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SARKOZY: PRIMO BILANCIO, PRIME DELUSIONI*

In campagna elettorale, Sarkozy ha presentato un programma corposo, che riprogettava tutta la vita dei francesi nei minimi particolari. Ha fatto proposte audaci e in genere buone. Ora molti suoi progetti sembrano sprofondare nelle sabbie mobili della politica. Il metodo che porta ad aprire contemporaneamente più fronti, comincia a mostrare i suoi limiti. Meglio forse gerarchizzare le riforme, cominciando dalle più importanti e mettendosi in condizione di poterle realizzare. E se la priorità è la disoccupazione, bisogna riformare il mercato del lavoro.

Durante la sua campagna elettorale Nicolas Sarkozy ha articolato un programma di inusuale corposità. Ha “riprogettato” tutta la vita dei francesi nei minimi particolari, ha fatto proposte audaci e, in genere, buone. La sua volontà di rottura ha ottenuto un voto plebiscitario.
Una volta all’Eliseo, ha continuato a martellare sugli stessi temi e ha intrapreso a realizzare il programma ma, come era prevedibile, molti suoi progetti sembrano sprofondare nelle sabbie mobili della politica. Il metodo, consistente nel voler aprire contemporaneamente pinti, comincia a mostrare i suoi limiti.
In teoria si tratta di una buona idea. Ogni riforma utile, infatti, rimette in causa posizioni acquisite, magari da lunga data, e genera ostilità in coloro che ne fanno le spese. Il vantaggio di appellarsi, nell’intraprendere le riforme, al senso civico di ogni cittadino francese, chiedendo di sacrificarsi ognuno nel suo piccolo per il bene comune, risiede nel fatto di poter denunciare le eventuali resistenze come egoismi responsabili del declino, altro tema su cui Sarkozy ha martellato durante la campagna elettorale. Viene da pensare a Churchill, che prometteva sangue e lacrime per salvare la patria. Legittimato dall’entusiasmo dell’elezione, anche se ammantato di pedagogia, il progetto poteva essere plausibile. A patto che, ovviamente, non si costituisse un ampio fronte contrario, un’alleanza contro natura tra notai, funzionari e ipermercati.
Il metodo si è scontrato con cinque difficoltà. Innanzitutto non si è avuto a che fare col senso civico, ma col cinismo. Cinismo dei ferrovieri che, per difendere i loro privilegi, non hanno neanche provato a utilizzare l’argomento, trito e ritrito a dire il vero, della sicurezza dei passeggeri o della qualità del servizio pubblico. Cinismo degli avvocati che vogliono difendere la sinecura dei divorzi. Cinismo dei giudici che vogliono mantenere il loro status di notabili di provincia. E la lista è lunga.
In secondo luogo, Nicolas Sarkozy si è lasciato assoggettare da un calendario troppo diluito. Dopo i fuochi d’artificio delle prime settimane (1), si è entrati in una lunga fase di gestazione. E’ sembrato che la riforma delle pensioni speciali rimettesse tutto in moto, anche perché il governo ha riscosso una vittoria simbolica nei confronti degli scioperanti, ma non c’è stato alcun seguito.
Terza delusione, gli annunci sulle riforme sembravano essere all’insegna della rottura, ma la loro attuazione ci ricorda da vicino le manovre di concertazionedi un tempo. Di fronte alla resistenza degli studenti non si è più parlato di selezione. La riforma pensionistica dei “regimi-speciali” è stata confermata, ma spalmata su un periodo lunghissimo. Dopo due tentativi parziali, le 35 ore sono moribonde, ma ancora danno segni di vita. Il governo, per uscirne, ha sempre messo mano al portafoglio, ricorrendo a penose negoziazioni.
Per non parlare del metodo di subappalto delle riforme. Commissioni Balladur, Attali o Pochard, Grenelle de l’environnement (2),commissioni sindacati–imprenditori e altri organismi della sorta sono stati incaricati di proporre le “riforme che faremo”. Sembrava anche una buona idea. Se le parti in causa si mettono preventivamente d’accordo sulle riforme, sarà politicamente più agevole realizzarle. Giଠma dal momento che questi cenacoli sono costituiti attorno a gruppi di potere che, da trent’anni a questa parte, hanno bloccato con estrema efficacia ogni possibile riforma, gran parte delle loro proposte sono solo una pallida copia di “lettere di missione”. (3)
Insomma, l’approccio multidirezionale si rivela pericoloso, non tanto per l’emergenza di un fronte di protesta che, di fatto, ancora non esiste, ma perché in tal modo si disperdono le forze e si ignorano le priorità di Nicolas Sarkozy è convinto che c’è molto da fare e che è già stato perso troppo tempo. Ha ragione, ma ciò significa che deve cominciare, all’inizio del suo mandato, con le cose piortanti che sono anche spesso le più difficili, e realizzare le riforme fino in fondo.

IL CASO DELLE 35 ORE

E invece a cosa abbiamo assistito? Facciamo l’esempio delle 35 ore. La legge Tepa procede nella giusta direzione, ma ci si è accorti dell’enorme differenza esistente tra grandi e piccole imprese: la legge, com’era concepita, permette in effetti di lavorare di più per guadagnare di più nelle grandi imprese, non nelle piccole. Si è allora tentato di correre ai ripari, offrendo ai dipendenti la possibilità di riscattare le ore di Rtt non utilizzate. (4) Ottimo, ma siccome non si è voluto metter mano alla tabella delle ore supplementari, si rende questo riscatto oneroso per le imprese, il che riduce l’effetto benefico del provvedimento. E tutto ciò perché il governo non intende affrontare di petto il principio della durata del lavoro, il che avrebbe invece permesso di varare una riforma fondamentale e innovativa. Parallelamente, si è chiesto a sindacati e imprenditori di negoziare un nuovo contratto di lavoro. Com’era prevedibile, hanno raggiunto un accordo a minima, che ovviamente non tocca neanche la durata del lavoro.
E non sembra esserci nessuna correzione in vista. Certo, il tanto atteso rapporto Attali, presentato talora come iconoclasta, è al tempo stesso eccitante e scoraggiante. Il catalogo di provvedimenti proposti riguarda gran parte dei mali di cui soffre la Francia. Se li si attuasse tutti, indubbiamente sarebbe la fine del declino. Ma vi sono troppe proposte confuse, altre sono aneddotiche, altre ancora francamente umoristiche e si rischia di dimenticare le poche idee forti che il rapporto contiene. Per non parlare dei problemi ignorati, al fine di non scontentare questo o quel membro della commissione. Si è già iniziato a smantellarlo e si può star certi che le varie lobby appianeranno le asperità più interessanti. L’accordo sindacati-imprenditori, partorito anch’esso con estrema difficoltà, è ben lontano da quelle che erano le intenzioni della campagna elettorale. Blocca Sarkozy, che non ha più la possibilità di muoversi.

DISOCCUPAZIONE, PRIORITÀ ASSOLUTA

Si potrebbe utilizzare un metodo diverso, gerarchizzando le riforme, cominciando dalle più importanti e mettendosi in condizione di poterle realizzare. Bisogna sottoporsi alla doppia prova della propria determinazione a riformare e dell’utilità delle riforme da intraprendere, per poter poi avanzare passo passo su un fronte sempre più ampio. Quando tutto dipende da tutto, quando ogni riforma deve essere negoziata, il che implica ritirate tattiche e quindi risultati monchi, quando è politicamente impossibile fare tutto insieme, l’unica soluzione appare quella di saper distinguere l’essenziale dal secondario.
Ma come convincere coloro che faranno le spese dei provvedimenti giudicati prioritari? Anche in questo caso bisogna ripensare il metodo. Facciamo l’esempio simbolico dei taxi. Poiché non ce ne sono a sufficienza, aprire il mercato sembra essere una soluzione di buon senso. Il problema è che ciò equivarrebbe a volatilizzare il valore delle licenze, per ottenere le quali molti tassisti si sono indebitati per anni. La loro reazione di panico è comprensibile. Se la riforma sarà comunque attuata, bisognerà per forza di cose negoziare una compensazione. Perché la commissione Attali non l’ha proposta? Sarebbe così semplice riacquistare tutte le licenze, il che potrebbe essere accettato dai tassisti. Sembra che ciò non sia legale. Ma, scusate, a cosa serve un governo se non a cambiare le leggi?
Oggigiorno, in Francia, il problema fondamentale è la disoccupazione. Oltre all’abolizione delle 35 ore, l’occupazione è l’unico vero mezzo mediante il quale "lavorare di più per guadagnare di più". La commissione Attali vuole riportare il tasso di disoccupazione della Francia al livello di quello degli altri paesi europei, vale a dire ridurlo circa della metà. Ha ragione ed è possibile. Ma chi può credere che per ottenere questo risultato sia necessario eliminare i dipartimenti, costruire le "Ecopoli" e assicurare l’accesso a Internet a tutti? Per abbassare la disoccupazione in modo duraturo e sostanziale, bisogna riformare il mercato del lavoro. Certo, l’educazione, la ricerca, la mobilità dei lavoratori e tante altre belle cose permetteranno di migliorare la situazione, ma marginalmente. Il cuore del problema è il contratto di lavoro e le indennità di disoccupazione.
Resta poco tempo al governo per mettere nel mirino la disoccupazione e farla divenire la sua priorità assoluta, dedicandole tutto il suo capitale politico, invece di sperperarlo in una miriade di provvedimenti, tutti utili certamente, ma non all’altezza delle ambizioni annunciate. Ciò presuppone una riforma del mercato del lavoro che vada ben oltre l’accordo sindacati-imprenditori e le proposte della commissione Attali. Ciò presuppone anche, e soprattutto, l’offerta di compensazioni a coloro che dovrebbero subire le conseguenze della riforma. Se, durante il suo mandato, Nicolas Sarkozy dovesse riuscire a mettere in opera anche solo questa riforma, purché radicale, entrerà nei libri di storia come il presidente che ha iniziato a raddrizzare il suo paese. Altrimenti, come i suoi predecessori, lascerà solo il ricordo di qualche avanzata gloriosa, ma il declino della Francia proseguirà inesorabilmente.

 

(1) Varie le iniziative messe in cantiere: "Loi pur le Travail, l’Emploi et le Pouvoir d’Achat" (legge Tepa); autonomia delle università;"Carte scolaire": sistema che in Italia corrisponde al principio del "bacino d’utenza scolastico", soppressa dal governo Sarkozy; neutralizzazione delle 35 ore, fusione Anpe-Unedic, due delle principali organizzazioni francesi corrispondenti alle nostre agenzie interinali per il lavoro.
(2) Commissione nazionale per l’ambiente.
(3) La "lettera di missione" è uno strumento costituzionale francese con cui il capo dello Stato o del governo può revocare un ministro.
(4) Réduction du Temps de Travail (Riduzione del tempo di lavoro).

(traduzione dal francese di Daniela Crocco)

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  1. Federico

    L’anno scorso mi e’ capitato di partecipare ad un programma di studio internazionale, era la prima volta che mi trovavo a contatto ravvicinato con dei francesi senza parlare solo di calcio. Da quella esperienza avevo capito quanto noi ed i francesi siamo in realta’ popoli simili, con stili di vita simili e sistemi di governo con gli stessi problemi. Si pensi che in quell’occasione mi capitò di parlare del contratto di lavoro proposto ai giovani,che le televisioni mostravano come un’infamia, in realta’ quel contratto non si applicava ai detentori di titoli di studio universitari e infatti i miei amici francesi lo sostenevano. Secondo loro un’ impresa non avrebbe mai assunto a tempo indeterminato un ragazzo di preparazione modesta, ma attraverso il periodo "di prova" di 6 mesi le persone in gamba avrebbero comunque potuto farsi avanti. Leggere questo articolo non fa altro che ravvivare in me questa coscienza di similarita’ con i francesi, e mi viene da dire, tristemente, se non ce la fa Sarko’ come possono farcela Veltroni o Berlusconi?!

  2. max

    Sarebbe così semplice riacquistare tutte le licenze dei tassisti? Vediamo. Esistono 67000 licenze in francia, ad un prezzo medio di 100 000 euro fa 6,7 miliardi di euro. La collettività dovrebbe quindi pagare 6, 7 mld per compensare i tassisti che fanno traffico di licenze, in principio gratuite. Tanto semplice evidentemente non è. Veniamo ora al punto fondamentale, quello della disocupazione, che secondo l’autore deriva essenzialmente dalle 35 ore e dal mercato del lavoro. In Francia il tasso di disoccupazione è alto dagli anni ‘80 e ha raggiunto il picco nella primi metà degli anni 90’, cosa c’entrano le 35 ore? Davvero se si cambia il contratto di lavoro, svuotandolo di ogni protezione per il dipendente e si obbligano i disoccupati ad accettare qualunque tipo di lavoro, togliendo le indennità di disoccupazione, le cose miglioreranno anche se tutto il resto rimane immutato?

  3. francesco rotondo

    Sono convinto che un governo sia costretto in talune circostanze a compiere scelte che per alcuni risultino impopolari. A costo di risultare agli occhi della popolazione come dei “despoti”, bisogna ignorare talvolta ogni voce e mettere in pratica il proprio programma in maniera decisa, senza mezzi termini.

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