Il problema fondamentale del settore automobilistico è la capacità produttiva in eccesso. L’effetto degli incentivi è semplicemente di rinviare la resa dei conti fra i produttori europei. Almeno, negli Stati Uniti gli aiuti sono stati condizionati a un piano draconiano di ristrutturazione del settore che apparisse sostenibile nel medio periodo. In Europa invece le rottamazioni sono state decise dai singoli governi, senza forme di coordinamento esplicito. Il rischio è che i costi sociali saranno molto più alti e concentrati geograficamente quando il gioco al rinvio non sarà più possibile.
Ci risiamo. La Fiat batte cassa. Lamministratore delegato Sergio Marchionne ha dichiarato Sono scelte del governo, faccia quello che deve fare: se non si continua con gli incentivi, la domanda scenderà, perdiamo volumi, non vendiamo vetture, chiudiamo gli stabilimenti. La logica del discorso è ferrea. Ma come, meno di sei mesi fa scrissi che era difficile nascondere la sorpresa e lorgoglio per lexploit americano di Fiat, ora è altrettanto difficile nascondere un senso di delusione. La ricreazione è finita. Come ai vecchi tempi, si torna a chiedere soldi paventando licenziamenti.
INCENTIVI D’AMERICA
Il problema fondamentale del settore automobilistico è la capacità produttiva in eccesso. Leffetto degli incentivi è semplicemente di rinviare la resa dei conti fra i produttori automobilistici europei. È come se un malato che necessita di unoperazione chirurgia venisse curato con antidolorifici. Quanto più lunga la somministrazione di incentivi, tanto più doloroso rischia di essere lintervento quando non sarà più rinviabile. Con la disoccupazione in crescita ovunque, un mercato automobilistico americano sovvenzionato e una situazione già fortemente condizionata dallintervento pubblico in Europa, soluzioni puramente di mercato non sembrano alla portata. La concessione di incentivi non stupisce. Quello che lascia sconcertati nella gestione degli aiuti in Europa è la mancanza di un progetto organico per gestire lo smaltimento delleccesso di capacità produttiva. Gli americani non hanno esitato a intervenire pesantemente a sostegno della loro industria automobilistica, con buona pace per il libero mercato. Accanto alla bombola di ossigeno del Cash for Clunker, con 3 miliardi di dollari di incentivi alla rottamazione, e ad altre forme di aiuti diretti, lamministrazione Obama ha però richiesto un piano draconiano di ristrutturazione del settore che apparisse sostenibile nel medio periodo. Il piano si basa su una ripartizione dei costi della ristrutturazione fra gli azionisti, gli obbligazionisti e i lavoratori. Anche se la situazione è difficile e non è ovvio che il piano abbia successo, la logica è chiara: soldi pubblici solo se accompagnati da progetti di ristrutturazione che dovrebbero riportare il settore a camminare sulle proprie gambe nel giro di pochi anni; inoltre, ogni attore coinvolto si accolla una parte dei costi.
E INCENTIVI D’EUROPA
E in Europa? Niente di tutto ciò. I programmi di incentivo alla rottamazione sono stati assunti dai singoli governi, senza forme di coordinamento esplicito e senza accompagnarli a piani di ristrutturazione. Anzi, anche quando il mercato sembrava prospettare soluzioni in quella direzione, le scelte sono andate da tuttaltra parte. La cessione di Opel in Germania rappresentava unopportunità di creazione di un polo europeo, che avrebbe reso più naturale il coordinamento delle azioni a sostegno della ristrutturazione del settore: la proposta di Fiat puntava a questo. Purtroppo, il processo di cessione ha ricordato da vicino quello di Alitalia: gestita da politici in piena campagna elettorale, con sindacati che privilegiano assicurazioni sui livello occupazionali nellimmediato rispetto a piani industriali più credibili nel medio periodo, e imprenditori che trattano con il governo su più piani. E come nel caso Alitalia, il risultato è un progetto già in crisi prima di nascere: con promesse occupazionali subito messe in discussione e accuse ai tedeschi da parte della Commissione Europea e degli altri governi di voler scaricare sugli stabilimenti fuori dalla Germania gran parte dei tagli occupazionali del gruppo.
Se non si cambia rotta, questa sarà la cornice nella quale si determinerà il processo di ristrutturazione del settore nei prossimi anni. Difficile pensare a uno scenario peggiore. Linevitabile riduzione della capacità produttiva costituirà motivo di scontro fra i governi europei, secondo la logica del cerino acceso: quali imprese soccomberanno? Dove sono localizzati i loro impianti? Poiché la posta in gioco sono decine di migliaia di posti di lavoro, si assisterà a un rincorrersi di aiuti pubblici, rimandando la ristrutturazione e spendendo migliaia di miliardi per costruire e vendere automobili in eccesso rispetto a quelle che i cittadini europei vorrebbero acquistare senza gli incentivi. I rischi sono più grossi per i paesi con situazioni di bilancio pubblico più problematiche, in quanto per loro sarà più difficile continuare a sostenere il settore. E, quanto a difficoltà di bilancio, lItalia parte in pole position. Alla fine, la selezione potrebbe avvenire non sulla base di criteri di efficienza, di capacità di innovare e produrre buone automobili a basso costo, ma sulla capacità dei governi dei singoli paesi di mantenere artificialmente alta la domanda.
GUARDARE AL MEDIO PERIODO
Unalternativa è possibile, anche se difficile da percorrere. Richiede una visione di medio periodo del settore in Europa, che parta dalla constatazione che un certo numero di posti di lavoro andranno persi. La ristrutturazione deve anche passare per una fase di consolidamento: oltre che troppa capacità produttiva, in Europa ci sono anche troppi produttori. Imprese più grandi ed efficienti potrebbero meglio competere sui mercati internazionali, limitando i danni in termini occupazionali. Inoltre, un settore consolidato sarebbe meglio in grado di distribuire tagli occupazionali secondo criteri di efficienza ma anche tenendo conto di unequa distribuzione dei sacrifici fra paesi produttori. Lintervento pubblico si dovrebbe concentrare su ammortizzatori sociali che rendano meno dolorosi i tagli, possibilmente coordinando a livello europeo,o almeno a livello di paesi produttori, forme di compensazione per i paesi più colpiti dalla ristrutturazione. In questottica, un prolungamento degli incentivi, con lobbiettivo di accompagnare la ristrutturazione e posticipare almeno in parte a una fase ciclica più favorevole i tagli occupazionali, sarebbe meno indigesto. Purtroppo, tutti (politici, azionisti, sindacati) sembrano privilegiare una visione di breve periodo: rinnoviamo gli aiuti un altro anno, poi si vedrà. Procedere con incentivi non coordinati e senza un piano di risistemazione del settore non farà altro che caricare ulteriormente una molla già molto tesa. Il rischio è che i costi sociali, quando la molla salterà, saranno molto più alti e concentrati geograficamente nelle aree in cui operano i produttori che soccomberanno in questo gioco al rinvio.
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Giuseppe
il settore dell’auto è irrimediabilmente drogato. Specie in Italia dove gli incentivi alla rottamazione, a differenza degli altri paesi, si susseguono ormai da tre anni consegutivi (anche nel 2007 prima della crisI!!!). Oltretutto si fa credere che i benefici siano degli acquirenti delle auto nuove, quando in realta sono solo per i costruttori. In linea teorica, ma anche pratica, gli incentivi sono pagati dai contribuenti, quindi piu’ incenti significa maggiori tasse. E chi non vuole comprare una automobile nuova, paga le tasse che si trasformano in soldi per i costruttori (anche per quelli europei Koreani Giapponesi). Tutti i giorni che il governo stanzia ogni anni per gli incentivi alla rottamazione, si trasferiscono direttamente nella voce ricavi del conto economico dei vari costruttori di auto. Epoichéla FIAT ha il 33% della quota di mercato in Italia, riceve il 33% dei fondi destinati al settore…. il 67% dei fondi va a costruttori stranieri, che in Italia non fabbricano neanche un’ automobile…
La redazione
Due commenti. Poichè gli incentivi tipicamente riguardano l’acquisto di auto di cilindrata medio bassa, in realtà la quota di Fiat dovrebbe essere superiore a quella media. Pare che in realtà l’anno scorso le auto "incentivate" fossero Fiat per oltre il 60% (per il dato e altre considerazioni a riguardo rinvio al blog di Paolo Manasse). Inoltre, in Europa gli incentivi sono stati adottati anche da altri paesi, e quindi Fiat ha beneficiato di incentivi pagati dai contribuenti tedeschi, francesi eccetera.
stefano datola
Condivido il rilievo sulla mancanza di una politica unitaria degli stati europei per il settore. Ricordo però che il contributo alla rottamazione ha costo nullo per lo stato : anzi se supera un certo volume di auto vendute, divenza attività in utile per lo stato. Oggi leggevo come in America è cessato questo contributo e le vendite di auto sono diminuite ai livelli del 2008… Con ammirazione Stefano
La redazione
Riporto una risposta di Carlo Scarpa, che condivido.
Purtroppo in realtà il contributo alla rottamazione non ha costo nullo.
Diciamo che – contando le entrate aggiuntive sull’IVA – potrebbe recuperare parte dei quattrini spesi. Ma il conto finale dipende da una serie di ipotesi, del tipo (i) quante auto vengono effettivamente sostituite (ii) se sarebbero state cambiate comunque o meno (iii) ecc.
Il lavoro che cito esamina diversi scenari e conclude che in quelli più plausibili comunque c’è stato un costo tra 300 e 400 milioni/anno.
Con riferimento al dato US che cita, noti poi che gli incentivi solo in parte aumentano gli acquisti. In buona parte, li spostano nel tempo.
Trattandosi di beni di consumo durevole, con gli incentivi possiamo spingere le persone a cambiare auto più rapidamente, ma a scapito delle vendite future. L’effetto di sostituzione intertemporale resta: quanto sia forte, esattamente nessuno lo sa. Ma è evidente che sono provvedimenti di breve periodo, che nel medio periodo hanno in realtà un effetto di segno opposto…
Carlo Concato
Che i produttori di auto nel mondo siano troppi lo si dice da anni, come si dice che ne resteranno 5 o 6. Quello che non si dice è che di questi 5 o 6, due saranno cinesi ed uno indiano ….. Quanti saranno gli europei? e tra questi ci sarà FIAT?
La redazione
Ah, saperlo, saperlo!
Arnaldo Roberto
Perfettamente d’accordo….sono sempre stato contrario agli incentivi previsti per aiutare l’industria automobilistica camuffati con la necessità di mettere sul mercato auto sempre meno inquinanti e che consumino meno.Se davvero fossero incentivi volti ad ottenere un parco macchine piu’ efficiente e meno inquinante,questo dipo di incentivi dovrebbe essere reso permanente,con meccanismi automatici di determinazione per ogni anno delle caratteristiche per ricevere questo incentivo.Bisognerebbe evitare di dare contributi alle aziende per aprire stabilimenti produttivi,come si é fatto anche per la Fiat. Però,dopodiché,ci sarà comunque nel futuro il problema di valutare se la capacità produttiva e il numero di operatori nel settore siano in esubero e probabilmente procedere ad una ristrutturazione e riduzione occupazionale nel settore in europa,pur essendoci mercati in espansione in altri continenti ma ho la sensazione che le aziende europee potranno sfruttare solo installando impianti li sul posto,viste le differenze di costi per la manodopera e di altri costi (anche se,credo che nel settore,i costi di manodopera rispetto ai costi totali non siano abbiano piu’ lo stesso peso passato).
La redazione
Non credo che incentivi permanenti siano una buona idea. Concordo invece con la seconda parte del commento.
Vincenzo D'Antonio
Condivido pienamente l’arguta analisi di Schivardi, tuttavia provo a porre come elemento di rfilessione un differente angolo visuale: la mobilità. La mobilità nel suo complesso. E allora: a) nel non leisure quanti atomi viaggiano inutilmente, che potrebbero essere sostituiti da “bit viaggianti” ? Un’infinità, pensiamoci ! b) posto che se viaggiano atomi è perchè non vi è alternativa (goods & leisure) come possono non intrecciarsi, prendo scorciatoia, le decisioni politiche sul caso Alitalia-Air One con quelle altrettanto politiche sulla TAV e quelle ancora politiche, di cui stiamo qui discutendo, degli incentivi alla rottamazione e, aggiungo, sulla svendita imminente della Tirrenia? Allora la domanda diviene: abbiamo ancora bisogno dell’auto ? E se sì (ed io sono il primo a rispondere così: “SI’, voglio averne bisogno!”) di quale auto? alimentata come? con quale sicurezza per tutti? ed intersecantesi come con gli altri attrezzi che abilitano la mobilità degli atomi? E per veicolarla su quale sistema stradale? Dopodichè, atteso che il mondo BRIC vuole attovagliarsi al tavolo dei consumi quale sarà il parco circolante di auto al mondo?
La redazione
Ribadisco quanto detto a risposta del commento a Gerardo Marletto.
gian masini
In questo nebuloso scenario fatto di non scelte, gli incentivi e l’auto riparte, no incentivi e le fabbriche chiudono, bisogna considerare a mio avviso che di qui a breve Cina e India giocheranno un ruolo molto importante. La Cina è leader nella produzione di batterie e questo la agevola nello studio e progettazione di vetture idride o addirttura elettriche. Passata la fase di purgatorio legata allo stile delle vetture e alla loro qualità costruttiva, i cinesi potranno aspirare alla pol position del settore specifico. La stessa cosa capitò 40 anni fa per le vetture giapponesi, ora all’apice come qualità costruttiva e sinonimo di affidabilità da riferimento e a quelle coreane, che si permetto anche 7 anni di garanzia. L’India ha un primato per le giovani menti e i bassi costi di produzione del paese asiatico, che nel frattempo da paese ex colonizzato si è preso la rivincita comperando da Ford uno degli ex gioielli della corona, la Jaguar possono fare il resto. A noi non bastano le operazioni “nostalgia” come la 500 Fiat o le super car da 600 cavalli e oltre.
La redazione
Condivido pienamente questa preoccupazione: se guardiamo oltre la crisi, una delle variabili cruciali per l’evoluzione del settore è il ruolo dei produttori di India e Cina. Il mercato potenziale di quei paesi è enorme. Non credo però che la partita sia già persa in partenza. Cruciale il ruolo delle economie di scala nella ricerca e sviluppo e nella progettazione (la famosa soglia delle 6 milioni di vetture prodotte per anno). Per questo l’operazione Magna rappresenta un’opportunità persa. Fondamentale sarà anche la capacità dei produttori europei di stringere accordi con quelli asiatici, per avere facilitare l’accesso a quei mercati.
carlo
Problema perfettamente centrato. Possibile che i nostri governati non lo capiscano?
gabriele guadagni
Ma com’è possibile che si sia pervenuti ad un eccesso di capacità produttiva? Se le parole significano qualcosa equivale a dire eccesso di investimenti, che ora andrebbero perduti, ma con quale criterio sono mai stati fatti, se non per "ricompensare" i decisori politici per gli aiuti (= finanziamenti a fondo perduto) pubblici con la creazione (tanto cara, e necessaria, ai politici) di posti di lavoro inutili, perchè eccedenti rispetto alla potenzialità del mercato, e pertanto insostenibili, cioè gli addetti ai lavori già lo sapevano che sarebbe finita così: e che c’è di tanto strano? Dov’è il problema? non vedete che la ruota gira? perchè continui a farlo basta continuare con gli aiuti! Tanto che ci vuole? Non è che denaro. Già, dei contribuenti (beh, se vogliamo perderci in dettagli…..) Per questo, come contribuenti, siamo felici e orgogliosi di pagare le tasse in Italia, certi come siamo che saranno impiegate nel migliore dei modi! Allegria!
Riccardo Perissich
Concordo pienamente. Alcuni mesi fa ho scritto una nota per Notre Europe, l’associazione fondata da Jaques Delors e attualmente presieduta da Tommaso Padoa Schioppa in cui proponevo un’iniziativa europea analoga a quanto fu fatto negli anni ottanta per la crisi siderurgica. Il testo è reperibile sul sito http://www.notre-europe.eu. Riccardo Perissich
La redazione
Ho letto la sua nota, la consiglio a tutti quelli interessati al dibattito, particolarmente riguardo a come dovrebbe muoversi la Commissione Europea in questo frangente. Molto interessante anche il precedente storico dell’industria dell’acciaio. Mi chiedo se la Commissione ha la forza politica per imporre l’agenda agli Stati membri.
Daniel Faloppa
Incredibile, dopo le conclusioni più che sensate lette sul suo articolo ecco cosa viene scritto su http://www.ilsole24ore.com: Incentivi alla fiat ma deve aumentare la produzione in Italia!! cioè oltre a non chiudere stabilimenti e a non seguire le regole dell’economicità, del libero mercato, dei progetti a lungo termine, si chiede alla fiat di aumentare la produzione. Questo è il link dell’articolo: grazie a tutti e complimenti per le analisi.
La redazione
Grazie a lei per la segnalazione. Mi sembra un ottimo esempio di come i governi europei stanno (non) affrontando il riassetto del settore: facendo finta che non ci sia capacità in eccesso, e sperando che il cerino acceso rimanga in mano a qualcun altro.
Gerardo Marletto
Condivido le valutazioni dell’autore di un nuovo ciclo di incentivi all’auto. Ma credo che quella di politica industriale non debba essere la sola la chiave di lettura. Gli incentivi all’auto infatti non sono solo un errore di politica industriale, ma anche: di politica ambientale. Nel 1999 l’Ocse aveva evidenziato il rischio di un rebound effect: più auto, che inquinano meno e percorrono più km, generano non meno, ma più CO2. Rischio confermato dai dati dall’Agenzia europea dell’ambiente. E ci sono poi gli studi sul ciclo di vita dell’auto che evidenziano i costi ambientali della sua produzione; di politica dei trasporti. Il modello di mobilità centrato sull’auto è infatti in crisi strutturale: le promesse dell’auto (velocità, flessibilità, comfort) sono ormai un miraggio. La domanda di spostamenti fluidi, salubri e sicuri è non è più soddisfatta dall’auto.
C’è chi sostiene che la soluzione sia l’elettrico. Ma così non si riducono i problemi ambientali (la CO2 generata nella produzione di elettricità) e di trasporto (congestione, incidenti, degrado urbano). Meglio puntare alla transizione dal sistema dell’auto a quello della ‘nuova mobilità urbana’. Niente meraviglie tecnologiche ma: città compatte, più spazio e sicurezza per pedoni e bici, più trasporto collettivo, più trasporto in condivisione (car sharing, bike sharing, city logistics). E l’auto riportata a un ruolo minoritario.
Per farlo serve sì la riconversione dell’industria dell’auto, ma anche il ripensamento delle politiche dei trasporti. In pillole: una scala europea e un orizzonte di 10-15 anni; definanziamento delle grandi opere e più risorse per trasporto locale e urbanistica di qualità; incentivi non a imprese ma a progetti, privati o pubblici che siano; commesse pubbliche solo di mezzi di trasporto elettrici. Insomma, il meglio della politica per l’innovazione applicato al sistema dei trasporti.
La redazione
Il commento ampia di molto l’orizzonte dell’analisi. Il mio pezzo si riferisce solo al problema del settore automobilistico europeo, senza affrontare quello ben più ambizioso di un riassetto globale della mobilità, argomento sul quale non ho la competenza per intervenire.
carlo mendoza
In Europa gli incentivi sono disincentivi alla ristrutturazione ed innovazione del settore produttivo, di fatto confermano da anni la "capacità produttiva in eccesso" falsando il naturale equilibrio domanda offerta. Oggi la crisi ha accentuato il calo della domanda dovuto essenzialmente ad una riduzione del reddito disponibile, in quanto le famiglie hanno aumentato il risparmio per precauzione.Negli US Obama ha vincolato gli incentivi al settore all’innovazione, conseguentemente si assisterà ad una riduzione della capacità produttiva in eccesso con ridefinizione della curva dell’offerta, pr mantenendo il transaction price inalterato, per garantre la marginalità delle aziende del settore.
ulisse
Frode brevettale da Fiat. La tecnologia ibrida doppia frizione con motore elettrico nel mezzo è stata mutuata da un brevetto che la Fiat non ha mai voluto acquistare, ma soltanto spudoratamente copiare. Invito e visitare il mio blog dove vitalità e disinvoltura dei progettisti Fiat appaiono in piena evidenza: http://propulsoreibridosimbiotico.blogspot.com/ Chiunque abbia a cuore una onesta etica industriale in difesa della proprietà intellettuale conosca la storia raccontata nel mio blog. Se le industrie possono permettersi impunemente di copiare le idee, in quanto per difenderle occorrono cause costosissime, a cosa servono i brevetti? Come possono i nostri giovani trovare coraggio intellettuale se i potentati economici schiacciano i diritti dei singoli? Se vi accingete a richiedere un brevetto oppure proporlo ad unazienda, la mia esperienza con la Fiat può esservi utile per muovervi con migliore circospezione. Ulisse Di Bartolomei