Un’indagine su più di duecento grandi aziende manifatturiere e di servizi italiane mostra che per circa il 70 per cento, gli investimenti in Ict hanno permesso una riduzione dei costi amministrativi. Decisamente inferiori, invece, le percentuali di imprese che hanno ottenuto ritorni nello sviluppo prodotto o nella gestione delle relazioni con i clienti. Spesso per l’incapacità di apportare i necessari cambiamenti organizzativi, con la modifica dei processi decisionali e maggiore attenzione al capitale umano. Difficile dunque un effetto sulla produttività.
Nel dibattito sulle dinamiche di produttività del nostro paese, le Information and Communication Technologies (Ict) vengono spesso chiamate in causa come grandi assenti a cui imputare parte delle responsabilità per il gap competitivo italiano. Diversi confronti internazionali evidenziano infatti un ritardo delle imprese nelladozione delle Ict, mettendo in luce un uso di tali tecnologie inferiore alle potenzialità consentite dallinfrastruttura disponibile. (1)
LINDAGINE
Attraverso unindagine compiuta su 215 grandi aziende manifatturiere e di servizi, abbiamo provato a comprendere se le Ict possono consentire al nostro tessuto industriale di colmare il divario competitivo entro pochi anni. (2) Ne è uscito un quadro che evidenzia come a monte del ritardo di adozione vi sia la struttura del tessuto industriale italiano, e solo in parte un problema congiunturale dovuto al recente andamento negativo del ciclo economico.
Nelleconomia italiana, oltre alla prevalenza di piccole e medie imprese, spesso prive di adeguate capacità di spesa e di gestione nellambito delle Ict, hanno infatti un forte peso settori poco adatti a sfruttare i benefici potenzialmente garantiti da tali tecnologie. Non a caso, la nostra indagine (figura 1) rivela tassi di adozione inferiori nei comparti non hi-tech del manifatturiero e nei settori dei servizi materiali (per esempio: turismo, distribuzione, trasporti, costruzioni).
È difficile che a breve lItalia grazie alle Ict recuperi il divario di produttività accumulato ed eviti il formarsi di un divide fra le sue imprese. E non solo per i limiti del tessuto industriale.
Figura 1: Tassi di adozione di alcune Ict nelle grandi imprese italiane (dati relativi allinizio 2005 )
Fonte: Politecnico di Torino SDA Bocconi Progetto BIT
LINCAPACITÀ DI GESTIRE LE ICT COME UNA RISORSA STRATEGICA
Anche nei settori dove le Ict potrebbero avere un forte impatto sulla produttività, le imprese non riescono a sfruttarne a pieno il potenziale. Mentre in circa il 70 per cento del campione analizzato (con alcuni scostamenti a seconda del settore), gli investimenti effettuati tra 2000 e 2004 hanno permesso una riduzione dei costi amministrativi e di connettività, sono decisamente inferiori le percentuali di imprese che hanno ottenuto ritorni in aree più strategiche, come lo sviluppo prodotto, la gestione delle relazioni con i clienti e con la filiera produttiva (figura 2). Unica eccezione sono le imprese dei servizi informativi, nellindagine rappresentate in prevalenza da banche e imprese di assicurazione, storicamente i primi settori a essere oggetto di cambiamenti pervasivi per via delle Ict. Nei settori non hi-tech del manifatturiero i ritorni sono stati invece in generale meno visibili.
Figura 2: I ritorni percepiti dalle imprese relativamente agli investimenti in ICT effettuati tra 2000 e 2004
Secondo la nostra indagine, questa incapacità di ottenere ritorni strategici è stata spesso dovuta a:
1. un inadeguato sostegno agli investimenti nelle Ict da parte del vertice aziendale, che le ha spesso considerate come allorigine di un costo da contenere;
2. la difficoltà di chi in azienda si occupa della implementazione dei sistemi informativi ad avere una chiara visione delle esigenze di business che tali tecnologie devono supportare, fattore spesso allorigine di investimenti poco allineati con la strategia aziendale.
LINCAPACITÀ DI PORTARE AVANTI CAMBIAMENTI NEI MODELLI ORGANIZZATIVI
Per essere impiegate in modo efficace tali tecnologie necessitano inoltre di approcci alla gestione di persone e processi assenti nella prevalenza delle nostre aziende. Alla base di questo fenomeno vi è stata, spesso, lincapacità o la non volontà delle imprese di accompagnare gli investimenti in Ict con cambiamenti organizzativi che richiedevano una modifica dei processi decisionali e forti investimenti in capitale umano.
Alcuni modelli a equazioni strutturali stimati attraverso lindagine evidenziano infatti che a contraddistinguere le imprese che negli ultimi anni hanno investito di più in Ict, ottenendone migliori risultati, sia stato proprio il capitale organizzativo incorporato in alcune caratteristiche aziendali che rivelano un modello organizzativo adeguato allattuale contesto tecnologico e competitivo.
Tali elementi distintivi sono così sintetizzabili: limportanza attribuita agli investimenti in capitale umano, unorganizzazione poco burocratica, labitudine dei dipendenti a condividere conoscenza, ladozione di incentivi basati sulle performance individuali e di gruppo, lincoraggiamento dellimprenditorialità diffusa, la presenza di team interfunzionali di lavoro. Non è un caso che meno frequentemente le imprese manifatturiere non hi-tech riscontrino tali caratteristiche, così come adeguate capacità di gestione degli investimenti in Ict (figura 3). Dove queste caratteristiche sono invece più radicate, le aziende hanno ottenuto benefici in aree strategiche come lo sviluppo prodotto (grazie a un più facile coordinamento con fornitori e clienti e a minori time-to-market) e la gestione della relazione con il cliente (grazie a una migliore conoscenza dei suoi comportamenti di acquisto).
La maggior parte delle imprese che ha ottenuto tali ritorni godeva inoltre di una posizione di vantaggio competitivo già prima di investire nelle tecnologie introdotte sul mercato negli ultimi anni. Grazie al loro migliore capitale organizzativo, sono quindi riuscite a rafforzare ulteriormente il loro vantaggio tramite le tecnologie informatiche introdotte negli ultimi anni. (3)
Figura 3: Il capitale organizzativo e le capacità di gestione degli investimenti in Ict presenti nelle 4 aggregazioni di settori considerate
* p-value inferiore al 5%.
Nota metodologica: la misurazione di ciascuna delle due variabili deriva dalla misura su scale Likert a 5 livelli di 7 variabili, aggregate insieme dopo un’analisi fattoriale esplorativa e un’analisi di affidabilità tramite alpha di Cronbach. I valori riportati in figura sono stati ri-normalizzati su scala 1-5.
Linsieme di questi risultati ci induce a ipotizzare che finché perdurerà la mancanza di un adeguato capitale organizzativo e di manager con le competenze per gestire il cambiamento permesso dalle Ict, sarà improbabile vedere un loro effetto sulla produttività italiana.
Riteniamo inoltre che sarà sempre più accentuato il rischio di un divario di competitività tra settori che investono in Ict e comparti industriali poco permeabili a tali fenomeni. Questo per via di meccanismi di isolamento che nei settori in ritardo di adozione non agevolano le imprese nel colmare velocemente questo gap; il cambiamento indotto dalle Ict è infatti complesso da gestire e ambiguo (alcuni fattori che ne determinano il successo faticano a essere riprodotti in molte aziende vista lambiguità attorno ai loro veri elementi caratterizzanti), e laver investito prima delle altre imprese in alcune tecnologie permette di mantenere un vantaggio verso i concorrenti, grazie alla possibilità di sfruttare prima di questi le potenzialità offerte da nuove tecnologie emergenti.
(1) Si vedano le analisi sugli indici di e-readiness effettuate dalla Economist Intelligence Unit http://www.eiu.com.
(2) Il progetto è stato condotto insieme ad Andreina Mandelli e Alfredo Biffi della Sda Bocconi e a Uday Karmarkar della Anderson School of Management alla Ucla.
(3) Per tutti i dettagli sui risultati ottenuti in questa analisi si consulti Neirotti, P., Cantamessa, M., Paolucci E. Do Companies with a Competitive Advantage Make Better Use of IT? Evidence from Italian Enterprises, di prossima pubblicazione su International Journal of Technology Management. In attesa della sua pubblicazione, una versione preliminare dellarticolo è disponibile facendone richiesta agli autori.
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Alfonso Fuggetta
Nell’articolo si parla dell’impatto dell’ICT sui processi aziendali. Ma questo è solo un aspetto e forse il meno strategico. In realtà oggi il vero snodo strategico è nella creazione di nuovi prodotti e servizi che valorizzino l’ICT per aumentare il valore dell’offerta. Per esempio, un elettrodomestico o un macchina per perforazioni petrolifere o una tuta delle Dainese (quelle di Rossi, per interderci) inglobano componenti ICT molto sofisticate che permettono nuovi livelli di funzionalità (ho fatto esempi che si riferiscono ad aziende italiane leader a livello mondiale nel loro settore). È su questo fronte che si gioca la sfida per rinnovare l’offerta delle imprese italiane ed è qui la vera leva strategica nell’uso dell’ICT. Altrimenti continueremo a vedere l’ICT solo come uno strumento per ottimizzare i costi e non, per usare un’espressione riportata qualche tempo fa da McKinsey Quarterly, per "cambiare le regole del gioco".
luigi zoppoli
Molto interessante e chiaro l’articolo. Diventa difficile capire se la necessaria rincorsa alla competitività del nostro sistema sia rallentata più per la piccola dimensione media delle aziende o dai limiti culturali dei gestori che troppo spesso si identificano con i titolari. La bassa incidenza di aziende operanti in settori innovativi ad alto contenuto tecnologica fa il resto. Ciò che è certo è che l’eccessiva "prudenza" nell’investimento in capitale umano ritenuto viceversa costo è l’elemento ulteriore ce funge da moltiplicatore negativo ai fini della crescita sia dimensionale che culturale delle aziende. Proprio come opportunamente evdenziato nel’articolo. Luigi Zoppoli
claudio mordà
Il tema proposto è collegato alla capacità delle aziende di determinare un sufficiente livello di confidenza nella ragionevolezza della spesa ICT, ovvero nella capacità di questo fattore produttivo di incidere sui risultati finali. Il riferimento a settori di impresa strutturalmente incompatibili con le ICT non mi è chiaro. La cultura organizzativa è dirimente rispetto alle ICT e non solo e può essere premessa per il superamento del limite da voi denunciato di inadeguatezza strutturale. Ancora oggi nelle aziende non è del tutto evidente che ladozione di un sistema informativo sussume di fatto quella di un modello organizzativo. Da un lato lICT è di fatto quasi una commodity e quindi è abbastanza naturale che il risultato atteso sia prevalentemente una riduzione dei costi unitari, dallaltro si sottovaluta il fatto che il vantaggio competitivo, lunicum che caratterizza limpresa è proprio il modo in cui è capace di organizzare e finalizzare le proprie risorse, non il fatto in sé di possederle, specie quella ICT. Se ciò è vero, allora linvestimento in ICT diventa conseguenza e non premessa dello sviluppo, un catalizzatore che funziona solo in presenza di reagenti adatti.
Pilade Franceschi
Penso che l’articolo abbia centrato un punto importante: le ICT funzionano nella misura in cui si adotta una struttura che permetta loro di funzionare. Non è solo questione di spendere di più nelle ICT, ma nel saperle utilizzare appieno. L’informatica dovrebbe essere una “risorsa culturale” che pervade anche altri aspetti aziendali (come l’organizzazione) e non rimanga semplicemente all’interno di un sofware
Alessandro La Spada
La mia impressione è che lo scarso interesse verso l’ict, vissuto come costo dal management e come difficoltà dagli utenti aziendali, sia direttamente collegato al regime del lavoro dipendente, ultraprotetto e privo di reali incentivi alla crescita professionale. Se l’organizzazione risulta ‘seduta’, innovare diventa impresa titanica e si sa che la finestra temporale di un manager alla guida di un’organizzazione è spesso breve. Bisogna portare risultati subito, guardare al lungo periodo è, per come funziona l’economia oggi, eroico. In questa situazione la voglia di crescere economicamente dei livelli bassi, e quella di mettersi in luce dei quadri intermedi, potrebbero fare da sponda ai manager intraprendenti e trovare un terreno comune proprio sullo sfruttamento delle ICT. Per fare concreti passi avanti sul fronte della dinamicità organizzativa, dovrebbero passare le misure richieste da Confindustria sui premi alla produttività individuale. Allora sì che qualunque mezzo, e in prima fila le ict, diventerebbe qualcosa da sfruttare con impegno.
FRANCESCO COSTANZO
L’Italia è un tipico esempio di sistema produttivo di tipo tradizionale. Il 95% delle aziende sono piccole e sottocapitalizzate, la produzione è a scarso valore aggiunto, il fattore umano pesa in modo determinante nel processo produttivo. Lo scarso uso dell’ict è una conseguenza naturale di queste caratteristiche. Sono d’accordo con chi dice che per aversi un maggiore peso dell’ict, intesa come prodotti ad alto contenuto tecnologico (e non solo come e-learning, web, etc.) bisogna concepire un profondo cambiamento del nostro sistema industriale, come quello avvenuto ad esempio in Finlandia. Questo può anche avvenire indipendentemente dalla crescita delle aziende, ma richiede una forte capacità organizzativa, apertura mentale, collaborazione, secondo il modello dei distretti industriali. Credo che solo un’ "utopia" così possa trainare il nostro paese fuori dalla perenne "asfissia da scarsa crescita", in cui si trova ormai da decenni. Gli aumenti della produttività che molti propongono sono solo misure temporanee, che alla lunga peseranno sui lavoratori, visto che ci sono scarsi margini di ulteriore crescita della produzione nei settori a basso contenuto tecnologico.
STEFANO CARFAGNA
Spesso i manager delle aziende private (vuoi per ignoranza, vuoi per incompetenza, vuoi per età) non hanno le capacita per valutare il beneficio di investimenti ICT nell’ambito aziendale. Di conseguenza l’ICT diventa solo un costo. I benefici sono di solito nell’ambito del miglioramento della vita lavorativa ( lavori ripetitivi eseguiti dalle macchine ) e nella riduzione dei costi ( dovuti al minor impiego di personale ). Il risparmio può diventare remunerazione per gli azionisti o fonte di ulteriori investimenti in sviluppo e formazione. Questo dipende dalle scelte dei manager. Un buon metodo per valutare gli impatti annuali degli investimenti sarebbe quello di calcolare i costi uomo delle attività automatizzate, svolte dalle macchine e dai PC. A questo punto risulterebbe chiaro l’enorme vantaggio. A tale beneficio si deve aggiungere il risparmio sui materiali ( carta, inchiostro) e servizi ( posta, stampa, etc ). Se queste carenze valutative le applichiamo alla P.A. si deduce l’enorme spreco ( e margini di miglioramento ) che si potrebbero ottenere per mezzo della nuove tecnologie nello Stato. Se i nostri limiti sono dovuti a noi stessi … con chi ce la vogliamo prendere?
antonello cini
Nei momenti in cui alcune persone con le loro entrate hanno difficoltà dopo il giorno 20 dogni mese, ci si chiede se il prezzo di vendita di qualsiasi prodotto abbia congruità con il costo di produzione. In particolare, utilizzando i più noti motori di ricerca, sono state fatte delle domande circa: incidenza spese pubblicitarie; incidenza spese pubblicitarie costo produzione. Non sono state date risposte ai quesiti; mentre sono stati proposti alla visita dei siti, dei quali si riportano degli estratti. Interessante è lo stesso trattamento da parte dello stato dello Stato dal punto di vista fiscale art. 108 del TUIR .Costi pluriennali classificati sotto la voce B.1.2: costi di studi, ricerca e sviluppo, costi di pubblicità, sponsorizzazione, propaganda, spese di rappresentanza deducibili, spese di rappresentanza parzialmente deducibili. I dati sulle spese pubblicitarie e ricerca e sviluppo non potrebbero essere estratti separatamente dalle dichiarazioni sui modello unico per le imprese in possesso dell’Agenzia delle Entrate, perché accorpati sotto la stessa voce. Occorre una diversità di trattamento a favore delle spese per la ricerca. Antonello Cini
Enrico Parisini - CIO Conserve Italia (valfrutta, Cirio, Yoga.....)
Concordo pienamente con l’analisi. Vi è una aggravante che spiego come segue: fino ad ora le aziende di prima e seconda informatizzazione, hanno cercato di replicare il modello esistente sui sistemi informativi. Il caso dei processi amministrativi è il tipico caso di un match facile e di buoni risultati. Per i nuovi paradigmi di nuova informatizzazione non sarà più possibile avere benefici se non mettendo mano ai processi, a importanti ridefinizioni organizzative, a importanti nuove interpretazioni delle funzioni. Anzi molte organizzazioni si troveranno in difficoltà per il giungere di obbligatori cambiamenti (es. release e nuovi prodotti) che non si adatteranno più alle organizzazioni sottostanti. Quindi soldi spesi, molti problemi e nessun risultato. Siccome la percezione di tale problema non è così diffusa nel management vi invito a diffondere e approfondire in particolare con "casi di successo" . Gli esempi sono sempre illuminanti.