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IL TIMONE AL G20*

Il G20 sostituisce il G7 nella guida dell’economia mondiale. Certo non si poteva costruire una riforma del sistema economico globale, della Banca mondiale o del Fondo monetario nella ristretta cerchia dei sette grandi. Ma anche il G20 ha i suoi problemi. Prima di tutto pratici per il numero di paesi che lo compongono. Poi di legittimità: chi li ha delegati a rappresentare le altre 190 nazioni del mondo? Ma anche di metodo di lavoro, con quattro gruppi che andrebbero riunificati per arrivare a un accordo generale. Sono tutte questioni risolvibili. A patto che vengano affrontate.

 

Una delle conseguenze più ovvie della crisi 2008 è senz’altro stato il colpo da maestro che ha permesso al G20 di sostituire, nella direzione dell’economia mondiale, il G7 o G8. Se non si vuol credere a questa affermazione, basta considerare la risonanza mondiale ottenuta dal gruppo dei 20 in novembre, paragonandola alla scarsa eco riscossa dal meeting romano dei ministri delle Finanze del G7.
Nessuno pensa che il ruolo possa ormai venire esercitato, e ancor meno diretto, dal G7. Così come nessuno pensa che sia il G7 a dover riformare l’Fmi e la Banca Mondiale, né che sia in grado di fornire una risposta globale, monetaria e fiscale alla più grave recessione avvenuta dopo la seconda guerra mondiale. Che si tratti di trovare un accordo, o di sviluppare nuove idee e di procedere alla loro realizzazione, tutti concordano sul fatto che sia compito del G20. Ma ciò comporta parecchi problemi.

I PROBLEMI DEL G20

Innanzitutto, sono problemi pratici. È più complesso mettere in moto un G20 di un G7. E non è pensabile una teleconferenza a 20: non è certo una struttura adatta a spegnere un incendio. Un meccanismo così lento non riuscirebbe mai a trovare risposte idonee nell’arco di un week-end, in tempo per la riapertura dei mercati asiatici del lunedì mattina. Sarebbe quindi auspicabile strutturare uno strumento più agile, a piccoli gruppi, che non ricalchino però il G7.
In secondo luogo, esistono problemi di legittimità. Chi ha delegato il G20 a rappresentare i 190 paesi del mondo? Quale accordo, quale trattato internazionale descrive i meccanismi di selezione e rotazione? Che dire di quei paesi che non vi partecipano, come quelli dell’Asean (che non capiscono perché dovrebbero essere, per esempio, rappresentati dall’Indonesia la quale, a parte tutto, ha un Pil inferiore alla Thailandia)? E dov’è l’Iran, che ha un’economia ben più forte dell’Argentina?
In terzo luogo, esistono tensioni, per giunta esacerbate dalla riforma in corso del Fmi, con il Comitato monetario e finanziario internazionale (International Monetary and Financial Committee), che conta 24 membri non 20. La maggior parte dei 24, ma non tutti, fra l’altro,  rappresentano gruppi di paesi. Gli statuti del Fmi attribuiscono al Comitato un potere costituzionale, per decidere sulle priorità strategiche e politiche del Fondo. Tali decisioni dovrebbero rientrare anche nei poteri del G20. Ma in caso di disaccordo tra le due istituzioni a chi dovrebbe dar retta la comunità internazionale?
E infine, il G20 ha organizzato il suo programma di lavoro in quattro gruppi di lavoro: il primo gruppo si occuperà di come rinforzare e regolamentare il controllo finanziario, il secondo di come incoraggiare la cooperazione internazionale, il terzo di riformare il Fmi e le banche di sviluppo multilaterali e il quarto di mantenere aperti i mercati. Ma questa organizzazione non è ottimale. I quattro settori sono interconnessi; le riforme politiche dipendono da quelle inerenti agli altri settori. E per giunta è più probabile che si pervenga a un buon accordo, se i problemi son tutti messi contemporaneamente sul tavolo. Si potrebbe in tal modo raggiungere compromessi tra paesi, disposti a rinunciare a qualche vantaggio in cambio di altri. Anzi, per dirla tutta, è improbabile che si arrivi a un accordo in qualsivoglia campo, senza una possibilità del genere.

CHI DOVREBBE FAR PARTE DEL G20?

In primo luogo, bisognerebbe rendere più coerente l’appartenenza dei membri al G20 e al Comitato. Il che implicherebbe la trasformazione del G20 in un G24. Si potrebbe per esempio ipotizzare una rotazione tra paesi, che rappresenti le diverse circoscrizioni del Fmi: non sarebbe un’idea malvagia. Certo, non tutti i membri troverebbero il loro tornaconto e alcuni dovrebbero condividere, in base a una prestabilita rotazione, il loro seggio nel G20 con altri rappresentanti della loro area. Ma il prezzo di transazioni e compromessi sarebbe compensato da una maggior legittimità e dall’eliminazione di potenziali conflitti tra G20 e Comitato. Quest’ultimo potrebbe essere trasformato in Consiglio di sorveglianza sul Fmi, il che del resto è previsto dagli statuti dell’ istituzione.
In alternativa, o forse in aggiunta, si potrebbe ipotizzare un cambiamento nella composizione dell’Imfc, che attualmente include tra i suoi 24 membri ben 7 paesi dell’Unione Europea. Non parliamo neanche, per carità, di rappresentante unico dell’Unione: è stato già proposto per il Fmi e la proposta ha suscitato un vespaio. Non si può, tuttavia, non sottolineare che l’Unione fa parte del G20 e che, se vuole seriamente farlo divenire il comitato guida dell’economia mondiale, deve necessariamente rivedere la posizione conflittuale, relativa alla sua rappresentanza in seno al Comitato. In tal modo si rafforzerebbe il ruolo dell’Imfc nel Fmi.
È inevitabile che il G20 si trasformi. D’altronde, deriva esso stesso dall’evoluzione del G33, trasformatosi in seguito in G22, dopo la crisi asiatica del 1997-98. Tale precedente aiuta a comprendere che sono unicamente gli interessi dei membri attuali che impediscono al G20 di evolvere naturalmente in un gruppo compatibile con l’Imfc.

RIUNIRE I GRUPPI DI LAVORO

Riunire i quattro gruppi di lavoro in un negoziato più ampio: ne profitterebbe il mondo intero, vale a dire paesi industrializzati e paesi emergenti. Il problema basilare per il G20, ma anche per tutta l’economia mondiale, è quello di riequilibrare la domanda, di sostenere la crescita globale e di prevenire situazioni di crisi, come quella attuale.
I paesi industrializzati ritengono che spetti ai paesi emergenti stimolare la domanda per sostenere la crescita globale e impedire che sopravvengano squilibri globali. Ma, dal canto loro, e non senza ragione, i paesi emergenti hanno capito, col verificarsi dell’attuale crisi, che necessitano di maggiore, e non minore, assicurazione contro la volatilità. In altri termini, per ammortizzare gli shock, necessitano di riserve di valuta estera più cospicue, che possono ottenere solo con forti surplus di parte corrente e svalutando la loro moneta nei confronti del dollaro.
Questa contraddizione può essere risolta offrendo accesso ad ampie linee di credito presso il Fmi a lungo termine e senza condizioni alle economie emergenti che aspirano a entrare nella logica dei paesi industrializzati. Ciò permetterebbe loro di attingere alle riserve del Fondo, e di conseguenza, di effettuare minori accantonamenti. I mercati di tali paesi, grazie alla capacità di stimolare la domanda, sarebbero invogliati in tal senso, anche se ciò comportasse minori avanzi di parte corrente, tassi di cambio meno favorevoli e meno accumulo di riserve.
Tale soluzione però presuppone ulteriori cambiamenti. In special modo occorre rivedere quella facilità con cui sono stati concessi crediti a breve termine: i paesi devono infatti poter considerare il credito come una reale garanzia, accedendovi senza che ci sia bisogno di crearlo espressamente. I crediti devono inoltre essere concessi con scadenza ben oltre i tre mesi: le esperienze recenti hanno insegnato che la volatilità e il bisogno urgente di finanziamenti possono eccedere tale durata. Inoltre i paesi devono poter contare su crediti più ampi, perché anche in questo caso l’esperienza insegna che i rovesci di flusso di capitali possono essere enormi.
Profondi cambiamenti devono avvenire anche nel sistema di governo del Fmi, per conferirgli quella legittimità che gli manca nei paesi emergenti. Ciò significa andare ben oltre i provvedimenti simbolici del 2006-08 su quote, diritti di voto nonché mezzi per dar voce ai paesi emergenti.

G20: UN PIANO D’AZIONE GLOBALE

In aprile, il G20 pubblicherà un rapporto in cui, tra l’altro, verranno indicati nuovi provvedimenti, atti a instaurare un inedito equilibrio globale e la riforma del Fmi. Se però quest’ultima non riuscisse a favorire gli interessi dei mercati emergenti, non verrebbero adottate neanche le misure volte a riequilibrare l’economia mondiale e a stabilizzare la domanda globale, anche se fortemente volute dai paesi industrializzati. Insomma, il G20 necessita di un progetto globale. Bisogna appurare quali siano i sacrifici da affrontare, se si vuol raggiungere risultati concreti negli altri settori. Ma necessita anche di ampie vedute, che attualmente sembrano mancare. Tutti questi problemi possono essere risolti. L’importante è che vengano identificati e quindi affrontati.

(traduzione di Daniela Crocco)

Foto: da internet

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QUANDO IL GIOCO SI FA DURO

  1. alberto ferretti

    Ma in tutto questo, cosa ci sta a fare l’ONU? Ha facoltà di intervenire?

  2. Federico GIri

    G-7, G-8, G-20, non mi sembra che nessuno sia in grado di dare risposte alla crisi attuale. Sono solo belle parate e nulla più. Citatemi una iniziativa concreta data da uno di questi forum e mi ricrederò.

  3. Luigi

    I G 20 sono le 20 realtà più avanzate dal punto di vista economico: una è l’Unione Europea, otto sono i Paesi più influenti del mondo ( Stati Uniti, Germania, Italia ecc. ) e undici rappresentano le economie emergenti ( Argentina, India,Turchia, Cina, India,ecc.). E’ curioso osservare che tutti i G8 sono ubicati nell’emisfero settentrionale; desta perplessità il fatto che sono ancora classificate come “emergenti” la Cina (con un Pil colossale) e l’India che ha spedito un satellite sulla luna!

  4. bellavita

    Fossi responsabile di uno dei 12 paesi aggiunti al G8, lo rivendicherei come preliminare misura igienica. La truffa la hanno resa possibile loro, non hanno chiesto scusa, sono ancora al loro posto a incassare i bonus dei truffatori, si permettono di pontificare sul debito pubblico dell’europa: ci vorrà una guerra mondiale per trascinarli a Norimberga o basta il procuratore di New York? Forse, se in tutto il mondo si comincia a raccogliere delle firme, il procuratore si sveglia…

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