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Wolfowitz “graziato” dagli europei *

L’affare Wolfowitz è un esempio lampante dell’incomprensibile sudditanza verso gli Stati Uniti che molti paesi dimostrano all’interno delle organizzazioni internazionali. Primi fra tutti quelli europei. Il presidente della Banca Mondiale non è difeso da nessuno, tranne Bush. I suoi giorni sono sicuramente contati. Tra qualche settimana al massimo darà le dimissioni “per motivi personali”. Ma lasciarlo andar via a testa alta è scandaloso e appanna l’immagine della Banca Mondiale, rafforzando per giunta l’impressione di strapotere Usa.

Il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale sono forse agenti degli Stati Uniti, che cercano di imporre le idee anglo-americane al mondo intero? È un’idea diffusa, ma ben lontana dalla realtà. L’affare Wolfowitz illustra chiaramente come funzionano queste istituzioni.

Chi è Paul Wolfowitz

Per coloro che non lo sapessero, Paul Wolfowitz è il presidente della Banca Mondiale. Ha fatto una bella carriera: ex vice-ministro della Difesa di Bush, è uno dei più accesi “neocon”, termine con cui, negli Stati Uniti, vengono identificati i neo-conservatori, che hanno preso il potere con l’arrivo di Bush alla Casa Bianca. Dopo essere “brillantemente” riuscito a provocare la guerra in Iraq, ha ottenuto il suo bastone di maresciallo a capo della Banca Mondiale, a riprova della profonda gratitudine del Presidente.
Conosciuto per il suo scetticismo nei riguardi delle politiche di aiuto allo sviluppo, ha condotto, durante il suo nuovo mandato, una crociata contro la corruzione, giustamente identificata come uno dei più grossi ostacoli allo sviluppo dei paesi poveri. A un certo punto si è però scoperto che, nel momento in cui ha assunto il potere ai vertici della Banca Mondiale, aveva organizzato il trasferimento, presso un ministero americano, di una persona a lui molto vicina, appartenente al personale della Banca. Il codice etico della Banca – perché ce n’è uno – gli vieta, infatti, di avere alle proprie dipendenze, dirette o indirette, la compagna della sua vita. Dal momento che, nella sua veste di “capo”, tutto il personale della Banca dipende da lui, questo trasferimento è perfettamente giustificato. Il problema è che in tale occasione la signora in questione ha ottenuto un aumento salariale, che va ben al di là delle consuete retribuzioni dell’ente. Si è rapidamente appurato che l’aumento era stato deciso dal presidente stesso, contro il parere di tutti i suoi collaboratori.
Davvero, un bello scandalo. Il crociato della guerra alla corruzione preso con le mani nel sacco. I sindacati del personale della Banca e parecchi dirigenti hanno chiesto le sue dimissioni, dichiarando che egli aveva perso la sua autorità. Fedele alla consegna di tutti i neocon, che non ammettono mai il minimo errore, Wolfowitz si è rifiutato di darle. Ciò mette in forse il governo della Banca Mondiale. Esattamente come il Fmi, la Banca è sottoposta all’autorità di un consiglio di governatori, costituito dai ministri dell’Economia o delle finanze dei paesi membri. Il consiglio si riunisce solo una volta l’anno, e dunque delega la sua autorità a un consiglio di amministrazione, composto da 24 persone residenti a Washington.

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Europei molto prudenti

I cinque membri principali (Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Stati Uniti) dispongono di un loro amministratore personale, gli altri paesi si dividono i 19 restanti. Ogni amministratore ha diritto a un voto, proporzionale al peso politico di ogni paese-membro. Gli Stati Uniti dispongono del 16,4 per cento dei voti, gli europei ne controllano il 28,9 per cento, di cui il 4,3 per cento attribuito alla Francia. Perché tutti questi particolari? Perché il consiglio di amministrazione ha il potere di mandare via il presidente. Ma, a tutt’oggi, non l’ha fatto.
Attraverso la voce del loro Presidente in persona, gli Stati Uniti hanno fatto sapere che Wolfowitz conserva tutta la loro fiducia. Ma l’amministratore americano pesa solo per il 16,4 per cento. Si potrebbe pensare che gli altri amministratori non ne tengano conto. Si potrebbe egualmente pensare che gli amministratori europei, che si consultano regolarmente, intendano avviare un’operazione di pulizia interna. Niente di tutto questo, per il momento. Coloro che si sono assunti rischi personali pur di rendere nota la loro accusa, forse convinti che il consiglio di amministrazione avrebbe prontamente agito, devono sentirsi alquanto soli. Si sa comunque che è in corso una procedura e può darsi che gli amministratori europei attendano il momento propizio. Nell’attesa, hanno assunto un atteggiamento di prudenza, come se potessero esistere dubbi sulla conclusione della vicenda.
Come avviene sempre sia in seno al Fmi che alla Banca Mondiale, i paesi membri non si oppongono agli Stati Uniti, quando questi ultimi assumono una posizione decisa. Quasi tutte le loro decisioni, poi criticate, sono la conseguenza di questa rinuncia collettiva. Gli Stati Uniti svolgono il loro ruolo di primo azionista, ma in teoria il loro potere è limitato. Ciò che gli attribuisce un immenso potere non è il numero dei voti, ma l’incomprensibile sudditanza degli altri paesi membri, Francia ed Europa in testa.
L’affare Wolfowitz ne è l’esempio lampante. Non lo difende nessuno, tranne Bush. I suoi giorni sono sicuramente contati. Tra breve tempo, giorni o al massimo settimane, darà le dimissioni “per motivi personali”, in modo da potersene andare a testa alta. Ma lasciarlo andar via a testa alta è scandaloso e appanna l’immagine della Banca Mondiale, rafforzando per giunta l’impressione di strapotere degli Stati Uniti. Il motivo di scandalo non è Washington, ma Parigi, Berlino, Roma, Londra e tutte le capitali in cui si ritiene che non valga la pena mettersi in urto con la superpotenza per la reputazione della Banca Mondiale o del Fmi; e ciò nonostante gli innumerevoli bei discorsi che reclamano un mondo multipolare.
È comodo attaccare gli Stati Uniti sui nostri giornali e poi tacere a Washington. Lo sarebbe meno se i cittadini e i media cessassero di sbandierare contro-verità sul potere degli Stati Uniti e se chiedessero al loro ministro, nel caso della Francia a Thierry Breton, cosa viene fatto per ristabilire, ora, l’integrità della Banca Mondiale e, in altre occasioni, quella del Fmi.

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* L’articolo appare anche sul sito www.telos-eu.com. Traduzione dal francese di Daniela Crocco

Per saperne di più: Wolfowitz sping meeting

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Il consiglio (la politica paga, ma costa)

  1. Andrea Gilli

    La vicenda, come raccontata in questo articolo, e’ parziale. Chiunque abbia letto almeno i titoli di giornale sa che esistono versioni differenti, tra le quali vi sarebbe la totale estraneita’ dei fatti di Wolfowitz (versione a cui non credo, ma che va citata, almeno se si vuole avere un minimo di credibilita’).

    Cio’, chcomunque, e’ il meno. Fa infatti sorridere la crociata morale dell’autore che vorrebbe e i Paesi annullino le loro preoccupazioni in merito ai rapporti di forza internazionali, in sede Banca Mondiale, per far vincere “il bene”: scacciare Wolfowitz.

    I Paesi evitano i problemi inutili: mettersi contro gli Stati Uniti significa andare in contro ad un mare di problemi (“i forti fanno cio’ che vogliono, i deboli subiscono cio’ che devono” Tucidide), senza ottenere nulla. Se cio’ non e’ chiaro all’autore siamo davvero mal messi.

    Infine, le burocrazie funzionano male. Sempre. Non a caso chi guarda seriamente a questi temi sa che le burocrazie sono il problema non la soluzione (si veda J. Mearsheimer, “The False Promise of Internatioanl INstitution,” INternational Security, 1994). Si fa quasi fatica a stare seri a pensare che l’autore identifichi in Wolfowitz il problema.

  2. C. Marin

    Non capisco l’attacco alla buracrazia dal commentatore Andra Gili in reazione a l’articolo, mi sembra del tutto fuori tema.
    Sara vero o meno che lo scandalo é un pretesto per cacciare Wolfowitz in seguito ad altre screzie, ma non toglie peso all’argomento: una volta stabilito un consenso maggioritario uno si deve chiedere perché non seguono fatti.
    Io mi preoccupo però di più del G8 dove si sta cercando da parte della Germania, appoggiata da la GB, di concordare una posizione forte e attiva sul riscaldamento del pianetà. Gli Stati Uniti si oppongono -da soli. Il confronto é tra pure volontà politiche e secondo i giornali si teme di vedere anche lì in atto lo stesso fenomeno denunciato dall’autore dell’articolo.
    Se gli USA la spuntano com’ é probabile anche questa volta, io considerei il messaggio di quest’articolo di prima importanza e una domanda da fare a nostri governi. Non vedo in giro obbiettivi piu importanti per i quali una politica estera realista giustificherebbe di cedere agli americani durante il G8, considerando il consenso politico e scientifico unanime tranne una minorità attorno a George Bush.
    Prego anticipamente di non dirmi che una riunione dei governi rappresentando assieme con i paesi invitati 80% delle emissioni di CO2 mondiali non sia uno strumento valido per far avanzare soluzioni in merito, perche le preparano degli sherpas ovvero burocrati.

  3. Marco Bottasso

    Per prima cosa osservo che l’accusa mossa a Wolfowitz, è evidente leggendo tra le righe, è quella di aver fatto parte dell’amministrazione Bush, la questione della “raccomandazione” della sua compagna è un puro pretesto.
    Ma entriamo nello specifico.
    Primo: Shaha Riza (che, ci tengo a ricordare, non è una segretaria/amante, ma un’attivista che si occupa di diritti civili nel mondo islamico) era già in una short list di papabili per una promozione. Wolfowitz, inoltre, aveva già sollevato la questione del conflitto di interessi presso il comitato etico, PRIMA della sua nomina. Il WP riassume la vicenda in questo articolo:
    http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2007/04/21/AR2007042100961_pf.html
    Secondo: il “comitato etico” non mi sembra sia sempre stato così zelante nel perseguire le violazioni dei regolamenti della Banca. Terzo: il prof. Wyplosz propone non solo di cacciare Wolfwitz, ma anche di cacciarlo in modo eclatante (ed espiare così il tremendo peccato): immagino che l’Europa dovrebbe proporre un candidato iraniano o nord-coreano alla successione per abbattere definitivamente il pericolo americano.
    Infine non è quasi degna di commento l’assurdità del vagheggiato pericolo rappresentato dai Neo-con: uno sparuto gruppo di una intellettuali (ex) di sinistra, rooseveltiani, non particolarmente religiosi, favorevoli all’immigrazione, al welfare state e decisamente non liberisti, diventati improvvisamente un assillo per i “complottisti” di tutto il mondo.
    L’unica vera questione sul tavolo è la lotta alla corruzione e agli sprechi che il nostro ha appena iniziato e con cui si è già inimicato l’intero establishment burocratico/sindacale dell’istituto.

  4. lorenzo de ferrari

    Sl New York Times di ieri c’era la notizia che il Comitato incaricato di valutare l’operato di Wolfowitz ha espresso un parere piuttosto negativo, che dovrebbe, secondo il giornale, portare al suo allontanamento (il Comitato non ha espresso raccomandazioni in proposito). Quindi forse la sudditanza verso gli USA che l’articolo descrive, in questo caso specifico almeno, non e’ cosi’ spinta.
    Vengono in mente altre due considerazioni:
    1) bisogna decidere se la gravita’ dell’operato di Wolfowitz giustifica l’esonero e se invece puo’ essere considerato un comportamento veniale che merita solo una nota di biasimo e una sanzione economica. Per stabilire questo, credo sia giusto anche valutare la qualita’ del lavro fatto finora da Wolfowitz come governatore (che mi pare sia stata giudicata finora positiva). Tra l’altro, la difesa di Wolfowitz e’ che lui ha chiesto indicazioni al Comitato Etico su come dirimere la questione, ma non ha avuto risposte e ha dovuto decidere da solo, salvo poi essere criticato a posteriori. Per valutare l’adeguatezza della “punizione”, occorre anche capire in che misura questa difesa e’ valida, e questo e’ cio’ che quel Board dovra’ decidere.
    2) A questi livelli istituzionali, le decisioni vanno prese con la dovuta oculatezza e con “garbo” diplomatico. Se la soluzione finale sara’ quella di accettare le dimissioni di Wolfowitz, anziche’ cacciarlo con ignominia come l’articolo auspica, mi pare si tratterebbe di un normale esempio di galateo diplomatico – che puo’ piacerci o meno, ma e’ cosi’ che si usa – e non di un’inopportuna deferenza verso gli USA.
    Saluti a tutti, e complimenti alla redazione per il lavoro che state facendo.
    Lorenzo

  5. Carlo Di Franco

    Per noi italiani la questione assume sfumature diverse rispetto ai cittadini di altri paesi occidentali, qual’è l’autore dell’articolo. L’accusa rivolta a Wolfowitz corrisponde, rispetto agli stardard dell’amministrazione italiana, ad un peccato molto meno che veniale. Anche da qui il sospetto fondato che l’auspicio di soluzioni draconiane nasconda dell’altro (antiamericanismo? Rivendicazione di un ruolo autonomo francesi o europei? difesa della burocrazia o dei consulenti della WB?).
    Quest’episodio non è paradigma della nostra evidente subalternità alla superpotenza, tanto più grave in quanto nei confronti di un governo che fa dottrina dell’unilateralismo, ovvero della completa libertà di decidere ed agire senza concordarsi con gli alleati (salvo poi chiedere loro di “condividere maggiormente oneri e pericoli”) e senza sentirsi necessariamente vincolato al diritto internazionale.
    Funzionari o militari americani sono implicati in recenti casi d’illegalità ai danni di cittadini italiani e/o commessi sul nostro suolo (rapimenti ed omicidi su cui la magistratura indaga) il cui perseguimento è in dubbio o è stato già clamorosamente disatteso. Pensando alla tragedia del Cermis, trovo abnorme la completa subalternità alla superpotenza che giunge alla rinuncia consapevole (che – con mia infinita sorpresa – neppure la più becera propaganda antiamericana ha evidenziato) di quote di sovranità nazionale senza alcuna garanzia. Solo un’assoluta ovvietà: l’esonero dalla giurisdizione nazionale (nel caso di militari USA) non può significare (e storicamente non lo è mai stato) impunità ma semplice sostituzione del giudice competente a perseguire gli illeciti (che nel nostro caso diventa l’americano). L’inadeguato perseguimento del reato dovrebbe essere considerato da parte del Paese concedente la franchigia quale un grave inadempimento e provocare dure reazioni. Invece nulla è avvenuto … neanche al momento di negoziare l’ampliamento di una base militare!

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