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LA COOPERAZIONE ITALIANA NON PASSA L’ESAME

Il Comitato di aiuto dello Ocse ha indicato al governo sedici raccomandazioni per rilanciare la cooperazione italiana. Sono fondamentalmente le stesse di sei anni fa, perché nel frattempo niente si è mosso per modernizzare il sistema e rendere più efficaci gli aiuti italiani. Inadeguata la normativa e scarsi gli stanziamenti di risorse. Però, il meccanismo del Dac non prevede sanzioni in caso di inadempienza e non indica priorità fra le misure da adottare. Meglio farebbe a concentrarsi sulle questioni tecniche, abbandonando le ambizioni politiche.

Qual è lo stato di salute della cooperazione allo sviluppo italiana? Il suo intervento è efficiente ? Si va verso un miglioramento o un peggioramento dei risultati? Sul tema non mancano le opinioni opposte. (1) Un giudizio obiettivo e diplomaticamente misurato viene dal Comitato di aiuto pubblico (Dac) dell’Ocse, che questa settimana ha concluso l’esame della cooperazione italiana e indicato al nostro governo un insieme di raccomandazioni per rilanciarla. (2)
Il documento del Dac, punto di riferimento per qualunque cittadino interessato all’argomento, al di là del linguaggio diplomatico, traccia un quadro critico della cooperazione italiana, per contenuti vicino a quello già presentato da analisti e organizzazioni non governative.

RACCOMANDAZIONI DI IERI E DI OGGI

Era il 2004 quando la cooperazione allo sviluppo italiana è stata sottoposta per l’ultima volta allo stesso esame. (3) Allora il Dac aveva espresso preoccupazioni per l’operato dell’Italia e aveva indicato tredici riforme relative a vari ambiti (politico, legislativo, strategico, gestionale) da realizzare entro il 2009. Da quelle stesse raccomandazioni riparte l’esame di quest’anno, con la constatazione che restano in gran parte valide. Il documento rileva che per quattro anni non è stato  iniziato alcun processo di modernizzazione: solo nel 2008 la cooperazione italiana ha avviato alcune riforme di carattere amministrativo.

Sono state completamente disattese le “grandi riforme” richieste nel 2004, quali l’approvazione di una nuova disciplina legale per la cooperazione e un investimento finanziario in linea con gli impegni sottoscritti dall’Italia a livello internazionale.
Il Dac rileva che non esiste ancora un ampio consenso politico su come arrivare a una riforma della normativa, nonostante il tentativo promosso nella scorsa legislatura. Mentre all’inizio di quella attuale il ministro degli Affari esteri, con delega per la cooperazione allo sviluppo, aveva promesso di presentare un testo di riforma all’esame parlamentare, ma per il momento niente s’è mosso. Il Dac si limita allora a ripetere la raccomandazione del 2004: approvare urgentemente la riforma della normativa della cooperazione allo sviluppo. (4)
Sulla questione dell’investimento di risorse finanziarie, il giudizio del Dac non lascia spazio a interpretazioni. Rende ufficiale che l’Italia mancherà di molto l’obiettivo europeo per il 2010 per risorse destinate allo sviluppo, lo 0,51 per cento del Pil. E, più grave, sarà tra i paesi responsabili del fallimento di tutta l’Unione Europea, che aveva promesso di destinare all’aiuto lo 0,56 per cento del Pil dell’Europa a 15. (5) La raccomandazione è quella di presentare un piano d’incrementi di lungo periodo che consentirà all’Italia di avere un programma di cooperazione credibile, come nel 2004.
Scarso investimento politico-finanziario e inadeguatezza della normativa contribuiscono a spiegare anche altre carenze messe in evidenza dal documento:

  • l’assenza di una visione strategica d’insieme e di valutazioni sistematiche per i programmi di cooperazione allo sviluppo dal 2002
  • l’insufficiente coordinamento tra ministero degli Affari esteri, ministero dell’Economia, ministero dell’Ambiente, dipartimento della Protezione civile e amministrazioni locali per le iniziative di cooperazione allo sviluppo
  • la progressiva riduzione del personale tecnico per la cooperazione allo sviluppo
  • una programmazione geografica inattuata, con l’Africa Sub-sahariana che vede ridurre progressivamente la quota d’aiuto italiano nonostante sia regione prioritaria dal 2005
  • nessun progresso sulla questione della coerenza della politiche tra le relazioni esterne dell’Italia e gli obiettivi della cooperazione allo sviluppo.

La maggior parte delle misure non realizzate sono a “costo zero”, ma lo scarso investimento finanziario ha un peso. È il segnale del disinteresse della classe politica e del progressivo smantellamento della struttura della cooperazione allo sviluppo, che non trova ragioni e motivazioni per riformarsi profondamente dal suo interno ma procede per inerzia, a vista.

CHE FARE?

Il Dac prescrive una cura completa di riforme da somministrare nell’arco di quattro anni, ma non fa i conti con il fatto che le nuove sedici raccomandazioni possano restare inattuate come quelle del 2004 per negligenza e per oggettiva difficoltà di una struttura indebolita. Non è previsto alcun meccanismo che ogni anno verifichi lo stato d’attuazione della raccomandazione e neppure si prevede un fase d’accompagnamento che, per esempio, calendarizzi anno per anno le riforme indicate per il quadriennio.
Il meccanismo non prevede sanzioni per inadempienza che attirino l’attenzione dell’opinione pubblica e costringano la politica e soprattutto l’esecutivo ad agire. Molto dipende dal peso dato al processo di esame dalla leadership politica. La semplice constatazione che né il ministro degli Affari esteri né alcun sottosegretario all’Economia abbia incontrato il gruppo di esaminatori del Dac durante la loro visita in Italia, non spiana la strada alla attuazione delle raccomandazioni.
In più, presentare un giudizio duro accompagnato da una lista di riforme eccessivamente lunga senza indicare le priorità genera quasi l’impressione che la cooperazione italiana sia sottoposta a un commissariamento da parte dell’Ocse. La probabilità che i risultati siano rigettati appieno è elevata. Il Dac si trova a svolgere un ruolo di mediazione difficile: tentare di persuadere il nostro paese che la sua cooperazione deve realizzare una sorta di “aggiustamento strutturale” senza predisporre alcun incentivo immediato per avviare le riforme.
Ma una priorità si può comunque ricavare dalla lista delle raccomandazioni: l’Italia dimostri l’impegno della sua leadership politica nel riformare e finanziare un programma di cooperazione allo sviluppo credibile e affidabile. Serve dunque un forte segnale di cambiamento, per riconquistare la fiducia dei cittadini verso il sistema. (6) E allora la lista di raccomandazioni da realizzare nel primo anno si riduce a quattro: 1) incrementare progressivamente l’investimento finanziario, 2) riavviare il dibattito parlamentare sulla riforma legislativa, 3) eliminare le incoerenze 4) realizzare valutazioni d’impatto.

I LIMITI DEL DAC

Certo, riforme proposte da esami tra pari, basate sull’adozione di buone pratiche internazionali, hanno più probabilità di essere realizzate se riguardano questioni tecniche, dove esiste una comunità di esperti che si richiamano a standard condivisi. (7) Questo tipo di cambiamento per mimesi ha scarsa efficacia quando affronta questioni politiche o valoriali profonde o presenta raccomandazioni troppo generiche. Nel caso degli esami della cooperazione del Dac, questo limite è evidente soprattutto in Italia, che ha pratiche di cooperazione così diverse da quelle degli altri membri Ocse.
La peer review del Dac dovrebbe forse abbandonare le ambizioni politiche e limitare la sue raccomandazioni alle questioni tecniche, cercando di stabilire un rapporto continuo con gli esperti della cooperazione. Ma al di là dei limiti dell’esercizio Dac, l’Italia e in particolare i responsabili politici della nostra cooperazione allo sviluppo dimostrerebbe realismo, chiarezza verso i contribuenti e la comunità internazionale oltre a senso di responsabilità se dichiarasse esplicitamente su quali raccomandazioni il governo s’impegna a produrre risultati misurabili entro fine legislatura.

(1) Si veda ad esempio la valutazione sulla cooperazione italiana prodotta da ActionAid, “Italia e la lotta alla povertà, 2009: dare credito alla ripresa” o il “Libro Bianco sulla cooperazione allo sviluppo” di Sbilanciamoci.
(2)Oecd/Dac, “Italian Peer Review”, novembre 2009.
(3)Oecd/Dac, “Italian Peer Review”, ottobre 2004.
(4) Nel 2004, il Dac aveva anche chiesto che fosse nominato un figura governativa, per esempio un vice ministro, esclusivamente dedicata alla cooperazione allo sviluppo.
(5) Per una stima della quantità di aiuto nel 2010.
(6)Gli italiani sembrano consapevoli di tutte le difficoltà che affliggono la cooperazione italiana, tanto che solo il 3 per cento ritiene che l’aiuto pubblico allo sviluppo debba essere gestito direttamente dalla nostra struttura di cooperazione, fonte: Eurobarometro, “Development aid in times of economic turmoil”, 2009.
(7)Ashworth, “Escape from the iron cage? Organizational change and isomorphic pressure in the public sector”, Journal of public administration, 2007.

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I LIMITI DELLA VALUTAZIONE IMPOSTA PER LEGGE

  1. roberto fiacchi

    Credo che la cooperazione sia stata una invenzione straordinaria e possa, soprattutto oggi, rappresentare un fiore all’occhiello per uno sviluppo serio ed utile della economia italiana e, forse, mondiale. Tuttavia penso dovrebbe essere analizzata a fondo onde evidenziare la crazione di strutture " pseudocooperative",atte principalmente alla gestione del potere ed al guadagno di pochi, snaturandone la funzione strategica ed il rispetto delle motivazioni che l’ hanno fatta nascere. Fatto questo e trovate le formule ed il consenso per favorire la parte sana e di eccellenza fortemente presente, la cooperazione penso potrà essere uno dei principali volani per risolvere, insieme ad altri interventi originati da un miglioramento culturale e politico, l’attuale drammatica situazione generale e particolare, e prendere la giusta strada, smarrita, per il miglioramento.

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