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SENZA TETTO, MA NON SENZA SPERANZA

Il 14 gennaio è stato effettuato a Milano il primo censimento dei senzatetto. La ricerca è stata realizzata grazie alla borsa di studio in ricordo di Riccardo Faini che due anni fa ci lasciava. A lui sono anche dedicati i Dossier Grazie Riccardo, Ricordando Riccardo e Riccardo, un anno dopo. Sono stati censiti quattromila adulti che dormono in strada, nei dormitori o in baraccopoli, campi nomadi ed edifici dismessi. E’ una popolazione estremamente variegata, ma con caratteristiche demografiche, di capitale umano, di partecipazione al mercato del lavoro che aprono alla possibilità di politiche di reinserimento e non solo di mera assistenza.

 

Dopo la recente bolla del mercato immobiliare, che ha colpito progressivamente a macchia di leopardo i paesi su entrambe le sponde dell’oceano, il dibattito e l’attenzione sul tema della casa si sono fatti sempre più caldi. L’enfasi, tuttavia, è quasi sempre su chi già possiede una casa o, al più, è in procinto di acquistarla. Raramente, e solo nei mesi invernali, si parla di coloro che la casa non l’hanno: i senza tetto.
Sembra esserci un consenso unanime sul fatto che il possesso della casa debba essere un diritto acquisito in tutte le società sviluppate che davvero possano essere definite tali. Al contrario, proprio laddove la ricchezza è maggiore, questo diritto primario, che è alla base del vivere sociale, è spesso disatteso.
In Italia, la quota di popolazione che possiede una casa di proprietà è tra le più alte del mondo, oltre il 73 per cento: un dato che sembra far passare in secondo piano il problema dell’assenza di una casa tout court. In ambito accademico, a non accendere neppure il dibattito concorre il fatto che i dati affidabili sul fenomeno sono estremamente limitati a livello internazionale, e pressoché nulli in Italia.

LA DIMENSIONE DEL FENOMENO

Il primo censimento completo dei senza tetto in Italia è stato effettuato il 14 gennaio 2008, nel comune di Milano grazie alla borsa di studio in ricordo di Riccardo Faini promossa dall’Ere. In linea con la definizione internazionale, il censimento ha riguardato tutti coloro che nella notte di riferimento dormivano in luoghi non preposti all’abitazione. La rilevazione ha fotografato una popolazione di circa 4mila adulti privi di una casa: 408 erano in strada, 1.152 nei dormitori e circa 2.300 nelle baraccopoli, campi nomadi o edifici dismessi. La distribuzione spaziale della popolazione mostra una maggior concentrazione  nel centro città ma una distribuzione regolare su tutto il territorio cittadino.  (Figura 1 e 2)
La sola quantificazione del fenomeno è già di per sé un risultato interessante. L’unico dato esistente in Italia, infatti, risaliva al 2001 e stimava una popolazione di 17mila persone sull’intero territorio nazionale, pari quindi allo 0,03 per cento della popolazione nazionale. L’assenza di dimora sembrava un fenomeno estremamente marginale e ben lontano dalle dimensioni assunte negli Stati Uniti, dove la quota di senza tetto sul totale della popolazione si attesta nell’ordine dello 0,2 – 0,3 per cento.

CHI SONO I SENZA TETTO?

Il secondo risultato interessante è quello connesso alle caratteristiche della popolazione, emerse dall’indagine condotta su un campione casuale di circa mille individui. I tratti distintivi sono, infatti, ben diversi da quelli dell’iconografia tradizionale del clochard come di un individuo che rifiuta il mondo e le sue convenzioni ed è pertanto completamente avulso dal tessuto dalle reti sociali.
La popolazione è prevalentemente composta da uomini nella parte centrale della vita. L’età media è 40 anni, ma ci sono differenze significative tra strada e dormitori rispetto alle aree dismesse, la cui popolazione è formata in egual misura da uomini e donne relativamente più giovani (30,7 anni).
Le persone relativamente più anziane tendono a preferire la strada ai dormitori. E ciò porta a riflettere su un aspetto non neutrale rispetto alle politiche di reinserimento. Se infatti, da un lato, la vita e la sopravvivenza in strada è più difficoltosa, una simile scelta da parte delle persone relativamente più anziane sembra suggerire che all’avanzare dell’età si è relativamente meno propensi ad accettare il grado di socialità e il rispetto di regole connesse alla residenza nei centri di accoglienza notturna.
Lo status di street homeless appare più cronico rispetto a quello di chi dorme nei centri di accoglienza notturna. In media, gli intervistati sono in strada in modo continuativo da 4,5 anni, mentre nei dormitori da 3,2 anni. Preoccupante è il livello di cronicità che si riscontra nelle aree dimesse, dove la permanenza continuata supera abbondantemente gli 8 anni. (1) La strada e le baraccopoli, perciò, rappresentano la forma più estrema di homelessness: dopo un periodo più o meno lungo di permanenza le difficoltà di reinserimento nel tessuto sociale risultano maggiori.
La composizione etnica è variegata per effetto della netta maggioranza di stranieri (67 per cento) concentrati soprattutto nelle baraccopoli, mentre la quota scende al 60 per cento nei dormitori e al 44 per cento in strada. Le nazionalità di origine sono in linea con la popolazione straniera presente sul territorio nazionale e, per lo più, si tratta di immigrati di nuova generazione arrivati dopo il 2000.
Se gli italiani indicano come causa principale della loro situazione attuale problemi legati alle relazioni familiari e al mercato del lavoro, gli stranieri riconoscono nell’immigrazione con i connessi problemi di lingua, documenti, lavoro il motivo della mancanza di una casa. L’homelessness è quindi il punto di rottura di un percorso di vita per gli italiani: il risultato di un processo di impoverimento oggettivo progressivo i cui effetti si sommano a cause ed eventi di tipo soggettivo quali esperienze traumatiche, di tipo sia familiare (separazioni, lutti, abusi) sia istituzionale (problemi legali, mancanza di assistenza). Per gli immigrati, al contrario, l’assenza di una casa sembra essere accompagnata da un progetto migratorio, che consente di vivere in una condizione di privazione per un periodo di tempo sufficiente per realizzare i propri obiettivi e pervenire a un maggiore benessere.
La popolazione è mediamente istruita, con una quota non trascurabile di laureati (6 per cento), e attiva nel mercato del lavoro (74 per cento) (Tabella 1). Circa un terzo ha svolto un lavoro nell’ultimo mese. Di questi, oltre la metà ha operato nell’economia sommersa e non possiede alcun tipo di contratto, mentre circa un quarto ha contratti temporanei (Tabella 2).
La condizione di povertà materiale estrema non si riflette sul livello di conoscenza del tessuto sociale in cui i senza tetto vivono. Oltre il 57 per cento ha ascoltato un telegiornale o un radiogiornale il giorno della rilevazione, mentre il 15 per cento lo ha fatto al più nell’ultima settimana. Un’analoga proporzione si trova per la lettura di giornali (Tabella 1). Oltre i tre quarti degli intervistati sono informati sulla situazione politica del paese.

CHE COSA FARE?

Alla luce di questi risultati due riflessioni sono necessarie.
In relazione al quantum, sembrerebbe che il fenomeno sia notevolmente cresciuto negli ultimi anni anche in Italia. Usare il condizionale è d’obbligo poiché le metodologie di rilevazione adottate non consentono una perfetta comparabilità dei risultati.
La serietà del fenomeno è comprovata dal fatto che l’Unione Europea abbia incluso tra le priorità proprio l’individuazione di strategie tese ad aumentare la protezione e a favorire l’inclusione sociale di chi non possiede una casa.
Diventa quindi fondamentale la sistematicità e la periodicità delle rilevazioni sui senza tetto, al pari di quanto fatto con la popolazione generale. Solo se si hanno dati affidabili sul fenomeno, che consentano confronti intertemporali. è possibile attuare politiche pubbliche efficaci nel breve, ma soprattutto nel lungo periodo.
Realizzare sistemi integrati di rilevazione è meno difficile di quanto possa sembrare. La maggior parte delle realtà che operano con i senza tetto registrano quotidianamente informazioni sui loro utenti. In potenza, esiste quindi un patrimonio di dati amministrativi che se condiviso tra enti e messo al servizio della comunità scientifica consentirebbe di effettuare analisi più approfondite. Sarebbe sufficiente fissare poche linee guida e alcune direttive essenziali per creare banche dati da cui estrapolare le informazioni necessarie. (2)
Se si considerano invece i risultati qualitativi dell’indagine, emerge come l’homelessness non vada di pari passo con la hopelessness di reinserimento nel tessuto sociale. La popolazione è estremamente variegata, ma ha caratteristiche demografiche, di capitale umano, di partecipazione al mercato del lavoro che sembrano suggerire la possibilità (e l’auspicabilità) del disegno di politiche di reinserimento piuttosto che di mera assistenza. Le politiche volte ad alleviare o attenuare il fenomeno, come gli interventi di emergenza e temporanei, sono sicuramente importanti, ma rischiano di accelerare fenomeni di cronicizzazione creando dipendenza: tanto è facile entrare nei circuiti di assistenza, quanto è difficile uscirne.
Viceversa, politiche di inclusione sociale che passino in primis dal mercato del lavoro e da quelo immobiliare, come interventi di supporto o di housing sociale, possono generare interessanti esternalità positive sulla società nel suo complesso e agevolare circoli virtuosi nel gruppo dei pari.

Figura 1: La distribuzione spaziale dei senza tetto in strada (apri)

Figura 2: La distribuzione spaziale dei senza tetto nei centri di accoglienza (apri)

Tabella 1: La partecipazione al mercato del lavoro

  Tutto Maschi Femmine Italiani Stranieri
Tutto il campione 74.39 76.8 68.08 59.54 81.48
Strada 57.14 59.59 40.91 51.58 64.38
Dormitori 78.3 79.83 70.15 62.57 88.93
Aree dismesse 77.94 84.83 70.76 65.79 79.42

 

Tabella 2: La situazione contrattuale dei senza tetto attualmente occupati

  Tutto il campione Italiani Stranieri Strada Dormitori Aree dismesse
Contratto permanente 13.12 9.3 14.8 9.52 8.94 18.8
Contratto temporaneo 22.7 29.07 19.9 7.14 30.89 19.66
Non hanno un contratto 58.16 55.81 59.18 64.29 56.91 57.26
Non so 1.06 2.33 0.51 2.38 0.81 0.85
Non risponde 4.96 3.49 5.61 16.67 2.44 3.42

 

Tabella 3: Ultima volta in cui si è letto un quotidiano

  Tutto il campione Donne Uomini Italiani Stranieri
Oggi 56.22 31.92 65.49 64.59 52.2
1 settimana fa 14.24 20 12.04 10.49 16.04
1 mese fa 3.83 5 3.38 3.93 3.77
6 mesi fa 0.85 0.77 0.88 1.31 0.63
1 anno fa 0.11   0.15 0.33  
più di un anno fa 2.44 3.08 2.2 4.26 1.57
Mai letto un giornale 14.77 27.69 9.84 9.84 17.14
Non so 4.99 8.08 3.82 3.28 5.82
Non risponde 2.55 3.46 2.2 1.97 2.83

 

(1) La durata media è stata calcolata dal giorno di arrivo in strada/dormitorio/area dismessa al momento della survey. Quindi, non potendo osservare l’uscita dallo stato di homeless, il dato è sottostimato.
(2) Una metodologia informatizzata altamente sofisticata di questo tipo è l’Homeless Management Information System, utilizzata dal Department of Housing and Urban Development negli Stati Uniti su un campione di 80 città, in diverse aree geografiche del paese, che consente rilevazioni sistematiche cadenzate in modo regolare nel tempo.

PER SAPERNE DI PIU’:

Primo censimento dei senza dimora a Milano, Risultati preliminari e progetto di ricerca da www.frdb.it

Foto: da internet

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  1. GIANLUCA COCCO

    Come fate a slegare i dati sui proprietari di casa da quelli sulla composizione del nucleo familiare? L’Italia non può sbandierare alcuna virtù sul diritto alla casa. Il dato del 73% andrebbe scorporato di quelle centinaia di migliaia di persone che sono costrette a rimanere a casa dei propri genitori, pur desiderando ovviamente di avere una casa propria o quanto meno di potersi permettere un affitto. Quanto al problema dei senza tetto, per quanto poco significativo dal punto di vista statistico, si tratta di una scelta prettamente politica: la forbice sempre più ampia creata sulla distribuzione dei redditi fa si che crescano coloro che, non avendo una protezione familiare, rimangano senza tetto e coloro che, pur potendo contare sul tetto dei genitori, non possono permettersi una vita indipendente. Dunque si tratta solo della parte più drammatica del generale problema casa, che risente, oltre che della generale maldistribuzione della ricchezza, dell’assenza di politiche per la casa, considerato ormai un bene qualunque. Servirebbe invece un forte investimento sull’edilizia pubblica, una forte regolamentazione del mercato della casa e l’abolizione del canone libero per gli affitti.

  2. elena scardino

    Molto interessante e utile questo primo risultato, Che mi auguro sia letto da che ha il dovere di occuparsi del problema. Penso che sarebbe anche importante però dare maggiori indicazioni sulle possibili soluzioni per evitare la cronicizzazione e favorire il reinserimanto.

  3. Forcella

    Ho trovato molto interessante questo articolo. Penso che si tratti di un tema che umanamente non può essere relegato al servizio natalizio dei telegiornalil. Sono convinto che il problema dei senza-tetto mostri un aspetto importante della nostra società, specie se approfondito come in questo articolo: gli spunti di riflessione sulle possibilità (o volontà) di reinserimento sono, almeno per me, inaspettati quantomeno nelle proporzioni e meritano ulteriori approfondimenti. Complimenti per il lavoro svolto dalla redazione e un augurio che continuiate così.

  4. Stefano

    Condivido in massima parte le osservazioni di Gianluca. In effetti non ho mai capito come si calcoli questo 73% – in tv in genere è 90% -. In particolare non capisco, e chiedo: – la statistica dice che il 73% degli italiani abita in una casa di proprietà di qualcuno che ci abita (es genitori)? ma non si dovrebbe considerare solamente il/i proprietario/i? volgio dire se in un nucleo familiare di 5 persone la casa è del padre non c’è una differenze tra dire che il 100% del campione è proprietario di casa o il 20% lo è? l’approccio è statistico o sociologico? – i miei amici Raffaele e Alessia hanno comprato una casa con un mutuo di 25 anni; vengono considerati proprietari loro o la banca? immagino loro (!) non sarebbe meglio almeno esprimere la statistica considerando le different categorie che la compongono? – gli abusivi/occupanti senza titolo, sono ricompresi nella statistica come proprietari?

  5. BOLLI PASQUALE

    La speranza è l’ultima a morire o la morte e l’ultima speranza? I poveri,quelli che non hanno né tetto, né risorse, in questo nostro Paese possono sperare nel miglioramento delle loro condizio-ni? Affermare ciò, significherebbe illudere, ancora una volta, chi non è mai vissuto di illusioni. La Politica, così com’è interpretata in Italia, può prendere provvedimenti in favore di chi vive in totale disagio? I poveri per chi, oggi, governa sono un fastidio e le politiche ad essi riferite sono perdita di tempo e di denaro.Un investimento in tale settore che ritorno potrebbe avere? Nessuno, e poi, si possono perdere denari che nemmeno si hanno? La Politica con la p maiuscola non si fa con l’aiuto ai poveri ma con le grandi opere, perché soltanto con queste realizzazioni, un comunissimo uomo pensa di diventare un grande uomo di Stato. Ma poi c’è altro da pensare nell’agenda di chi governa: ci sono lodi importanti e, si badi bene, non sono quelle al Signore, ma quelli ad personam. Per solidarizzare con i poveri possiamo soltanto evangelicamente dire:"beati i poveri perchè di essi è il Regno dei cieli".

  6. piero gioda

    Avevo letto di un’indagine anche a Torino. E’ poi stata pubblicata? cordialmente Piero Gioda

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