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Le sfide della Mifid

La direttiva Mifid cambierà profondamente il funzionamento dei mercati finanziari. Si passa da una “armonizzazione minima” a una “armonizzazione forte”, con una disciplina più dettagliata e prescrittiva per creare un contesto di maggiore omogeneità normativa e favorire la concorrenza e l’innovazione sui mercati. Possibilmente rispettando l’esigenza di minimizzare i costi della regolazione. I regolatori e le Autorità sono perciò chiamati a una difficile scelta per recepirne le norme e per rafforzare i controlli di vigilanza sul piano comunitario.

La direttiva Mifid (Markets in financial instruments directive) è destinata a cambiare profondamente il funzionamento dei mercati finanziari e rappresenta una grande sfida con la quale in questi giorni si stanno confrontando operatori, regolatori e Autorità di vigilanza.
D’altronde, era proprio questo l’ambizioso obiettivo del legislatore comunitario: definire un nuovo quadro regolamentare in grado di creare un vero e integrato mercato europeo dei servizi finanziari.

Problemi ancora aperti

La precedente direttiva, la 93/22/Ce, aveva sicuramente rappresentato un importante passo verso questo obiettivo, ma non era più sufficiente, sia perché ormai obsoleta rispetto alle radicali trasformazioni intervenute dopo l’introduzione della moneta unica sia, e soprattutto, perché conteneva principi di carattere generale che finivano con il lasciare troppi margini di discrezionalità ai singoli Stati membri generando così approcci diversi nella regolamentazione che frenavano la competitività sui mercati.
La scelta è stata quella di passare da una “armonizzazione minima” a una “armonizzazione forte”, con una disciplina più dettagliata e prescrittiva per creare un contesto di maggiore omogeneità normativa e favorire la concorrenza e l’innovazione sui mercati.
La direttiva interviene su molteplici aspetti, dalle regole di comportamento e di trasparenza per consentire agli investitori scelte consapevoli alla organizzazione dei mercati, alla abolizione dell’obbligo di concentrazione degli scambi, alle norme sulla best execution.
Gli articoli che pubblichiamo oggi su lavoce.info non investono tutto il campo di applicazione della direttiva, ma riguardano solo alcuni specifici temi che però aiutano a comprendere le opportunità, i rischi e anche gli interrogativi posti dalle nuove regole. E questo avviene in un momento particolare: recentemente il ministero del Tesoro ha pubblicato la bozza di decreto di recepimento, sulla quale si sta ancora discutendo; nel frattempo, però, la Commissione Europea ha, a sua volta, avviato una procedura di infrazione per il mancato rispetto dei tempi previsti dalla direttiva, anche se, va detto, siamo in buona compagnia con altri 23 Stati.
Bisogna, in sostanza, fare presto e ciò non è affatto facile proprio perché i problemi ancora aperti sono molti, e dal testo dei diversi contributi emerge chiaramente,.

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Tra regole e vigilanza

Al di là dei singoli profili, c’è però un aspetto di carattere generale che merita una riflessione. La scelta di seguire la linea della “armonizzazione forte” probabilmente potrà avere effetti benefici: la creazione di un sistema di norme meno frammentato previene arbitraggi regolamentari e consente a operatori e mercati una competizione ad armi pari facilitando i processi di consolidamento. E gli investitori, ovunque vadano, potranno usufruire di un apparato omogeneo di tutele. Non vi è dubbio, però, che questa scelta comporta elevati costi di compliance per intermediari e mercati, in un contesto dove, proprio sul piano comunitario, si stanno intensificando gli sforzi per realizzare un sistema di regole attento all’impatto economico sugli operatori e ispirato a criteri di analisi costi/benefici. Anche nella nostra legge sul risparmio e nella bozza di decreto di recepimento della direttiva predisposta dal ministero del Tesoro, si prevede che l’attività regolamentare delle Autorità deve ispirarsi al principio di proporzionalità, “inteso come criterio di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minor sacrificio degli interessi dei destinatari”, e alla “valorizzazione dell’autonomia decisionale dei soggetti abilitati”. Bisognerà, quindi, trovare un difficile equilibrio tra una disciplina molto dettagliata e l’esigenza di minimizzare i costi della regolazione. E anche per le Autorità di vigilanza sui mercati finanziari si aprono nuove prospettive. Se la direttiva stimolerà ulteriormente le attività cross border, lo sviluppo di intermediari pan-europei e l’integrazione dei mercati, c’è da chiedersi se abbia ancora un senso conservare la giurisdizione nazionale delle singole Autorità. L’attività di coordinamento tra gli Stati membri ha indubbiamente raggiunto risultati importanti, ma forse è venuto il momento di pensare a forme di più stretta integrazione anche nella organizzazione della vigilanza sul piano comunitario.

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Sommario 27 aprile 2007

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Sull’immigrazione ci vuole coerenza

  1. Giovanni Patuzzi

    L’implementazione della MiFid offre lo spunto per discutere della supervisione dei mercati finanziari in Europa. Un’Autorità europea diventerà probabilmente indispensabile, nel futuro. Già ora, però, sarebbe opportuno discutere della situazione italiana. In Francia è stata creata l’AMF, che ha sostituito le precedenti entità: in Germania la BaFin: in Inghilterra la FSA. Persino in Svizzera, nel 2008, dovrebbe essere istituità un’Autorità unica (AuFin). E in Italia? E’ evidente che il primo passo verso la creazione di un’Autorità unica a livello europeo (con competenze “federali”?) è la razionalizzazione delle Autorità nazionali, traguardo dal quale l’Italia sembra essere ben distante.

  2. Federico Parmeggiani

    Concordo con l’intervento sopra. La presenza di più autorità di controllo diventa un reale problema specie con riferimento alla vigilanza regolamentare. Non è sicuramente una soluzione efficiente avere per ogni soggetto operante nei mercati un doppia regolamentazione, che spesso include passaggi farraginosi, norme dal controverso significato, contradditorietà assortite ed una costante necessità di un raccordo tra disposizioni in via ermeneutica. Un simile scenario è tantopiù da considerarsi portatore di inefficienze se lo si rapporta ad una realtà dinamica, multiforme ed in costante evoluzione quale quella dei mercati finanziari.

  3. martino

    A volte mi sembra che in Italia le esigenze di armonizzazione siano meno sentite, e meno apprezzate, perché meno sentiti sono i rispettivi vantaggi che ne derivano in termini di operatività transnazionale. Invero, la presenza dell’industria finanziaria italiana sui mercati esteri, assai scarsa, spiega questa disattenzione a questi temi. al contrario i players stranieri premono su questra strada perchè per chi presta servizi finanziari l’Italia è un paese appetibile dato l’alto tasso di risparmio degli abitanti.
    Un’ armonizzazione forte avrà come conseguenza vera e maggiore concorrenza.

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