle legate all’abbigliamento sportivo e alla montagna, che avrebbero potuto giovarsi delle interazioni tra domanda sofisticata e capacità artigianale consolidata. Come è avvenuto dall’altro versante del Monte Bianco, dove il distretto dell’Haute Savoie conta ormai duecento imprese specializzate. Anche perché si è puntato sulle infrastrutture, sulla ricerca e sulle risorse umane. La capacità dei sistemi produttivi locali di reagire rapidamente al mutare della congiuntura e allemergere di nuove opportunità è stata a lungo uno dei tratti marcanti delleconomia italiana. In anni recenti, questa capacità si è affievolita, non solo e non tanto per il venir meno dellarma della svalutazione, quanto per la rigidità dellofferta. In particolare, sono ormai tanti a indicare nella taglia modesta delle imprese, nella bassa capacità di spesa in ricerca e sviluppo e nella debolezza degli investimenti diretti esteri tre fattori che ostacolano la ripresa. Prima e dopo le partecipazioni statali La storia industriale regionale è legata a doppio filo alle vicende della Cogne e delle partecipazioni statali. Venuta meno la dinamica del settore siderurgico, il volano della crescita sembra essere passato nelle mani di un altro settore ad alta intensità capitalistica, quello della produzione idroelettrica, che del resto soggiaceva alla scommessa della Finsider di Cogne. In un contesto che, per svariati a spesso ovvi motivi, è profondamente diverso da quello del Mezzogiorno, anche in Valle dAosta è mancato il contributo delle piccole e medie imprese del made in Italy. Le scelte dellHaute Savoie Il contrasto è particolarmente evidente con il contiguo dipartimento francese della Haute Savoie, dove il distretto della montagna è raddoppiato in sei anni e conta ormai duecento imprese specializzate. Si va da Rossignol, passata due anni fa nella mani di Quiksilver e in procinto di costruire una seconda unità di produzione per gli sci Dynastar a Sallanches, agli americani di Patagonia, che hanno recentemente trasferito dalla banlieue parigina di Boulogne-Billancourt ad Annecy la propria sede per lEuropa, o al gruppo Decathlon, la cui marca Quechua raggiunge ormai 400 milioni di fatturato e alle pendici del Monte Bianco occupa 170 persone con funzioni di design, ingegneria, modellizazione e test tecnici.
Linverno appena finito, senza neve, è un momento opportuno non solo per discutere di cambio climatico, ma anche di come questi fattori si estrinsecano nel microcosmo della più piccola regione italiana. La Valle dAosta ha sofferto negli ultimi anni come e più del resto del paese: il prodotto interno lordo è calato dello 0,7 per cento nel 2005, secondo i dati della Banca dItalia; domanda e attività produttiva nel manifatturiero continuano a manifestare una perdurante debolezza nel decennio intercensuale, la dimensione media delle unità locali è diminuita in misura più accentuata rispetto alla media nazionale.
Ci si può interrogare in particolare sui motivi della debolezza del comparto dellabbigliamento sportivo e per la montagna, dove la Valle dAosta potrebbe giovarsi delle interazioni tra domanda sofisticata e capacità artigianale consolidata. È vero che alcune imprese erano sorte negli anni Novanta, per esempio Green Sport Monte Bianco, più nota con il marchio di Napapijri, ma il boom è stato di breve durata. Acquistata nel 2003 dallamericana Vf Corporation, un colosso del casual outdoor, nel 2005 Napapijri ha delocalizzato altrove non solo la produzione, ma anche la concezione e la logistica.
Perché queste sorti così diverse? Oltralpe si è puntato sulle infrastrutture, sulla ricerca e sulle risorse umane. Il progetto Sports et Loisirs presentato da 35 soci della regione Rhône-Alpes (imprese, laboratori universitari e centri di competenza) ha ottenuto finanziamenti nel quadro dellazione di promozione dei poli di competitività. Lofferta regionale in Sciences et techniques des activités physiques et sportives comprende tre dottorati, otto master e tre scuole di ingegneria. In compenso, la Valle dAosta negli ultimi anni non sembra essere sfuggita al progressivo deterioramento della capacità di programmazione dello sviluppo economico che caratterizza il nostro paese e le sue regioni. Enti locali e investitori privati hanno puntato su edilizia e immobili residenziali, favoriti in questo dalle agevolazioni fiscali previste per le ristrutturazioni. Secondo i dati del ministero dellEconomia, citati dalla Banca dItalia, nei primi nove mesi del 2006 il numero di richieste di detrazioni Irpef è aumentato del 2,3 per cento rispetto allo stesso periodo dellanno precedente. I contenuti sono stati messi in secondo piano. Un esempio tra gli altri è la sede di Aosta del Politecnico di Torino, che non dispone di nessun laboratorio seppur remotamente connesso allinterfaccia uomo-materiali, alla biomeccanica, ai nuovi materiali, allintelligenza strategica o alla modellizzazione-simulazione su prototipo, ovvero alle competenze necessarie per far crescere un vero distretto della montagna. Luniversità della Val dAosta offre invece un master in Pedagogia interculturale e dimensione europea delleducazione.
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michele
Ho frequentato per decenni la Vallè, abitandoci saltuariarmente e credo d’essermene fatta una idea non del tutto peregrina anche leggendo con attenzione quanto di relativo appare sulla stampa d’informazione.
Penso che il problema non sia tanto quello di una deindustrializzazione (sparita la Cogne), ma quello di una sostanziale monoproduzione (il turismo mordi e fuggi, in particolare invernale) che si fonda oltretutto su posizioni di rendita (un assistenzialismo statale che, ormai ingiustificato, si fa fattore anch’esso di sviluppo distorto).
In particolare, però, non riesco a capire perchè l’autore insista – citando anche l’esempio di una regione montana francese – sulla possibilità di incentivare questo sviluppo con produzioni legate alle attività di pratica sportiva (abbigliamento, materiali per lo sci).
La gran parte delle produzioni di questo tipo non sono situate, in Italia ma anche altrove, in zone montane, a meno che siano rimaste produzioni di nicchia. I marchi più grandi sono affiliati o acquisiti da grandi società che, per svilupparsi, ne hanno oltretutto – e giustamente – ampliato gli orizzonti di consumo. Buona parte dei marchi specializzati in abbigliamento sportivo per la montagna, ad esempio, sono man mano andati aprendosi al concetto di outdoor, cioè alla produzione per il cosidetto tempo libero. Il marchio originale, spesso, diventa nient’altro che il testimonial di questa produzione allargata. Basti pensare alla produzione di scarpe e scarponi da montagna che si è progressivamente dedicata ad altre tipologie, spesso divenute assai più importanti di quella originaria.
Del resto, se si pensa su scala globale, appare ovvio che così sia, e anche incontrastabile.
Le produzioni della catena di Ddecathlon, ad esempio, sono nella quasi totalità delocalizzate nel lontano oriente (Vietnam, Thailandia). La localizzazione degli acquisti in questi comparti merceologici in Italia è situata nelle o vicino
alle aree metropolitane, negli ipermercati sportivi.
riccardo boero
Credo sia ingeneroso e poco serio paragonare il minuscolo distretto montano valdostano ai grandi spazi e agglomerazioni della Savoia, con le sue ricche attivita` agricole e zootecniche, le sue lucrose interazioni con il ricchissimo bacino finanziario di Ginevra, la sua tradizione industriale e il suo ricco mercato francese. In Val d’Aosta parliamo in fondo di una dozzina di vallate alpine che prima della follia sciistica erano piu’ che altro terra di miseria ed emigrazione.
Ma perfino la tanto decantata Savoia, come sa chi la conosce, conserva un’anima agricola e turistica, che non modificano certo 170 impiegati di Quechua presenti piu’ che altro per incassare i generosi contributi dello Stato francese alle aziende che non delocalizzano.
Cerchiamo dunque di non rovinare gli atout della Vald’Aosta, che sono piuttosto quelli di uno spazio selvaggio (vedi Parco Gran Paradiso, ValPelline) senza eguali in Europa, per fortuna ancora scarsamente popolato anche nel capoluogo.
Sono stati fatti abbastanza errori in nome dello ‘sviluppo a tutti i costi’, del denaro pubblico sparpagliato a pioggia per pagare sedi universitarie nel deserto che non saranno mai competitive con nessuno, o per arricchire pseudo imprenditori che restano fintanto che godono dei contributi statali.
La redazione
Caro dott Boero, il mio contributo voleva più che altro sollecitare una riflessione sul modello di sviluppo territoriale che si vuole per le nostre regioni montane, compresa la Vd’A che è di gran lunga la più piccola, credo che si possa fare di più che conservare il GP (e farlo bene sarebbe di per sé
già una grande conquista) e sono sicuramente d’accordo con lei che buttare alle ortiche soldi pubblici per università inutili che insegnano materie inutili non sia la strada giusta. L’Alta Savoia è diversa, ma in fondo anch’essa era 50 anni una regione povera e di emigrazione. L’esperienza francese dei poli di competitività meriterebbe a mio avviso di essere seguita con interesse, così come dall’estero osservano forme di aggregazione più “leggere” come lo Sportsystem di Montebelluna (sul quale ha scritto cose interessantissime Giancarlo Corò).
Un cordiale saluto, Andrea Goldstein
Carmelo Pace
L’attuale modello di sviluppo valdostano deve essere migliorato.
La Cogne acciai speciali e il settore turistico non sono sufficienti. Lo dico perchè il ricorso alla cassa integrazione, il fallimento delle aziende, quindi la disoccupazione sono purtroppo in costante crescita ormai da 4 anni.
La Valle d’aosta ha molte risorse che meritano di essere valorizzate.
E’ necessario diversificare e potenziare attività futuribili.