Il gigante asiatico dai tassi di crescita del reddito pro capite del 10 per cento annuo e il paese africano dove milioni di persone cadono in miseria hanno in comune il fatto di essere regimi autocratici. Perché ottengono risultati economici così diversi? E quali lezioni possono trarne le democrazie? L’analisi delle autocrazie di successo mostra che la costruzione di un governo efficace, che lavori nell’interesse di un’ampia fascia di cittadini, richiede uno sforzo consapevole e la capacità di identificare le caratteristiche istituzionali necessarie per realizzarlo.

Uno dei più straordinari fenomeni economici degli ultimi vent’anni è la crescita e lo sviluppo della Cina comunista. Tassi di crescita del reddito pro capite di circa il 10 per cento annuo hanno portato a una delle più drastiche cadute della povertà assoluta che il mondo abbia mai visto. Ma se la Cina ha accettato molti elementi del mercato, si oppone tuttavia ad aperture alla democrazia.
Esiste anche un’altra faccia dell’autocrazia, esemplificata dalla recente esperienza dello Zimbabwe, dove un leader dispotico (Robert Mugabe) sembra soddisfatto di presiedere un caos economico, e freddamente sta a guardare mentre milioni di persone cadono in miseria. Non c’è modo di liberarsi di leader come Mugabe, che truccano le elezioni e reprimono l’opposizione per rimanere al potere: è un fallimento pubblico su vasta scala.

I risultati delle democrazie e delle autocrazie

Un semplice sguardo ai dati di crescita dei regimi democratici e autocratici mostra che le vicende di Cina e Zimbabwe esemplificano l’esperienza dello sviluppo economico delle autocrazie nel dopoguerra. I tassi di crescita economica differiscono più tra le autocrazie che tra le democrazie. Lo si vede chiaramente dalla figura 1 che mostra la distribuzione dell’andamento della crescita nelle autocrazie e nelle democrazie che sopravvivono per almeno cinque anni. Le autocrazie di successo hanno risultati migliori delle democrazie nella parte alta della distribuzione, ma hanno performance peggiori nella parte bassa.

Figura 1: Distribuzione della crescita economica tra democrazie e autocrazie

Da un punto di vista scientifico, ciò solleva una domanda: possiamo sviluppare una spiegazione sistematica del perché alcune autocrazie hanno risultati migliori di altre? È chiaro che stiamo riunendo sotto l’etichetta generica di “autocrazia” una grande varietà di regimi diversi, dalle dittature militari a quelle che un tempo erano democrazie, ma dove poi le elezioni sono state cancellate o sovvertite.
Il nostro approccio nell’affrontare la domanda si focalizza su come le istituzioni politiche costringono i leader a rendere conto della loro attività e dal buon andamento di questa fanno dipendere la loro permanenza al potere. È un vecchio tema di politica economica. Inoltre, le elezioni democratiche a cadenza regolare svolgono un ruolo centrale nel creare un feedback tra buoni risultati di governo e permanenza al potere, ed è un legame che manca nei governi autocratici.
In genere, gli autocrati fanno affidamento su gruppi particolari per rimanere al potere: può essere la struttura di una partito, l’esercito o un gruppo ristretto di alleati. In linea di principio, un’azione concertata del gruppo può deporre il leader. Seguendo uno nostro studio recente, indichiamo questo gruppo come il “selettorato” in contrapposizione con “l’elettorato” delle democrazie.

Il controllo del selettorato

In assenza di elezioni, è importante concentrarsi su quali incentivi abbia il gruppo ad appoggiare un leader che favorisce buone politiche. Come cittadini, i componenti del gruppo traggono benefici da migliori condizioni economiche. Ma allo stesso tempo è probabile che dall’alleanza con il leader ricevano qualche forma di potere. Se la deposizione del leader mette in pericolo i loro vantaggi, possono essere riluttanti a rovesciarlo. Questo ci porta a prevedere che selettorati ben saldi tenderanno a creare per i loro leader incentivi legati a una buona azione di governo e che sarebbero pronti a rimuoverlo nel caso non agisse bene. Viceversa, selettorati il cui potere dipende strettamente da un particolare leader sono propensi ad accettare cattive politiche. Ma per deporre il leader, il selettorato deve essere anche forte abbastanza da resistere a ogni tentativo di repressione: la storia della autocrazie è piena di esempi di purghe dei più vicini alleati dei dittatori e ciò non stupisce poiché è il circolo più ristretto che rappresenta la minaccia più credibile per il leader.
Il ragionamento si può allargare per spiegare perché la democrazia non è sempre capace di ottenere i risultati migliori. La effettiva capacità della democrazia di costringere i leader a render conto delle loro azioni implica che i temi salienti sui quali si combatte la campagna elettorale siano quelli che promuovono l’interesse generale. Ma è una capacità che può venire meno se sono gli interessi di una fazione, invece di quelli generali, a influenzare le elezioni. L’Iraq di oggi ne è forse un buon esempio. Nelle stesse circostanze, invece, la responsabilizzazione autocratica può essere ancora di successo, se la fazione è capace di rimanere al potere e mettere in riga i cattivi leader.

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Caratteristiche di un’autocrazia di successo

La logica del ragionamento suggerisce tre elementi che si dovrebbero osservare nella realtà.
La prima è che le autocrazie di successo sono quelle dove il selettorato può e vuole esercitare il controllo per punire le cattive politiche.
Nella Cina comunista il selettorato è composto dai circa venti membri del politburo del Partito comunista. Nel 2002 Hu Jintao è divenuto segretario generale al posto di Jiang Zemin. Si dice che Jiang abbia cercato di convincere il Politburo a confermarlo nella carica e che abbia fallito. Probabilmente, perché il selottorato temeva che le crescenti disuguaglianze di reddito della Cina governata da Jiang finissero per minare il successo dell’economia nel suo complesso.
Un altro esempio è il “miracolo” dell’economia brasiliana alla fine degli anni Sessanta-primi Settanta, sotto la dittatura militare. I membri delle forze armate, il selettorato del regime militare, sceglievano sempre come prossimo presidente la persona dietro la quale l’esercito poteva essere unito. Nel 1967 il vecchio presidente cercò di impedire al nuovo di assumere la presidenza: uno dei motivi dietro la lotta di successione era il fatto che le forze armate erano scontente della politica economica del presidente in carica. E infatti l’economia brasiliana decollò sotto la guida economica del nuovo presidente.
In secondo luogo, se il nostro ragionamento sulle autocrazie di successo è corretto, dovremmo osservare che le autocrazie con crescita alta cambiano la propria leadership più di frequente di quelle a bassa crescita. E infatti è così: la probabilità di un cambio di leadership in un dato anno è del 13 per cento per le autocrazie con forte crescita e del 7 per cento per quelle a crescita debole.
Infine, possiamo sfruttare gli “esperimenti naturali” – la morte “in servizio” di un leader – per vedere cosa accade dopo. Dovremmo trovare che le autocrazie di successo sono quelle nelle quali tali morti inaspettate non minano il potere del selettorato, mentre le autocrazie dagli scarsi risultati dovrebbero sperimentare un cambio nella élite di governo.
L’infermità del dittatore portoghese Oliveira Salazar nel 1968 ci fornisce uno di questi esperimenti. Sotto Salazar il Portogallo aveva conosciuto una rapida espansione economica. Il dittatore che gli succedette, Marcello Caetano, fu nominato dai militari e dai loro alleati civili che avevano sostenuto Salazar. Caetano riuscì a rimanere al potere fino al 1974 senza rallentare il tasso di crescita economica. Una stabilità di regime del tutto simile si è vista nel 1963 dopo la morte di un dittatore militare tailandese, Sarit Thanarat, sotto la cui guida l’economia della Tailandia era decollata.
Viceversa, nel 1984 la morte di Ahmed Sekou Toure, un dittatore civile della Guinea nell’Africa occidentale, fu immediatamente seguita da un colpo di stato militare che fece crollare il regime. L’economia della Guinea aveva subito un declino sotto il governo di Sekou Toure, ma apparentemente il selettorato temeva che un rovesciamento del leader avrebbe comportato una perdita di potere per tutto il gruppo. Probabilmente, il seletttorato dello Zimbabwe di oggi condivide lo stesso timore.

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Insegnamenti per il buon governo

Lo scopo di questa ricerca non è fornire argomenti a favore dell’autocrazia. Ci sono però alcune lezioni da imparare per rendere migliori i governi in un contesto più ampio. Prendiamo ad esempio il caso recente del Regno Unito, dove Gordon Brown ha sostituito Tony Blair senza passare per le elezioni. In questo caso, il selettorato era rappresentato dal Labour party al governo e l’incentivo che lo guidava era quello di scegliere il miglior leader disponibile: la scelta è caduta su Gordon Brown sulla base dei risultati che questi ha ottenuto finora.
Ciò ci ricorda che anche in una democrazia matura, la responsabilità politica si può trovare in molti posti, e non solo nelle elezioni. A tempo debito, ci saranno ovviamente elezioni nel Regno Unito, nelle quali il primo ministro dovrà guadagnarsi un nuovo mandato. Tuttavia, il ruolo dei partiti nella selezione della leadership è un’importante forza che contribuisce al mantenimento dell’accountability, ed è una caratteristica dei sistemi parlamentari. La nostra analisi delle autocrazie di successo dimostra che, in assenza di elezioni aperte, la accountability riconosciuta dal gruppo di riferimento diventa ancora più importante. È anche una sfida nelle democrazie a partito unico, come l’attuale Sudafrica.
La lezione delle autocrazie di successo è che il sostegno a un buon governo effettivamente responsabile delle politiche che adotta, richiede accorgimenti adeguati al compito e alla situazione del paese interessato. La costruzione di un governo efficace che lavori nell’interesse di un’ampia fascia di cittadini, richiede uno sforzo consapevole e la capacità di identificare le caratteristiche istituzionali necessarie per realizzarlo.

* Testo inglese e integrale dell’articolo è disponibile su www.VoxEu.com

** Questo contributo si basa su un lavoro degli stessi autori “Making Autocracy Work”, Cepr Discussion Paper No. 6371 disponibile all’indirizzo http://www.cepr.org/pubs/new-dps/dplist.asp?dpno=6371

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