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SANITA’

Il provvedimento cardine del governo Prodi è il Patto per la salute. Inserito nella finanziaria 2007, il Patto ha il merito di aver dato finanziariamente corpo ad un meccanismo di controllo della spesa sanitaria basato sulla certezza di risorse su un piano triennale, per responsabilizzare le Regioni in cambio di un sistema di controlli più serrati. In particolare, per le Regioni coinvolte dai piani di rientro, il Patto vede un penetrante controllo del governo su tutti gli atti di indirizzo e spesa.
Il Patto per la salute è divenuto, in tal modo, la piattaforma che ha permesso di realizzare un dialogo costante tra Governo e Regioni, anche attraverso positive prassi da Titolo V: gli incontri tra Ministro della salute e assessori regionali (e rispettivi tecnici) hanno tracciato un nuovo profilo di governo del settore, che ha portato al completamento dell’istruttoria il nuovo decreto sui LEA, cui manca la sola formalizzazione per acquisire efficacia.
Sul piano dei dossier normativi vanno segnalati la norma sull’intramoenia dell’agosto 2007, che pone sotto il controllo delle aziende sanitarie la libera attività intramuraria dei medici, consentendo maggiore certezza sui tempi per realizzare i luoghi dove effettuarla, sulla sua rendicontazione e quindi sull’equilibrio tra questa attività e quella istituzionale dei medici.

QUANDO SI VEDRANNO GLI EFFETTI

In forza del Patto per la salute l’andamento della spesa sanitaria pubblica nel 2007 è stata tenuta sotto controllo e nei prossimi anni si stabilizzerà intorno al 6,8% del Pil. Si è quindi mantenuto e rafforzato il processo già iniziato al termine della XIV legislatura. In più, il Patto ha messo al riparo le Regioni in grave deficit (il Lazio su tutte) dal rischio di un vero collasso finanziario, mentre il 2008 sarà ancora un anno cruciale per assistere queste Regioni, verificando il perseguimento effettivo dei target definiti nei Piani di rientro, in assenza del quale dovrebbe scattare l’ipotesi del Commissariamento.

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OCCASIONI MANCATE

La principale occasione mancata è legata all’individuazione di un assetto di governance del sistema che risponda a una domanda in questo momento incandescente: con quale modello di azienda gestire la sanità pubblica e, in base ad essa, come equilibrare i rapporti tra questo piano gestionale e la sfera politica?
Il Ministro Turco ha presentato un Ddl collegato alla finanziaria 2008 in cui affronta molti di questi punti – dal sistema di nomine di direttori generali e primari, al riordino della sanità territoriale e dei medici di base, al lancio di un sistema di valutazione nazionale – con proposte aperte ad una discussione in Parlamento e al confronto con le Regioni (fortemente ostili alle modifiche sui sistemi di nomina). Questo stesso Ddl, inoltre, delinea interventi in materia di sicurezza delle cure, tema che a seguito dei gravi casi di “malasanità” verificatisi nel 2007 si è posto come urgenza nell’agenda delle politiche sanitarie. La chiusura anticipata della legislatura pone un’ipoteca quasi definitiva sul cammino di questo testo.
Altro fronte sul quale il Governo è stato impegnato, senza aver tradotto la propria azione in provvedimenti compiuti, è il riordino dei sistemi di compartecipazione dei cittadini alle spese sanitarie. Un argomento importante quello dei ticket che è stato affrontato con atteggiamenti contraddittori: introdotti con la finanziaria 2007, attenuati in corso d’anno, eliminati con la finanziaria 2008, per ora in assenza di una strategia chiara sul ricorso a questo strumento.
Ancora solo avviata, invece, l’opera di rilancio del comparto della sanità integrativa, con una norma approvata nella finanziaria 2008. Questa iniziativa, che potrebbe costituire una innovazione di grande portata per creare valore dalla grande spesa sanitaria privata (circa 25 miliardi di euro l’anno) richiederà provvedimenti attuativi da emanare entro la fine di febbraio.

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  1. Aureo Muzzi

    Vanno distinti gli interventi tra regioni virtuose e carenti, se non talora “colpevoli”. Bene il quasi reale controllo centrale della spesa (un passo indietro del federalismo). Manca però una responsabilizzazione dei medici nel controllo della spesa e nella qualità della vita. I risultati ottenuti solamente in una parte delle regioni, sono dovuti spesso ad azioni degli assessorati e dei direttori generali di tipo top-down, destinati ad esaurirsi come effetti nel corso del tempo. Non viene posto un limite all’intervento medico e sociale, che predispone a incertezze interpretative sul confine tra accanimento terapeutico e la dignitosa morte. L’aumento vertiginoso della spesa è progressivo negli ultimi mesi di vita, spesso ininfluente sulla qualità della vita e speranze di miglioramento clinico.

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