Agli analisti del mercato interessa non tanto la dimensione del debito pubblico, quanto la capacità di un paese di rimborsarlo. Ora, il problema dell’Italia è per l’appunto la scarsa crescita. E la vera debolezza della politica del governo è proprio la mancanza di una strategia per superare la recessione e rimetterci su un sentiero di sviluppo sostenuto. Serve un percorso di riduzione della pressione fiscale e della spesa, accompagnato da un piano di investimenti pubblici. L’attuazione può essere graduale, ma le misure devono essere certe, permanenti e ben strutturate.
Quando il ministro del Tesoro di un paese è costretto a fare pubblicità perché i risparmiatori sottoscrivano i suoi titoli del debito pubblico è un brutto segno. Significa che qualcosa scricchiola.
MINISTRI, BOT E CCT
Nel tentativo di giustificare la dimensione minima dei provvedimenti presi pochi giorni fa a sostegno della domanda, il ministro Tremonti ha messo in evidenza la possibilità che nei mesi a venire il governo possa incontrare difficoltà nel collocare titoli del debito pubblico. Politiche fiscali facili (leggi espansive) non sono quindi ammesse perché pregiudicherebbero il collocamento. Qualcuno nel governo, forse pensando di dare una mano al ministro rafforzando la sua argomentazione, ha evocato lArgentina, salvo poi rendersi conto di quanto pericoloso sia quellaccostamento, e ritrattare. Il ministro ha così dovuto rassicurare gli investitori reclamando: "Comprate i titoli di Stato italiani che sono certamente i migliori al mondo (..) i Bot e i Cct sono in tutti i paesi la cosa più solida e sicura, comprate i titoli di Stato che sono semplici". Infatti, per poterli collocare occorre pagare un premio per il rischio di 140 punti base superiore ai Bund tedeschi: a occhio e croce, vuol dire che i mercati annettono una (maggior) probabilità di default al debito pubblico italiano dell1,5 per cento in più rispetto a quello tedesco. Ognuno vanta la sua mercanzia, questo è comprensibile. Ma perché il vanto sia credibile occorre esaltare quegli aspetti non facilmente confutabili, altrimenti si rischia di ottenere leffetto opposto e generare sospetti nei risparmiatori. Ci si limiti a sottolineare la semplicità di Cct e Btp.
QUANDO IL DEBITO È SOLIDO
Ma ritorniamo alla difesa che il ministro Tremonti ha fatto della sua politica fiscale. Largomento implicito nella linea di intervento scelta dal governo è che espandere il disavanzo corrente per fronteggiare il ciclo è un cattivo segnale mandato al mercato. È possibile. Ma gli analisti di mercato, diversamente dai burocrati di Bruxelles, raramente sono interessati al buco di bilancio di un anno. Quello che veramente interessa loro è la capacità di rimborso del debito, per quanto questo possa essere elevato. Lampliamento dello spread non riflette la dimensione del debito pubblico, che è esattamente la stessa di un anno e mezzo fa, ma il deterioramento della capacità del paese di farvi fronte. Il ministro sostiene pomposamente che "Il debito pubblico italiano è assolutamente solido, [perché] la Repubblica italiana garantisce su quel debito", ma la capacità di rimborso dipende dalla capacità di crescita del paese negli anni a venire: senza Pil e quindi senza gettito non cè garanzia della Repubblica che tenga.
Il problema con la politica della prudenza è che è vero che limita il fabbisogno finanziario del governo, ma allo stesso tempo, se contribuisce ad aggravare la recessione, rischia di minare la sua capacità di onorare il debito. Questo è il vero tallone di Achille del nostro paese, il fatto che da dieci anni a questa parte cresce sistematicamente meno degli altri e il gap, stando alle previsioni, si aggraverà ulteriormente durante questa recessione. La vera debolezza della politica governativa è proprio la mancanza di una strategia per superare la recessione e rimettere il paese su un sentiero di crescita sostenuta. Se si vuole recuperare credibilità nei mercati finanziari, il governo deve non solo sviluppare una politica di rientro, ma deve averne una capace di assicurare che nel medio termine il paese ritorni a crescere e nel breve che non venga travolto dalla recessione, come accadde, appunto, allArgentina.
POLITICHE PER LA CRESCITA
Mosse queste critiche, la domanda è se esista un modo per disegnare politiche fiscali più incisive sotto il profilo del sostegno ciclico senza con questo compromettere, anzi possibilmente rafforzando, il risanamento fiscale e aiutando la crescita di medio periodo. Questultimo requisito è di primaria importanza: la recessione che abbiamo di fronte lascerà i suoi segni, ma la perdita di reddito che ne risulterà sarà ben poca cosa rispetto a quella che lItalia ha subito negli ultimi dieci anni a causa del tasso di crescita sistematicamente più basso rispetto al resto dellEuropa.
Lavoce.info ha avanzato da tempo suggerimenti che vanno in questa direzione. Si tratta di un mix di tagli di imposte e di spesa pubblica corrente permanenti, accompagnati da riqualificazioni della spesa e adottati con una opportuna tempistica. Una versione di queste proposte è la seguente.
Primo, si vara una riduzione piccola, ma permanente, delle aliquote fiscali, eventualmente più limitata nei primi anni e più marcata nei successivi. Se la riduzione delle aliquote è piccola, è piccolo anche limpatto sul gettito corrente e quindi sul disavanzo pubblico corrente: non provoca perciò deviazioni gravi rispetto ai requisiti imposti dal Patto di stabilità. Ma è permanente e le famiglie terranno conto anche delle future riduzioni di imposte nel decidere i piani di spesa correnti: tutto ciò avrà un effetto di un certo rilievo sulla domanda odierna di consumi, contribuendo a contrastare la recessione.
Secondo, si annuncia oggi un piano di riduzioni permanenti della spesa pubblica corrente, individuando in dettaglio quali voci verranno tagliate. Lentità dei tagli deve essere legiferata oggi, ma realizzata da qui a due anni. Lo scopo di stabilirli per legge è di impegnare il governo e quindi dare la garanzia che il bilancio dello Stato rimane sotto stretto controllo. Il varo ritardato dei tagli ha invece un triplice obiettivo: primo, adottarli quando la recessione sarà, si spera, in buona parte superata ed evitare che pesino eccessivamente sulla domanda corrente; secondo, dare modo alle persone che dipendono da quei tagli (imprese, lavoratori del pubblico impiego, eccetera) di reagire e adattarsi, e quindi limitarne limpatto sulle decisioni di spesa correnti; terzo, dare al governo il tempo per decidere come rendere operativi i tagli con un serio programma di riforme in modo da evitare di eliminare spese che possono compromettere il funzionamento di servizi pubblici importanti.
Terzo, varare un piano di investimenti pubblici, deliberati oggi, ma di nuovo, implementati non prima di due anni. La ragione dellattuazione differita è analoga a quella precedente: scegliere bene dove investire, anziché farlo a caso. Le famose spese di keynesiana memoria per scavare buche e poi riempirle sono un lusso che il nostro paese non può permettersi. Ma investimenti pubblici accompagnati da serie riforme che ne assicurino una elevata produttività è quanto di meglio il governo possa fare per contribuire a dare una prospettiva di crescita al paese. Il programma di investimenti ha un duplice ruolo: compensare in parte il calo di domanda dovuto alla minore spesa pubblica, ma soprattutto accrescere la produttività del sistema e consentire alle imprese di usufruire di migliori infrastrutture, facilitandone il processo di crescita.
Ovviamente, perché queste misure siano compatibili con il mantenimento del disavanzo ai livelli richiesti dal Patto di stabilità, anzi possibilmente con qualche miglioramento graduale, è necessario che il calo di spesa pubblica corrente compensi il calo del gettito fiscale prodotto dalle minori aliquote e lincremento dellinvestimento pubblico.
Ci rendiamo conto che un siffatto programma è più facile da scrivere che da realizzare, ma davanti a problemi di tale dimensione, un paese deve pensare in grande. Questa maggioranza di governo ha il potere per fare quanto è necessario. Ma occorre la volontà di farlo.
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marco l.
Genitle Guiso, quanto può essere realistico che questo allarme venga sollevato ad arte per ridirezionare i (pochi) risparmi dei cittadini verso il mercato dei titoli privati? Di fronte alle scarne risorse da destinare al sistema bancario, un governo potrebbe cercare magari di orientarvi così il denaro dei cittadini, di coloro che possono permettersi risparmi o che, semplicemente, chiedono ai propri consulenti finanziari di ridirezionare i loro micro-capitali dalle quote dei fondi di investimento ai certificati emessi dal ministero del tesoro. Si tratterebbe di una specie di profezia auto-avverante al contrario: in un clima di sfiducia vero le istituzioni politiche, io, Stato, smentisco le voci di una mia ventilata insolvibiità, creando nel cittadino la reazione opposta a quella voluta. E’ solo fanta-politica? oppure….
cosimo benini
Gentile Guiso, concordo con lei sul tema della qualità degli interventi di rimodulazione della spesa pubblica. Uso il termine "rimodulazione" proprio per sottolineare il senso generale del discorso: qualità della spesa significa anche qualità dell’apparato che deve operare meglio e con minori risorse, eliminando, possibilmente, quel differenziale di spesa che corrisponde ad inefficienza, nei casi migliori, ad inefficacia costosissima, nei peggiori. Il primo requisito per "spendere bene" è che l’apparato sia in grado di operare per il conseguimento degli obiettivi che vengono ad essi attribuiti, pertanto la prima rimodulazione della spesa va fatta sui contenuti, uomini e mezzi, e sulla capacità di incidere. Contenuti, tutti questi, che in Italia scontano una drammatica capacità di interdizione del localismo, politico e criminale, presente in molte aree del paese e che si traduce in diversione dei flussi di spesa o rallentamento o arresto totale ove opportuno. Trovo pertanto difficilmente ipotizzabile una rimodulazione virtuosa come quella che lei auspica.
luis
Seguo la finanza da circa 20 anni e l’esperienza mi dice che quando iniziano gli appelli le cose stanno andando veramente male. Gli spaventosi dati economici provenienti oggi dalla Germania fanno rabbrividire. Ci stiamo avvinando alla resa dei conti? all’implosione dell’economia mondiale? Certo, speriamo di no! Ma come è possibile la crescita in Italia con una classe politica di affaristi, un sud che regredisce sempre di più e la mentalità degli italiani oramai abituati all’assistenza e al benessere?
marconzo
Mi spiace si craccherà alla grande. Potete dire quello che volete. Il debito è insostenibile.
Massimo GIANNINI
Don’t cry for me Argentina – The truth is I never left you – All through my wild days – My mad existence – I kept my promise – Don’t keep your distance. Non solo capacità di rimborsare il debito ma anche la credibilità. Di Tremonti e del governo Berlusconi tutti si ricordano, anche i mercati (cfr. articoli de LaVoce del 2004-2005). E questo si riflette anche nel Credit Default Swap. Ecco il trend da quando c’é il Governo Tremonti Berlusconi – http://alphaville.ftdata.co.uk/lib/inc/getfile/3359.png – Oggi si é arrivati a 195 bps. Purtroppo le querce non fanno limoni.
Francesco
Da un giovane economista arriva un disperato grido di dolore di fronte allo sfascio di questa nostra Repubblica, credo che il momento del "si salvi chi può" non sia lontano.
Flavio Pastore
A conferma di quanto sostenuto in questo articolo, nell’area OCSE solo il debito pubblico giapponese è superiore a quello italiano e anche di parecchio (180% contro circa 106%). Eppure è difficile sentirne parlare. Questo perché il debito pubblico del Giappone, nonostante il suo alto livello, offre maggiore fiducia agli investitori, vuoi per una migliore struttura interna del mercato finanziario, per un tasso di crescita economica più elevato negli ultimi anni ma, cosa più importante, per una gestione di politica economica storicamente più efficace di quella italiana. Le aspettative di rimborso tra i due paesi, essendo differenti, dunque vanificano (in parte) il gap tra le due percentuali e per questo risulta più grave il caso italiano in merito.
Piero
Condivido la preoccupazione sulla tenuta del debito singola A+. Condivido solo parzialmente l’opinione secondo cui il livello del debito è secondario: il costo degli interessi ceteris paribus alza l’asticella del Pil necessario x il pareggio (meno male che la Bce taglia di 0,75%, ma lo spread sui Bund vale +1,4%!). Non condivido neppure il ragionamento sulla riduzione generalizzata e strutturale di una piccola quota del reddito: le famiglie non la interiorizzerebbero nel reddito permanente. Il marketing insegna che ci son soglie psicologiche: al di sotto è zero. La sinistra fece un grave errore: attenuò la riforma pensionistica con un danno da 10 miliardi di euro. La destra tra Alitalia e Gheddafi ed Ici tolta anche ai ceti medio abbienti ha generato altri 10 miliardi. E poi ci sono i Derivati ad orologeria nascosti negli enti locali con legge Tremonti di cui hanno approffittato tutti bipartizan. L’evasione fiscale stà ri-aumentando: eliminazione tracciabilità pagamenti + forte riduzione detraibilità ristrutturazioni. La pressione fiscale si può abassare poco e selettivamente: Visco che Tremonti "nemici" ma poi di fatto concordano.
Giampiero Cerchi
Ritengo che gli investimenti in infrastrutture, poichè produrranno la maggior parte degli effetti positivi citati (escluso l’incremento occupazionale) solo dopo il completamento dei lavori, dovrebbero avere un’attuazione molto più rapida di quella prospettata nell’articolo ma suprattutto avere certezza. Mi trovo daccordo sulla riduzione delle aliquote, infatti come l’autore, ritengo che senza questa politica fiscale il PIL rischia di non crescere o addirittura diminuire e quindi anche le entrate dello Stato (IVA, IRES, IRPEF, IRAP, ecc.) diminuiranno a differenza delle previsione fatte dal ministro del Tesoro. Aggiungerei però che sarebbe forse ancora più importare riformare il sistema fiscale per dare ai cittadini un maggior reddito disponibile. In termini semplici, sto parlando di deducibilità completa dell’IRAP, eliminazione del doppio binario, eliminazione del criterio dell’Acconto sui redditi (una vera presa in giro chiamarlo acconto quanto ammonta al 99-100% dell’imposta dell’anno precedente), ecc. Sui tagli sappiamo tutti dove sarebbe economicamente e moralmente giusto operare.
guido bozzer
Gentile sig. Guiso concordo con le sue osservazioni e proposte. Aggiungo: le risorse di cui necessitiamo per rilanciare il nostro "pil" non potrebbero e non devrebbero essere reperite attraverso l’immediata riforma del sistema pensionistico. A partire dall’anno 2009 si andrà tutti in pensione all’età di 65 anni: con buona pace per tutte le demacogie e dietrologie.
Ivano Urban
Il nostro sistema, tutto, è ormai da anni fa acqua da tutte le parti. E’ da più di un decennio che sento parla di "innovazione" come parola d’ordine per vincere le sfide che la globalizzazione dei mercati ci impone perentoriamente. Cosa si è fatto, e cosa stiamo facendo per rinnovarci efficacemente nei settori coinvolti nello sviluppo economico: poco o nulla! L’industria cosa ha fatto per innovarsi?? Il settore della finanza che prodotti ha posto in essere per finanziare l’innovazione industriale?? Forse se qualcuno cercasse delle risposte a questi due questiti, sicuramente complementari l’uno all’altro, probabilmente tenterebbe di sviluppare anche delle soluzioni. E’ da anni che parliamo di società della conoscenza, di economie basate sulla conoscenza e noi l’unica conoscenza, empirica, che stiamo sviluppando è quella di ostinarci a trovar delle giustificazioni: succede tutto per "cause di forza maggiore". Stiamo entrando in una nuova era socio-economica completamente scalzi, con le pezze sul culo e pure con una classe dirigente composta nella stra-grande maggioranza da un branco di ignoranti.
marco scamardella
Per settimane avete predicato la spesa in deficit sbertucciando il pavido e impreparato Tremonti e vaticinando risparmi impossibili sui titoli per 3.5 miliardi , adesso vi accorgete che la saldezza del bilancio è condizione necesaria anche se non sufficente ad evitare tensione sui titoli.
Corrado Fontaneto
Ci sarebbe un altro settore su cui praticare tagli di spesa enormi,Il Trasporto Pubblico Locale.Sono finanziate autolinee che si sviluppano su percorsi già serviti dalla ferrovia,in violazione del REG CEE 1191/69 e della legge 5 maggio 1989 n.160 richiamata dal Dl.vo 19 novembre 1997 n. 422.Certo c’è la lobby dei costruttori di autobus ( IVECO & co.) ma se si vuole cambiare da qualche parte si dovrà cominciare…!
marco
Sono sconcertato dai commenti catastrofisti precedenti. Ma gi autori sono sicuri di quel che dicono o sono soltanto critici verso il governo? Ma sono sicuri che con un altro governo le cose andrebbero meglio? io ricordo gli anni di Visco come da incubo. le tasse e gli studi di settore mi hanno convinto a chiudere l’attività che gestivo. Spero che questo governo elimini l’impatto negativo degli studi di settore sulle piccole aziende, altrimenti veramente assisteremo ad una debacle della attività produttiva in questo paese. Piuttosto perché non riattivare la riforma delle pensioni fermata da Prodi? E perché non eliminare subito le Province?
luigi zoppoli
Mi pare di intendere che le opzioni indicate nell’articolo, più che valere di per sè sono emblematiche della possibilità di intervenire robustamente anche nell’attuale contesto di finanza pubblica. Al di là delle via che si potranno scegliere, è importante una strategia di lungo respiro, idee chiare e volontà polirica.
Se poi ci fosse anche la capacità…
luigi zoppoli
mirco
Per evitare la bancarotta l’Italia deve ridurre drasticamente e velocemente le spese: abolizione immediata delle province e di tutta quela pletora di consigli e organismi per ingrassrae i politici( comunità montane ecc) Portare il limite pensionabile per tutti a 63 anni sia uomini che donne. Riduzione ad una sola camera del parlamento e abbandono delle mire federaliste ( il federalismo aumenta i costi di spesa pubblica) in più non esiste una classe dirigente locale che sia in grado almeno in certe regioni del sud di governare localmente una struttura federale dello stato senza fare danni. (gli sprechi clientelari aumenterebbero).
Enrico Motta
Secondo me se proseguiamo con deficit annuali del 2-3% del PIL raggiungeremo prima o poi il default delle finanze statali. Bisogna arrivare al pareggio di bilancio appena possibile, e non rimandarlo quando c’è la depressione, e ignorarlo quando c’è l’espansione. E smettiamola di parlare di rapporto deficit/PIL, l’unico dato che conta è il valore assoluto del deficit, e del debito. E’ un rapporto che non ha senso: il deficit è un dato della finanza statale, il PIL dell’economia nazionale. Sarebbe come se la FIAT calcolasse, invece del rapporto debiti(suoi) / fatturato (suo), il rapporto debiti (suoi) / fatturato dell’industria automobilistica mondiale.
Troiano Dott. Antonello Pio
Esimio Luigi Guiso, sono completamente in sintonia con le Sue proposte per cercare di riportare il Belpaese lungo un sentiero di crescita o, se per ora non fosse possibile, tentare almeno di limitare i danni; tuttavia dal corso di politica economica ho imparato che da importanti riforme strutturali, c’e chi vince e c’e chi perde. Il policy maker offuscato dal mandato politico intrapende manovre che massimizzano esclusivamente il suo team, ovvero il profitto di chi ha finanziato la sua campagna elettorale. Purtroppo, come accade spesso, riforme condivise vengono rinviate sine die e chi ci rimette sono solo i 57 milioni di italiani.
Stefania M.
All’indomani della seconda guerra mondiale,quando l’Italia attraversava la difficile fase di ricostruzione economica e sociale,il Ministro del Tesoro Soleri propagandò personalmente, attraverso discorsi tenuti nelle piazze di Milano e Napoli la convenienza di investire in titoli del Prestito della Liberazione.Nel 1946, fu emesso il Prestito della Ricostruzione che nuovamente fu propagandato con tutti i mezzi possibili: discorsi nelle piazze,manifesti,cartoline,pefino con le vignette del Signor Bonaventura sul "Corrierino del Prestito". Ma la congiuntura economica era differente da quella attuale e i governanti potevano permettersi di dire agli italiani di comprare titoli pubblici.L’altissimo livello dell’inflazione aveva eroso il valore del debito (molto alto negli anni della guerra perchè principale finanziatore delle relative spese) e i nuovi prestiti vennero emessi per assorbire la liquidità presente sul mercato che alimentava l’inflazione. Oggi non abbiamo nè i livelli d’inflazione (per fortuna) né quelli del debito pubblico (purtroppo) degli anni del secondo dopoguerra e spingere gli italiani ad acquistare titoli pubblici è pura pazzia visto il livello altissimo del debito.
luigi
Ho letto su Il Gazzettino larticolo bello, approfondito e benissimo argomentato di Marco Fortis LArgentina? Da Roma è molto lontana. Tra laltro, lautore annota: spropositata appare dunque la richiesta avanzata da alcuni esponenti dellopposizione che hanno invitato i ministri Sacconi e Tremonti a dibattere in aula un eventuale rischio default dellItalia. Trovo la richiesta in parola non solo spropositata ma anche sconsiderata ed assurda. Qual è lobiettivo che si vuole conseguire con un dibattito parlamentare su un argomento delicatissimo come quello del debito pubblico e della correlativa tenuta dei conti del nostro Paese? Basta un po di buon senso per capire che lavvio di un simile dibattito potrebbe stimolare i risparmiatori verso un malaugurato atteggiamento Argentino con la ressa dei risparmiatori agli sportelli bancari per ritirare i loro risparmi. Va bene fare opposizione ma va meno bene se si avanzano richieste che, se accolte, porterebbero un sicuro danno al Paese.
Cherubino Di Lorenzo
Ho come la sensazione di un empasse, la coperta è davvero troppo corta e qualunque decisione porta con se conseguenze potenzialmente deleterie capaci di fiondarci in un circolo vizioso esiziale per il paese. Così si finisce per non scegliere. Ma a volte anche il "wait and see" può essere una decisione giusta e la navigazione a vista permette di attraversare indenni lo stretto di Magellano (se al timone c’è uno capace come Magellano, appunto). Il punto è questo: siamo di fronte ad un’attesa consapevole (come chi resta immobile ad occhi aperti difronte al mostro che si avvicina per poter essere pronto a sferrare il colpo decisivo quanto se lo troverà a tiro) o inconscia (come chi resti egualmente immobile innanzi lo stesso mostro, ad occhi chiusi, raggelato dalla paura)? Mah! Un auspicio per quel che sarà dopo: sogno un modello socioeconomico senza "-ismi", dopo capitalismo e socialismo, dopo comunismo e nazional socialismo, ci vuole un concetto nuovo, da recuperare dal passato. Umanità, o neo-umanesimo, se si vuole… al centro di tutto non ci sono i soldi, la roba, l’economia, i confini o altre amenità simili, bensì l’essere umano; tutto il resto gli gira attorno.
DAVID
Io ritengo, purtroppo, che se non prenderemo serissimi provvedimenti finiremo veramente come l’argentina. il quotidiano lavorare a contatto con persone che si occupano dei più diversi campi d’azione mi induce a pensare ciò. quali potrebbero essere le misure? eccone un elenco: pensionamento a 65 anni a partire da subito, lotta seria all’evasione fiscale con annesso reato penale per chi evade, liberalizzazione forzata di tutte le professioni e le attività ( liberalizzare i saldi, le parcelle dei professionisti, gli orari dei negozi, le parcelle dei notai,…) per creare concorrenza ed abbassare le tariffe, taglio delle spese pubbliche improduttive ( eliminazione delle regioni, accorpamento dei comuni, eliminazione delle comunità montane, etc…). come si vede di carne su cui agire, dolorosamente si ma necessariamente, ce nè. il problema è che queste misure vanno a toccare interessi difesi trasversalmente dai politici e quindi non potrebbero andare in porto. il governo attuale non toccherà mai i privilegi dei professionisti o l’evasione fiscale, un eventuale governo di csx non toccherà le pensioni o altre spese improduttive. morale: rimarrà tutto com’è.
Andrea Colaiocco
Vorrei sottolineare un punto…che mi pare non sia emerso. Nel mio piccolo sono economista anche io, il pezzo di carta l’ho preso, e francamente ogni tanto mi vergogno pure a dirlo. Allora la questione è semplice. L’emissione di titoli di stato presuppongono una certa domanda degli stessi. Solitamente tale domanda è composta da investitori istituzionali, fondi banche e assicurazioni, i quali operano in conto proprio o su mandato dei propri clienti, i risparmiatori. La situazione finanziaria di questi istituti, come del sistema generale è sotto gli occhi di tutti. Dal lato dell’offerta invece quei paesi generalmente poco indebitati e con un bilancio in pareggio potranno, visto anche il via libera della Commissione Ue, aumentare le proprie emissioni di titoli per finanziare politiche fiscali e sociali espansive nel proprio paese. La competitività di questi nuovi titoli è il problema principale. Se ne sono accorti anche al Governo . Gli investitori istituzionali infatti, essendo già sconquassati dal contesto sui mercati internazionali, potrebbero preferire titoli di paesi maggiormente solidi e poco indebitati piuttosto di quelli spacciati in maniera volgarotta da Tremonti.
maurizio maggini
Concordo con l’autore che un programma è più facile da scrivere che da realizzare. In effetti economisti, giornalisti, politici, semplici cittadini si affrettano a scrivere consigli e raccomandazioni, basate sulla riduzione delle tasse e delle spese, senza precisare dove e come, anzi contemporaneamente chiedendo aumenti di retribuzioni, pensioni, fondi per la ricerca, ecc.In ogni caso non concordo sul titolo, a sproposito, senzazionalistico! Quanto ai contenuti dell’articolo vengono fatte dichiarazioni facili da scrivere, ma alle quali corrispondono solo proposte generiche. Che cosa vuol dire " La vera debolezza della politica governativa è proprio la mancanza di una strategia per superare la recessione e rimettere il paese su un sentiero di crescita sostenuta". Belle parole e buone intenzioni. Molto generici anche i commenti sul debito pubblico e sul paese che da dieci anni non cresce (bella scoperta!) L’autore mi scusi, ma il gap tra scrivere e realizzare è davvero incolmabile.
Davide Bukoro
Tagli graduali e misurati delle aliquote fiscali, riduzione spesa pubblica e aumento investimeni pubblici. Se questa è la ricetta credo che si tratta di una miscela esplosiva che non può che prolungare la recessione e forse anche accelerare il divario che ci separe dagli altri paesi europei. E’ curioso come un Professore di Economia non riesca a dare alcun’altra soluzione che non quella di manovre da adottare da parte dello Stato; appare tale l’operare di un pianificatore economico in una economia programmata di tipo socialista (keynesianesimo). Il mercato non lo governa lo Stato ma il mercato governa se stesso. Lo Stato è un attore, seppure importante, ma non l’attore principale. Tagli di gettito fiscale e della spesa pubblica (anch’essa del resto investimento pubblico!) non credo possano finanziare investimenti pubblici che possano creare sviluppo (salvo l’emissione di nuova moneta, che non possiamo più fare). Ci si scorda del mercato: si uscirà dalla recessione solo attraverso la deflazione. Solo la caduta dei prezzi (di beni, rendite da capitale e salari e stipendi) può generare una ripresa dei consumi. Le azioni che Lei indica lo ritardano.
Armando Pasquali
Alle proposte avanzare dal prof. Guiso non c’è nulla da obiettare. Il problema è: sono sufficienti? Non è la prima volta che il sistema paese si trova in una situazione di forte difficoltà. Finora l’Italia ha superato questi difficili momenti perché il sistema produttivo è riuscito a ristrutturarsi con successo. Sarà così anche questa volta? Saperlo equivale a dire di saper prevedere il futuro. Una cosa però sembra abbastanza evidente: i governi nazionali hanno ormai strumenti di intervento molto limitati. O, com’è il caso dell’Italia, praticamente nulli per ovvie ragioni di bilancio. Intervenire sulla finanza è una cosa; rimettere in moto il mondo della produzione è tutt’altra faccenda.
nat
Cominciamo con l’eliminazione delle province e con la tassazione dei guadagni stratosferici dei sindacati e continuiamo con l’innalzamento dell’età pensionabile.
Accorpiamo i piccoli comuni e controlliamo la spesa sanitaria responsabilizzando i cosidetti managers. E poi falcidiamo la miriadi di spese inutili ( auto blu etc etc)
VITO MISINO
La storia del default argentino parte da un regime di cambio rigido, debito pubblico, perdita di competitività, e alcuni trimestri di recessione economica con pil negativo. L’Argentina non è nè lontana, nè vicina ma purtroppo possibile. La possibilità si innesta nella prospettiva di un declassamento del rating del nostro debito pubblico sino al livello in cui la Repubblica Italiana non sarà più facoltizzata (in ragione di norme già oggi operative) ad emettere titoli denominati in Euro. Purtroppo la radicata incapacità della nostra classe dirigente ad adottare terapie d’urto sul fronte della spesa pubblica e sulla pressione tributaria (assolutamente eccessiva), fanno sì che a tutt’oggi si abbia la sensazione che si sia intervenuti con un clistere per spegnere un incendio. A quando una terapia shock per dismettere il patrimonio statale destinando le risorse alla riduzione del debito e all’abbattimento della burocrazia ? Purtroppo l’invito rivolto al pubblico di sottoscrivere BOT e CCT non lascia ben sperare. Anzi, l’invito dovrebbe essere quello contrario in guisa tale da sottoporre costantemente il giudizio sull’operare dei politici agli investitori istituzionali.
stefano monni
Concordo pienamente con il contenuto dell’articolo, anche se ritengo opportuna una precisazione, con particolare riferimento alla proposta di riduzione della pressione fiscale.Nell’articolo viene proposta una riduzione dell’aliquote fiscali. Al riguardo non ritengo tale proposta criticabile, anche se personalmente penso sia più utile una riduzione delle aliquote che tenga conto della maggiore propensione marginale al consumo dei contribuenti con redditi minori. Se è vero come è vero che un problema attuale è quello della contrazione dei consumi, penso sia appropriata una riduzione più consistente delle aliquote relative ai redditi più bassi, piuttosto che una riduzione spalmata su tutte le classi di contribuenti. Ciò provocherebbe un aumento della spesa per consumi che, unitamente ad un impulso della spesa pubblica per investimenti, potrebbe ridare slancio alla nostra economia.
domenico laruccia
No way! lo ripeto dal 2000, l’Italia non può che finire col default questo 50ennio di involuzione e avvitamento su stessa della moralità, mentalità e etica. moralità e efficienza di un qualsivoglia sistema vanno di pari passo, tanto più quando non v’è un autorità forte a guidare il paese se si aspira a essere una repubblica democratica moderna, essendo invece una repubblica sudamericana, nella sostanza. Questa è stata l’evoluzione italiana con la fine del comunismo e a quel target arriveremo, centreremo certamente il default. Come sempre da quasi un decennio, consiglio di evitare titoli di stato italiani, oggi più che mai, e di solito in queste situazioni quando se ne inizia a parlare è già troppo tardi. Mi davano dello sfascista e invece era solo concreta aderenza alla realtà, ma la classe politica italiana e i loro lacché non se ne rendono ancora conto oggigiorno, gravissimo segnale di quel che il futuro riserva agli italiani. Il falò del default arde sotto la calma cenere dell’Euro, prepararsi all’incendio devastante entro un decennio (forse domani, forse nel 2020, chi lo sa); italiano avvisato, mezzo salvato.
marcello battini
Tagli delle spese correnti, delle imposte sui redditi più bassi, investimenti in infrastrutture, sono i suggerimenti che gli studiosi d’economia offrono, inutilmente, da lungo tempo. Come altri, potrei aggiungere la lotta all’evasione fiscale e una più corretta regolamentazione dei mercati dove nascono le bolle più pericolose per la stabilità del Paese (cominciando dal settore immobiliare), non solo sul piano economico, ma anche su quello sociale. Mi preme qui sottolineare una cosa non sempre evidenziata. Anche Regioni, Comuni, etc., a prescindere dall’azione governativa che, certo è indispensabile, possono applicare nel loro piccolo queste iniziative di politica economica. Se fossero numerose, si potrebbe, comunque, perseguire dei risultati significativi.
Andrea G.
Sono contrario alla riduzione delle aliquote IRPEF, i soldi in più andrebbero a finanziare produzioni di paesi stranieri e dunque al loro sviluppo. I soldi a pioggia non hanno mai dato nessun risultato in crescita. Aumento dell’età pensionabile non farebbe altro che aumentare l’evasione per i prossimi anni. Bisognerebbe tagliare le pensioni più alte di un 15 % – % inflazione spalmati su cinque anni, si rientrerebbe di spesa corrente per investire in energia, competitività, istruzione. Se il federalismo fiscale venisse fatto con buon criterio condannerebbe i cattivi amministratori a vantaggio di quelli buona. Il governo (gli italiani) devono decidere su quali generazioni puntare. Che ogni generazione cominci a pagare i suoi debiti senza lasciarli ai propri figli!
Tommaso
Sono convinto che arriveremo al default, entro 10 anni, e non solo per tutte le questioni economiche giustamente segnalate nell’articolo e nei commenti, ma soprattutto per la completa mancanza di unità di intenti all’interno di quella accozzaglia di individualismi che ci ostiniamo a chiamare Stato Italiano. Sarebbe evitabile? Certamente, ma non verrà evitato perché prima di individuare la cura, bisognerebbe mettere da parte gli interessi individuali ed agire come una comunità, cosa che dall’Unità d’Italia è accaduta solo con la dittatura o un pesante intervento esterno (Piano Marshall). A meno che non si verifichi di nuovo uno di questi, il default sarà inevitabile.
Staffolini Luigi
Tra le misure urgenti, richieste dall’eccezionalità della presente crisi ne suggerirei (anche se sono diverse le misure neccessarie) almeno due: prima, il Decreto legge che reintroduce l’ICI sulla prima casa per redditi superiori ad una certa fascia ISEE, incremento progressivo dell’ICI a partire dalle terze case; seconda, la Riforma definitiva dell’età pensionabile, relativa alle pensioni di anzianità, tentata da Maroni e fucilata dal PD-CGIL, ovvero: età minima per accedere alla pensione 60 anni, per tutti donne uomini e lavori detti usuranti, età per accedere alla pensione, a regime, 64 anni; a domanda tutti possono andare in pensione non prima dei previsti 60 anni ma prima dei 64 anni, perdendo tuttavia una percentuale sulla base degli anni che ancora mancano a 64 anni; le donne possono anticipare la soglia di uscita, minima a 60 anni, senza coefficienti riduttivi in virtù del numero di figli avuti.
Adrian L.
Da anni i tecnici conoscono le soluzioni per uscire dall’impasse italiana. Tutto ciò che lei propone è una variante attualizzata (ad una situazione più grave) di quanto già sappiamo. I motivi per i quali non si è fatto nulla in passato sono gli stessi per i quali non si fa niente adesso, ampiamente descritti negli articoli di commento al suo. La soluzione? E’ necessaria una classe politica (o un politico?) che metta gli italiani di fronte alla realtà e che possa rappresentare un progetto con il quale ottenere quel consenso necessario a ‘forzare’ gli interessi particolari che bloccano il paese. Ma fondamentale è il progetto, altrimenti le risorse recuperate da tagli ed efficientizzazioni sarebbero disperse nel nulla. Mi spaventa l’idea di investimenti senza un piano preciso che stabilisca su cosa puntare, su cosa dovrà basarsi nei prossimi decenni l’economia di un paese moderno che non può più contare su un’industria di tipo manufatturiero. Rappresentare un progetto convincente è poi necessario per rendere socialmente sostenibile la dolorosità dei tagli. Può nascere nell’Italia di oggi una simile forza politica? Non so, ma se questo non succede probabilmente sarà default.
Enrico Gava
Ho letto molti commenti in cui si auspica un taglio della spesa e un conseguente taglio delle tasse: giusto, peccato serva veramente a poco, l’idea è quella che il settore privato, soggetto a regole di mercato, sia più efficiente del settore pubblico a spendere quei soldi, vero solo in piccola parte. "Economy is about Choices" non so dove l’ho letto ad ogni modo il messaggio è chiaro, l’economia tratta di scelte, i denari, o meglio la richezza prodotta da un paese in un anno è il "frutto" delle scelte passate, presenti e future, come dire che i soldi sono un prodotto dell’economia (tant’è che in economia parlare di bruciare soldi ha perfettamente senso). Premesso questo come possiamo sperare che la macchina Italia segua l’itinerario giusto se alla guida ci sono incompetenti tanto nel settore pubblico (il povero fiscalista Tremonti e l’incommentabile maggioranza che lo supporta), quanto nel settore privato, stretto tra affarismo di stampo mafioso e deficit di meritocrazia nei confronti degli altri paesi ( –>Fuga dei cervelli). Speranze? Personalmente poche anche se non credo l’Italia fallirà nel medio termine.
Stefano
Vorrei mettere a conoscenza degli interessati all’argomento default Repubblica Italiana, che il tanto decantato fondo di garanzia sui depositi non esiste, o meglio non é altro che uno scatolone vuoto. L’ho potuto appurare in uno scambio di mail con l’ente stesso. Il fondo non ha dotazioni proprie permanenti ma funge solo da garanzia "politica" (capiamo tutti bene quanto può valere una simile garanzia in Italia) al default delle banche. Vi immaginate se dovessero fallire Unicredit o Montepaschi, che grado di liquidità del sistema bancario si avrebbe, per poter creare i fondi necessari a rimborsare i depositi dei risparmiatori?! Immaginatevi poi il grado di liquidità dello Stato Italiano…
angelo umana
Però c’ è tanta ricchezza che potremmo recuperare: le rigidità di varie classi che assicurano loro rendite parassitarie; trattenute sindacali praticate a lavoratori dipendenti più o meno consezienti; evasione/elusione contro cui pochissimi politici in realtà hanno lottato(pil sommerso) e, a questo fine, creare conflitto di interesse tra cliente pagatore e fornitore che incassa (detraibilità di tutte le spese); abolizione – come detto – di province (l’ attuale maggioranza candidandosi parlò addirittura di 30 mlrd. di risparmi), comunità montane e altre cose inutili; contenimento della spese pubblica attraverso controllo PA e riduzione parlamentari oltreché riduzione delle loro prebende (si mettono in politica e vincono un enalotto!). Credo che tutto dipenda dalla politica economica, il mercato che si aggiusta da sé non esiste, il mrct. si aggiusta per guadagnare con le regole di poltica economica che gli vengono date. Per attuare una politica economica saggia ci vogliono politici che vogliano solo il bene pubblico, dico che ce ne abbiamo ma … riusciranno mai a governare veramente?
antonio
La storiella del debito pubblico è la strofa del lupo che per attirare gli agnellini dice che nel fiume ci sono i pescecani…le banche e le borse sono il lupo.. L’italia non fallirà mai perché non potrà fallire un paese economicamente e socialmente impegnato a livelli europeo e mondiale! l’argentina non era in questo situazione sociale e per cio’ e’ andata! cio’ non significa che non bisogna accellerare i cambiamenti e le riforme!