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L’ASTA FANTASMA

Una parte di spettro frequenziale destinato alla telefonia mobile di terza generazione è stato appena assegnato attraverso un curioso caso di applicazione dei meccanismi di asta. Ma è tutto il sistema delle frequenze a essere gestito in modo inefficiente in Italia. Come dimostrano in primo luogo i blocchi concessi alle televisioni in modo pressocché gratuito. In ogni caso, allo Stato restano incassi limitati da una risorsa pubblica che ha invece un grande valore economico. Una situazione del tutto irragionevole considerati i nostri problemi di finanza pubblica.

 

Nei giorni scorsi abbiamo assistito a un curioso caso di applicazione dei meccanismi di asta per l’allocazione di una parte di spettro frequenziale destinato alla telefonia mobile di terza generazione. Un caso tutto italiano, che però deve far riflettere sull’esigenza di garantire una vera gestione efficiente di una risorsa pubblica “scarsa” di grande valore economico, oggi però mal sfruttata. Ma partiamo dai fatti.

A COSA SERVONO LE ASTE

A cosa dovrebbe servire un’asta con rilanci competitivi? La teoria economica ne ha ben evidenziato tutte le proprietà. In generale, serve a due cose: primo, a selezionare alcuni offerenti quando c’è una domanda maggiore dell’offerta e in particolare a selezionare, in base alle regole di mercato, quegli offerenti che sono disposti a pagare di più per avere un bene. Secondo, a ottenere incassi decenti per il venditore, specie quando il venditore è lo Stato con evidenti bisogni di cassa.
Ma quanti rilanci competitivi vi aspettate quando sono messi all’asta tre oggetti pressoché identici e sono selezionati a partecipare esattamente tre offerenti? Non ci vuole una gran scienza per rispondere: nessuno. Bene, questo è quello che è esattamente successo nella recente allocazione delle frequenze Umt lasciate libere da un operatore, Ipse 2000, che non ha mai iniziato la sua attività commerciale e che quindi ha dovuto restituire lo spettro inutilizzato allo Stato che a sua volta lo ha riallocato sul mercato appunto tramite un’asta competitiva, o almeno supposta tale.

UN PO’ DI STORIA

Come si è arrivati a questa ennesima bizzarria all’italiana? Bisogna fare qualche passo indietro e tornare andare sino al 2000. Nella famosa asta per le frequenze Umts di quell’anno, insieme agli operatori storici come Tim, Vodafone, Wind e il nuovo entrante Tre (H3G), partecipò anche un nuovo operatore, Ipse 2000, partecipato tra gli altri da Telefonica, Edison, Atlanet/Fiat, Banca di Roma. In qualità di nuovo entrante si aggiudicò un pacchetto di frequenze pari a 15 Mhz, più ulteriori 5 Mhz. Dopo una serie di traversie, questo operatore non ha mai iniziato la propria attività e ha dovuto restituire le frequenze allo Stato, o meglio al ministero delle Comunicazioni, oggi unificato con il ministero per lo Sviluppo economico. Si è creato così un tesoretto di frequenze da riassegnare al mercato. Che cosa è stato fatto? Si è cercato di massimizzarne l’utilizzo con un qualche road show per attirare interessi? No, a causa della crisi finanziaria (siamo sempre in crisi a dire il vero), si chiede agli operatori già in attività se per loro esiste la possibilità di trovare un nuovo licenziatario, cioè un rivale. E gli operatori già in attività ovviamente rispondono che difficilmente ci potranno essere nuovi entranti, ma che loro stessi hanno gran bisogno di quelle frequenze per espandere i loro servizi, soprattutto broadband.
Che fare allora? Dare le frequenze gratis non era (forse) possibile, perché Ipse aveva pagato comunque qualcosa e ciò avrebbe creato una inevitabile discriminazione tra operatori con possibili risvolti giudiziari. Per cui si dividono per tre le frequenze Ipse, in tre pacchetti quasi identici tra loro di 5 Mhz ciascuno utilizzabile su base nazionale. Base d’asta di partenza: 495 milioni di euro per ciascun pacchetto. Un valore piuttosto elevato, superiore a quanto recentemente deciso, ad esempio, dai francesi che hanno fissato il valore per un quantitativo di spettro analogo e per frequenze simili intorno ai 240 milioni. Come si è arrivati a questo valore non è ben noto, ma la cosa curiosa è che è del tutto irrilevante. Come dice Paul Klemperer, anche nelle aste il diavolo sta nei dettagli: il capitolato di gara prevede che se non si presentano offerte, il prezzo di riserva scenderà a 88,8 milioni di euro. Anche qui, non ci vuole una gran scienza per capire che la prima asta andrà deserta, e così effettivamente accade. Alla seconda asta, con il prezzo di riserva sceso dell’80 per cento, in teoria, potrebbero partecipare quattro concorrenti, i quattro operatori mobili (Tim, Vodafone, Wind e Tre), per tre oggetti a disposizione, facendo dunque ripartire l’asta competitiva fino a quando uno dei quattro concorrenti deciderà di dichiarare forfeit.
Qui entra in gioco l’azzeccagarbugli: Tre presenta un’istanza al ministero dello Sviluppo economico per ottenere il blocco da 5 Mhz che le è stato riservato ai sensi della delibera Agcom n. 541/08/CONS, art. 3, comma 2, secondo cui “5 Mhz a 900 Mhz sono riservati ai gestori mobili solo Umts e agli eventuali gestori mobili nuovi entranti”. Subito arrivano parole rassicuranti: Tre avrà le sue frequenze nel 2013 e il gioco è fatto. Tre concorrenti per tre oggetti, e l’asta finisce senza mai essere iniziata.

LA GESTIONE DELLO SPETTRO IN ITALIA

Nel nostro paese non vi è una chiara pianificazione delle frequenze. Interi blocchi frequenziali sono allocati a servizi poco utilizzati, mentre avrebbero un gran valore economico. Altri sono dati sostanzialmente in modo gratuito pur fruttando alle imprese (si pensi alla televisione) una valanga di soldi. Quanto meno nella telefonia mobile si pagano le frequenze. Ma è l’intero sistema delle frequenze a essere gestito in modo non efficiente e con limitati incassi per lo Stato. Cosa che sembra irragionevole soprattutto ora che lo Stato ha seri problemi di finanza pubblica.
L’altro caso lampante è quello del dividendo digitale televisivo. All’osservazione che il meccanismo discrimina in quanto avvantaggia solo alcuni operatori televisivi, ovvero Rai, Mediaset e Telecom, il ministro Romani ha risposto dicendo agli altri operatori di non preoccuparsi, che “altre frequenze” saranno trovate per loro in un futuro non molto prossimo, verso il 2015. Insomma, se non si toccano le frequenze televisive, qualche concessione futura sarà fatta. Peccato che le frequenze, pur gestite privatamente, siano pubbliche come proprietà. In teoria, come teorie restano le nostre aste.

Foto: Credit © European Communities, 2009

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  1. Sergio Bondi

    Chiedo agli esperti di diritto: non dovrebbe partire un’accusa di Danno Erariale contro i responsabili?

  2. Antonio Greco

    Leggo nell’articolo "Nel nostro paese non vi è una chiara pianificazione delle frequenze. Interi blocchi frequenziali sono allocati a servizi poco utilizzati," Io che ho lavorato nelle frequenze per decenni, concordo pienamente. E’ una gestione "all’italiana", cioé fatta senza professionalità e talora con interessi di parte! Mi spiace che vi siete fermati li! Non avete detto quello che è ovvio a tanti espatriati: le gestioni pubbliche (salvo ecezioni) sono condotte a perdere! Cioé senza risultati validi e senza speranza di miglioramento. Il disastro del paese dipende molto da cio’! Ma puo’ essere diversamente nel paese delle lottizzazioni dei ruoli pubblici? Nel Paese senza bastoni né carote?

  3. Augusto Preta

    Alle volte si ha l’impressione che più stimolanti siano i temi e meno facciano notizia. Spero che anche stavolta non prevalga il silenzio sulle vs puntuali osservazioni, a partire dal dividendo digitale, che da tempo ponete con chiarezza ed efficacia all’attenzione di tutti. Grazie, Augusto

  4. Marco Chino

    Ritengo non esista nessun dubbio sul fatto che l’asta così come strutturata sia stata un "regalo" per i tre partecipanti. Una domanda: dal punto di vista della teoria economica l’obiettivo della Pubblica Amm. (PA) deve essere la massimizzazione dell’entrata di cassa o la massimizzazione del benesserre colletivo? Personalmente credo che l’obiettivo da perseguire sia il secondo anche se ritengo difficile individuare una strategia dominante: propongo due casi. La PA potrebbe giudicare di essere in grado massimizzare il benessere estraendo il massimo valore monetario possibile dai potenziali acquirenti (attraverso la strutturazione di una asta che fornisca ai concorrenti reali incentivi a rivelare l’utilità economica dal futuro possesso delle frequenze) e trasferendo alla collettività servizi aggiuntivi spesabili con i ricavi incassati. In alternativa la PA potrebbe giudicare che la massimizzazione del benessere passi attraverso l’ingresso di nuovi entranti e l’incremento della concorrenza. In questo caso non credo che l’asta sia lo strumento adatto poichè è poco probabile che possa essere vinta da un nuovo entrante (a meno che non sia molto più efficiente degli operatori attivi).

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