Anche se un vero e proprio processo completo di ridefinizione delle aree e dei settori di intervento pubblico avrebbe richiesto tempi molto più lunghi, nella spending review del governo Monti c’è più revisione della spesa di quanto possa sembrare a prima vista. Alcuni spunti sono interessanti, come il superamento dei tagli lineari in diversi ambiti. Suscitano invece qualche perplessità le disposizioni che riguardano la spesa degli enti territoriali. Soprattutto perché non appaiono chiari i criteri per la ripartizione delle riduzioni dei trasferimenti.
Quanta spending review c’è nella spending review del governo Monti? Non moltissima, ma più di quanto possa sembrare a prima vista.
GLI OBIETTIVI DI MEDIO E LUNGO PERIODO
Facciamo un passo indietro. Che cosa è la spending review (o expenditure review)? È un processo di revisione della spesa pubblica, che si propone di superare la spesa storica, ovvero il finanziamento inerziale di tutti i programmi di spesa delle amministrazioni pubbliche, adottando un approccio di tipo selettivo, che si contrappone ai tagli lineari o all’introduzione di tetti di spesa, che risultano più semplici e immediati da attuare.
Quali obiettivi più precisamente si possono perseguire con la spending review? Un primo obiettivo, realizzabile anche nel medio periodo, è quello di verificare se e in che misura i programmi di spesa esistenti possano essere attuati con l’impiego di minori risorse (functional spending review, adottata per esempio in Finlandia). Un secondo obiettivo, realizzabile solo nel lungo periodo, è invece quello di ridefinire le aree e i settori di intervento dell’operatore pubblico, in altri termini di ridefinire ciò che questo dovrebbe o non dovrebbe fare (strategic spending review, adottata in Australia, Canada, Danimarca, Olanda e Regno Unito). In Italia, dopo l’esperienza del 2007, il programma è diventato permanente nel 2008, ma solo nel 2011 la prima “manovra Tremonti” ha impegnato il ministero dell’Economia ad adottare un nuovo ciclo di spending review per il 2012. Ed ecco il decreto del 6 luglio.
GLI SPUNTI INTERESSANTI
Quali sono gli elementi di spending review contenuti nel decreto? Molte delle disposizioni che prevede non sono il risultato di un vero e proprio processo completo di revisione della spesa, che, per la sua natura, avrebbe richiesto tempi più lunghi, ma ci sono spunti interessanti che meritano di essere sottolineati. Facciamo qualche esempio.
1) Riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi delle amministrazioni centrali dello Stato: i risparmi sui costi di gestione delle diverse strutture (amministrative e operative) non discendono da tagli lineari, ma sono commisurati all’eccesso di spesa (per anno-persona di ciascuna amministrazione) rispetto al valore mediano dei costi stessi.
2) Riduzione degli organici: dato l’obiettivo generale, la riduzione può non essere della stessa proporzione per tutte le amministrazioni; è in altri termini consentito che riduzioni di organico inferiori alle percentuali indicate, in alcune amministrazioni, siano compensate da riduzioni superiori degli organici di altre, sulla base delle loro specifiche esigenze.
3) Soppressione e razionalizzazione delle province: l’obiettivo è quello di individuare una sorta di “dimensione ottima”, dal punto di vista dell’estensione del territorio e della popolazione. Obiettivo analogo persegue la norma che introduce l’obbligo per i comuni di modesta dimensione di costituire unioni di comuni.
Anche altre misure rientrano nell’ambito della spending review, sia pure di minore impatto finanziario: l’introduzione di un tetto massimo al valore dei buoni pasto; il riordino della norma per l’acquisto dei servizi di pagamento degli stipendi, che impone a tutte le amministrazioni di acquistare tali servizi dal Mef o comunque a un prezzo non superiore a quello praticato dal ministero; la riduzione dei costi delle locazioni passive, con la possibilità che Stato ed enti locali utilizzino a titolo gratuito gli immobili reciprocamente posseduti. Si tratta di misure che consentono di risparmiare, senza incidere sui servizi resi ai cittadini (come recita il titolo del decreto).
LA SPESA DEGLI ENTI TERRITORIALI
Suscitano invece qualche perplessità le disposizioni concernenti la riduzione della spesa degli enti territoriali. Dato l’obiettivo generale di riduzione delle spese per acquisto di beni e servizi, vengono tagliati i trasferimenti alle Regioni a statuto ordinario (700 milioni nel 2012 e 1 miliardo a partire dal 2013) e alle Regioni a statuto speciale e province autonome di Trento e Bolzano (600 milioni per il 2012, 1,2 miliardi per il 2013 e 1,5 miliardi per il 2014); viene ridotto anche il fondo sperimentale di riequilibrio a favore dei comuni (500 milioni nel 2012 e 2 miliardi a partire dal 2013) e delle province (500 milioni nel 2012 e 2 miliardi a partire dal 2013). Tutto ciò si riflette sugli obiettivi del patto di stabilità interno, che viene inasprito. La logica è quella di applicare dall’alto, tagliando i fondi ex-ante, una sorta di spending review in relazione ai consumi intermedi degli enti territoriali. I tagli infatti non dovrebbero essere lineari all’interno di ciascun comparto: la riduzione dei trasferimenti dovrebbe essere ripartita tra gli enti di ciascun livello di governo in base alle analisi della spesa effettuate dal commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi e dalla Conferenza permanente per il rapporti tra Stato, Regioni e province autonome. Per quanto riguarda i comuni, il decreto è più esplicito: la riduzione dei trasferimenti dovrebbe tenere conto anche dei dati raccolti nell’ambito della procedura per la determinazione dei fabbisogni standard. Ma ci sono i tempi tecnici per le deliberazioni della Conferenza? In assenza di deliberazione della Conferenza, il ministero dell’Interno emanerà comunque, entro il prossimo 30 settembre, il decreto di riparto delle riduzioni dei trasferimenti. Come verranno distribuiti i tagli in questo caso? La norma parla di riduzione in proporzione alle spese per consumi intermedi sostenute nel 2011, rilevate dal Siope. Il criterio non è del tutto chiaro (e su questo punto, nulla dice la Relazione tecnica), ma non sembra, ed è auspicabile, proporre tagli lineari, ovvero nella stessa percentuale per tutti gli enti.
Va infine sottolineato che il comparto degli enti territoriali è quello da cui derivano i maggiori risparmi associati alle disposizioni del decreto, 2,3 miliardi di euro su 4,4 complessivi, vale a dire il 52 per cento, nel 2012; la percentuale si riduce lievemente nel 2013 e nel 2014. Nulla da obiettare se si tratterà solo di riduzione di “sprechi”, nell’ottica della vera spending review; molto da obiettare se i tagli si tradurranno in minori servizi ai cittadini.
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