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Se la rete arriva a una muraglia cinese

La creazione di una società indipendente per la gestione della rete di distribuzione locale di telefonia fissa è un tema assai importante, portato alla ribalta dalla vicenda Telecom. Ma un modello di questo tipo potrà funzionare solo se verrà gestito in modo veramente autonomo, con un consiglio di amministrazione formato da personalità indipendenti sia dalle imprese che dal potere politico. Altrimenti la nuova struttura sarebbe solo una perdita di tempo e uno spreco soldi, a danno del consumatore finale e del futuro delle telecomunicazioni italiane.

La vicenda Telecom Italia e l’ormai imminente (ma ancora nebuloso) cambio di proprietà hanno portato alla ribalta un tema assai importante: la creazione di una società indipendente per la gestione della rete di distribuzione locale di telefonia fissa.

Il local loop

Come ricorda Michele Polo, quando si parla di rete di distribuzione locale si intende quella frazione della rete che nonostante gli enormi progressi tecnologici che hanno interessato il settore in questi ultimi anni, rimane tutt’ora, e presumibilmente per molto tempo ancora, il vero collo di bottiglia, ossia l’infrastruttura che va dalle centraline locali presenti in ogni città fino alla casa dei singoli utenti, il cosiddetto local loop.
La presenza dell’invalicabile collo di bottiglia gestito prevalentemente da Telecom Italia, ha avuto inevitabili effetti sullo sviluppo del mercato di telefonia fissa in Italia. (1) Nonostante il mercato delle telecoms italiane sia oggi di gran lunga più aperto rispetto a quanto si osserva in altri settori a rete, il grado di apertura della telefonia fissa tradizionale, ma soprattutto dell’emergente e ben più redditizio mercato dei servizi a banda larga, è ancora oggi molto limitato.

Il modello inglese

Come fare allora per superare gli ostacoli che limitano la competizione nelle telecomunicazioni italiane?
L’idea prevalente oggi è di imporre la cosiddetta uguaglianza nell’accesso alla rete di distribuzione locale. (2) Una tale soluzione, che comporta la possibilità per qualunque operatore di accedere alla rete locale a condizioni trasparenti e non discriminatorie, può avvenire, come in Gran Bretagna, realizzando la separazione operativa tra servizi al dettaglio e all’ingrosso dell’operatore dominante.
Dopo anni in cui il regolatore inglese ha cercato invano di sostenere una competizione basata sulla duplicazione delle infrastrutture di rete, Ofcom ha avuto il coraggio di ripensare la struttura regolatoria del settore e ha puntato a una service competition, ossia a una competizione sui servizi fondata sull’uso condiviso e neutrale dell’attrezzatura essenziale, appunto la rete di distribuzione locale.
Nel settembre 2005 Ofcom ha così imposto lo scorporo della rete a British Telecom, creando una divisione completamente separata a livello operativo ma non a livello proprietario, denominata Openreach: Il suo compito è vendere l’accesso all’ingrosso sia alla divisione retail di Bt, sia ai concorrenti. Openreach è operativa dal gennaio 2006, ha circa 30 mila dipendenti, fattura circa 7,5 miliardi di euro ed è dotato di circa 8 milioni di linee in banda larga e 5500 centraline, fornendo servizi indirettamente a più di 30 milioni di clienti.
Fondamentale è capire la governance di questa nuova società. Il modello inglese si basa sulla creazione di una business unit distinta e separata da Bt, con un proprio amministratore delegato (scelto da Bt) e un board di controllo (composto da cinque persone) con maggioranza di membri indipendenti, tra cui componenti della stessa Autorità o da questa nominati. La divisione presenta separatamente i propri risultati finanziari e su questi si basa per la definizione dei meccanismi di remunerazione del proprio management, che dovrebbe così essere incentivato a massimizzare la vendita dei propri servizi all’ingrosso a chiunque.
Openreach ha inoltre un proprio brand distinto da quello di Bt e strutture interne autonome; infine, sul management grava l’obbligo di lavorare in sedi diverse dal resto del gruppo, così da minimizzare eventuali forme di “scambio” anche amichevole di dati comunque sensibili. Il regolatore inglese ha quindi creato una vera e propria muraglia cinese tra la divisione al dettaglio di Bt e la divisione che offre servizi all’ingrosso il cui ruolo è essenziale per lo sviluppo in senso competitivo del mercato.
Il regolatore inglese ha deciso poi di togliere ogni vincolo sui prezzi al dettaglio per tutte le tipologie di utenza a partire dall’agosto 2006, anche a seguito della forte contrazione dei prezzi medi delle chiamate negli ultimi dieci anni (-50 per cento) e dell’avvento dei nuovi servizi broadband, tra cui soprattutto il Voip.

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E la soluzione italiana

Il modello di tipo inglese sembra quindi l’esempio più adatto da seguire anche per il mercato italiano: non una società separata e di proprietà di terzi, bensì una separazione meno traumatica che comporta la creazione di una società di proprietà dell’operatore dominante, ma gestita in modo autonomo, ossia una sorta di “società di garanzia” per tutti gli operatori di mercato. Ed è proprio su questa linea che si sta muovendo il regolatore italiano con una sua peculiarità: diversamente dal modello anglosassone che ha dato in dotazione a Openreach i soli cavi in rame del local loop, Agcom intende inserire tutte le infrastrutture di rete locale nell’Openreach italiano, quindi anche quella parte di reti di nuova generazione (si veda l’articolo di Alfonso Fuggetta al riguardo) che nel futuro prossimo dovranno essere realizzate e per le quali saranno necessari investimenti stimati tra i 6,5 e i 10 miliardi di euro.
Il processo di ristrutturazione portato avanti da Ofcom è durato ben 17 mesi, con un continuo confronto con gli operatori e con un lungo processo di analisi e dibattito all’interno di una task force opportunamente creata. Insomma, ci è voluto del tempo per arrivare a una soluzione su cui oggi Ofcom punta per aprire e liberalizzare finalmente il mercato della telefonia fissa.
In Italia Agcom sta portando avanti un percorso del tutto simile. Nel giugno 2006 (e quindi non nei giorni scorsi, come reazione “nazionalista” alle voci di possibili acquisti da parte di operatori stranieri), l’Autorità ha creato un gruppo di lavoro composto da esponenti suoi e di Telecom Italia. L’Agcom sta inoltre per lanciare una consultazione pubblica per ricevere indicazioni da tutti gli attori del mercato. Ma ci vorrà tempo per arrivare a una soluzione ragionevole e concordata, nonostante il presidente dell’Agcom abbia dichiarato di voler chiudere la partita entro quest’anno. Anche perché i poteri di intervento al momento a disposizione dellAutorità sono più limitati. Ofcom dispone infatti di poteri analoghi a quelli dell’Antitrust britannico grazie all’Enterprise Act del 2002. Pertanto, in caso di disaccordo, Ofcom avrebbe potuto imporre comunque la separazione societaria come strumento di minaccia oltre a poter deferire l’operatore dominante di fronte all’Alta corte britannica.
L’attuale normativa italiana deriva dal quadro regolatorio descritto nelle direttive nn. 19–22/2002 del 7 marzo 2002, recepite nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, il Codice delle comunicazioni elettroniche: tra i rimedi che l’Autorità può imporre, non c’è la separazione (proprietaria o operativa) in più unità dell’operatore dominate. E per rispetto del quadro regolatorio europeo ciò non può essere imposto dal governo perché, come ricordato nei giorni scorsi dallo stesso Commissario europeo Viviane Reding, un tale forma di intervento può essere decisa solo ed esclusivamente dall’Autorità di controllo dopo aver fatto le opportune verifiche di mercato e in cooperazione con la Commissione europea.
Il tema centrale comunque rimane la governance dell’”impresa Openreach” italiana: solo se verrà gestito in modo veramente autonomo, con un consiglio di amministrazione formato da personalità indipendenti sia dalle imprese che dal potere politico, un modello di questo tipo potrà funzionare. Una struttura nuova, con tutti i costi conseguenti, non realmente indipendente sarebbe solo tempo perso e soldi sprecati, a danno del consumatore finale e del futuro delle (tele)comunicazioni italiane.

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(1)
Delle circa 25 milioni di linee presenti in Italia, Telecom Italia controlla oggi circa il 90 per cento, mentre il restante è controllato dagli altri operatori sia con infrastrutture proprietarie sia per l’utilizzo dell’unbundling della rete locale.
(2) A real equality of access”, nelle parole di Ofcom, Strategic review of telecommunications, September [2005, 3].

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La parodia dei premi al merito

  1. Marco Chino

    Come ricordato da diversi articoli apparsi le scorse settimane su lavoce.info, il prossimo futuro delle telecomunicazioni si giocherà sulle NGN e sostanzialmente sul protocollo di comunicazione IP.
    Per non perdere questa opportunità il nostro paese necessita, come ricordato nell’articolo, di ingenti investimenti dell’ordine della decina di miliardi.
    Pur essendo un sostenitore del modello Openreach la questione che pongo è quella di come creare per la società di proprietà dell’operatore dominante che gestisce la rete l’incentivo a investire.
    Il modello inglese in tal senso non può darci indicazioni poiché, essendo attivo solo dal gennaio 2006, è impossibile giudicarne l’impatto avuto sull’intensità degli investimenti.
    Infine anche se ci vorrà tempo per arrivare ad una soluzione credo siano necessarie ora come non mai regole chiare e certe per tutti e prima queste arriveranno prima potremo pensare di avere effettiva trasparenza e concorrenza.

    • La redazione

      Risposta: Senza dubbio il tema sollevato e’ di primaria importanza. Che le regole debbano essere chiare e’ fuor di dubbio. Ma sul punto ricordo che AGCOM ha gia’ iniziato a lavorare al modello italiano Openreach da giugno
      2006. Che si volesse implementare una sorta di separazione funzionale (da definire nei dettagli) era cosa nota a tutti, anche alla stessa Telecom Italia.
      Tutto si giochera’ sugli investimenti: si possono inserire adeguati schemi di tariffazione per l’uso della rete che remunerino tali investimenti o che diano premi a chi investe piu’ di quanto atteso. Sara’ un lavoro complesso ma può essere fatto. D’ora in avanti le reogle devono premiare solo chi investe in nuove infrastrutture, e cio’ deve valere anche per gli operatori alternativi. Rimane da capire pero’ se questa Unita’ sarà davvero super partes o no. Se ci fossero rischi al riguardo, è meglio tenere Telecom Italia cosi’ come e’ ora, regolarla in modo ancor più stringente e lasciare il mercato operare, anche se cio’ comportasse l’uscita di operatori
      alternativi dal mercato.

      Saluti

      Carlo Cambini

  2. Federico Mini

    Telecom Italia (TI) è sulle prime pagine dei giornali per questioni di corporate governance (tutela degli interessi dei piccolo azionisti) e tutela della privacy (impedire che gli utenti vengano spiati per fini politici/spionaggio industriale).Sono problemi che affliggono non solo imprese come TI e BT. Per quanto riguarda la prima questione, Parmalat produceva succa frutti, Enron scambiava energia. Riguardo alla seconda questione, se avete un’account e-mail con Google, è solo una coicidenza che le pubblicità che appaiono quando controllate la posta parlano di pannolini e pappine se avete appena fatto ricerche “asili nido Milano”? Invece di rispondere a queste due questioni, la classe politica italiana ha “riesumato” la separazione stutturale. Si tratta di fumo negli occhi dei cittadini perche’ suddividere TI non protegge necessariamente ne l’azionista TI né l’utente TI. Come misura di politica industriale, la separazione strutturale si fonda sull’esistenza di un “collo di bottiglia”: per portare la banda larga – oggi e nel prossimo futuro – si DEVE passare per il doppino in rame. In USA, societa’ come Clearwire offrono collegamenti a 2MB via radio. In Italia, societa’ come Fastweb hanno costruito le loro reti – almeno nelle grandi citta’, colli di bottiglia rimangono nelle piccole (a Frascati?). Siamo davvero sicuri che la malattia che la medicina dovrebbe curare sara’ debellata prima/piu’ efficacemente da una combinazione di tecnologia e mercato, piuttosto che da un regolatore?Riguardo i regolatori: in UK, “grazie” alla separazione strutturale di OFCOM, i concorrenti di BT che acquistano il local loop da OpenReach pagano di più di quanto pagano i concorrenti di TI quando comprano il local loop da una rete “verticalmente integrata” (EU, 12 rapporto, 2006, figure 71 e 77). Visti i risultati, meglio la non-separazione di AGCOM – e suggerirei agli esterofili piu’ convinti di guardare altrove rispetto a Londra (imparando forse una lingua dell’Europa dell’Est).

    • La redazione

      Caro Federico, che l’esperienza inglese sia stata di esempio positivo in molte cose ma non sempre abbia portato a risultati eccelsi nessuno lo mette in dubbio. Su molte cose la nostra Autorità ha fatto meglio di quella inglese (come nel caso dell’unbundling del local loop). Il problema però rimane: l’ultimo miglio e’ un’infastruttura invalicabile; anche le nuove
      tecnolgie wireless (Wimax) non sembrano ancora permettere – almeno al momento – un suo superamento. Che fare? Telecom Italia puo’ rimanere integrata ma essere soggetta ad ancora più rigide regole (di prezzo e non)
      .. ma questo potrebbe portare all’uscita di molti concorrenti. La separazione potrebbe aiutare a livellare meglio il mercato, ma non è detto che cio’ avvenga. Personalmente, sono convinto che nel “Tavolo di lavoro” tra AGCOM e Telecom Italia si dovrebbe parlare non solo di soluzioni tecnico/giuridiche, ma si dovrebbero fare anche analisi economiche (valutando i pro e i contro) dell’impatto della soluzione Openreach, cosa non facile ma ahimé necessaria. Saluti

  3. Vittorio Carlini

    Ciò che spiace (in senso provocatoriamente positivo) è di vedere solo in siti come questo (o in alcuni rari casi sui giornali) analizzare il tema della rete in maniera seria e sensata (il solo dire che l’AgCom è da almeno primavera 2006 che affronta il tema della separazione funzionale sembrerà banale ma è un grande servizio). Al di là della validità dell’impostazione dell’articolo mi riallaccio a Chino sugli investimenti. Io credo che la separazione funzionale non sia sufficiente. Se, di riffa o di raffa, l’ex incumbent deve tirare fuori i miliardi per la Ngn è finita. Non perché non voglia (almeno non solo per quello) ma perché non remunera il capitale (ha già un Roe basso…). Di più: in Inghilterra Bt ha avviato dei mega progetti (si veda Liverpool) non solo di cablaggio della città ma, più in generale, di “rigenerazione” cittadina grazie all’It (newco partecipata con il comune; decentramento servizi comunali; telesoccorso; telemedicina…). Voglio dire: è tutto un altro mondo. Openreach funziona in quel contesto. Mi sbaglierò ma se non si va al one network (gestito magari da una pubblic company) ci si accartoccia. Lo abbiamo scritto più volte ma pare che i maitre a penser (forse più maitre e meno penser..) non ci sentano (o non vogliano sentirci).
    Vittorio Carlini
    Caporedattore Borsa&Finanza

    • La redazione

      Per prima cosa la ringrazio della risposta e dei positivi giudizi
      sull’articolo. Come gia’ risposto a Marco Chino e’ chiaro che il tema sono gli investimenti. Stante la regolazione attuale essi sarebbero remunerati al 10.2% ma se si prevedono nuovi investimenti questo valore potrebbe perché no crescere. E’ poco? Credo anch’io coem sostiene Carlini che per se l’Openreach italiano non sia sufficiente, ma AGCOM oggi ha l’occasione giusta per dare credibilita’ all’ambiente sia sulla governance dell’unità così creata sia sulla politica industriale da adottare. In Gran Bretagna il mondo è diverso è vero, ma hanno anche reti alternative (quelle della TV via cavo) in concorrenza con quella telefonica tradizionale e questo ha
      permesso fin da oggi ad avere servizi più avanzati. La public company sarebbe un’idea interessante …. ma come “invitare” Telecom a cederla? Non credo che sia disposta, la rete è assolutamente un loro asset strategico ….

  4. marco pierini

    L’assegnazione prossima ventura delle frequenze wi-max sembra, almeno potenzialmente, ridurre il bottleneck dell’essential facility del doppino in rame.
    Non ho capito cosa succederà alla costruzione dei ponti radio.
    in fin dei conti anche nel wi-max i ponti potrebbero essere costituiti da una società terza esterna al mercato dei servizi che potrebbe ridurre il digital divide allo scopo di fornire un servizio universale. Cosa ne pensa?

    • La redazione

      Credo che il Wimax sia tenuto fuori dalla storia dell’Opeanreach italiano. Saranno nuove reti, realizzate a cost piu’ basso che ciascun operatore realizzerà in concorrenza tra loro. Sicuramente permetterà la fornitura di parte del servizio universale soprattutto nelle aree rurali e a minore
      densita’ abitativa. La questioen pero’ rimane: che effetto avrà il Wimax sulla portzione di rete che e’ il vero bottleneck? Ossia l’ultimo miglio in area urbana e soprattutto metropolitana? Sembra che i primi risultati tecnici non abbiano dato l’esito sperato. Vedremo.

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