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Perché alcune formiche crescono e altre no

Ripetere che l’economia, le banche e le famiglie italiane se la sono passata meglio degli altri durante la crisi è una litania che non aiuta a capire perché l’economia italiana, nonostante tutto, fatichi a ritrovare la strada di una crescita più robusta. Se il mercato del lavoro non riparte, la buona salute patrimoniale delle famiglie e delle imprese non ci consente niente di diverso da una crescita anemica.

 

Come previsto, nell’’Interim Report di settembre dell’’Ocse i dati del terzo trimestre 2010 mostrano un rallentamento della crescita del Pil per l’’economia mondiale, e soprattutto delle economie dei paesi più ricchi. La previsione Ocse di settembre parlava di crescita piatta, praticamente zero, dell’’area euro e di crescita rallentata a un +0,5 per cento trimestrale (+2,0 per cento nel dato annualizzato della tabella Ocse) per gli Stati Uniti. I dati veri (seppure preliminari) sul terzo trimestre 2010 più o meno confermano queste previsioni. Le stime preliminari per l’’economia americana mostrano un Pil in crescita dello 0,5 per cento. Il Regno Unito fa anche meglio di così con un +0,8 per cento. Il Pil spagnolo è invece rimasto fermo. Anche la crescita tedesca rallenta sensibilmente, seppure rimane nettamente positiva e contribuisce a mantenere positiva la media dell’’area euro. Per l’’Italia la crescita è rallentata a un +0,2 per cento, ma non si registra la crescita negativa che era la previsione centrale dell’’Ocse di metà settembre, basata sull’’andamento del super-indice . Del resto, come spiegato al sito dell’’Ocse, il super-indice ha un margine di errore di uno o due trimestri. In ogni caso, il super-indice Ocse sembra abbia funzionato meglio nel prevedere la fine delle recessioni (nel 2009) piuttosto che l’’inizio delle stesse (nel 2008 e forse oggi).

LA RIPRESA FINORA

Usa Italia Germania Francia UK Spagna
q209 vs q109 -0.3 -0.5 +0.3 +0.3 -0.6 -1.1
q309 vs q209 +0.4 +0.4 +0.7 +0.3 -0.3 -0.3
q409 vs q309 +1.2 -0.1 +0.3 +0.6 +0.4 -0.1
q110 vs q409 +0.9 +0.4 +0.5 +0.2 +0.3 +0.1
q210 vs q110 +0.6 +0.4 +2.2 +0.7 +1.2 +0.2
q310 vs q210 +0.5 +0.2 +0.7 +0.3 +0.8 +0.0
Variazione
Pil dopo la crisi
+3.7 +1.3 +4.8 +2.5 +2.7 +0.3
Variazione
Pil durante la crisi
-3.8 -6.5 -6.4 -3.2 -5.6 -4.6

 

Con il terzo trimestre 2010, le economie avanzate hanno generalmente continuato la loro ripresa dopo la Grande Recessione che aveva ridotto i loro Pil, come indicato nella tabella, in misura variabile tra 3 (Francia) e 6,5 punti percentuali (Italia). La rapidità della ripresa tuttavia è stata finora molto differenziata tra paesi. Il paese che è cresciuto di più negli ultimi sei trimestri è stata la Germania, la cui economia è stata la prima a riprendersi dalla crisi, con la Francia. Il Pil della Germania era diminuito molto, quasi come quello italiano, ma ha poi recuperato molto dopo la crisi, soprattutto grazie al boom del secondo trimestre 2010. Anche se gli elettori non ne hanno dato credito al presidente Obama, anche l’’economia americana ha recuperato una buona parte del Pil lasciato per strada durante la crisi (i dati dicono che il Pil Usa era 100 prima della crisi, è sceso a 96,2 durante la crisi ed è ora a 99,8). Per il Regno Unito vale più o meno lo stesso discorso. La Spagna ha perso meno di Italia e Germania ma l’’economia spagnola stenta a ripartire. E l’’Italia ha perso più Pil di tutti durante la crisi, ma per ora, durante la ripresa post-crisi, il rimbalzo è stato molto limitato.

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FORMICHE E CICALE: CE NE SONO DI TUTTI I TIPI

I dati non forniscono elementi in favore della favola delle formiche e delle cicale che sembra andare per la maggiore sui media economici, oltre che nella narrativa sulla crisi del nostro ministro dell’’Economia. Il meno che si può dire è che ci sono formiche che crescono (la Germania) e formiche che non crescono (l’’Italia). Nello stesso modo, ci sono cicale che crescono (Regno Unito, ma anche gli Stati Uniti dopo tutto) e cicale che non crescono (Spagna), oltre a cicale che fanno disastri (Grecia). Ne consegue che non tutte le formiche sono uguali e che ci sono alcune cicale (Uk, Usa) che crescono più di alcune formiche (Italia).
La metafora degli animali è comunque utile perché suggerisce di porsi la domanda: perché alcune formiche crescono di meno? Il confronto tra Italia e Germania suggerisce due elementi. In tutti e due i paesi le esportazioni sono ripartite alla grande. Ma in Italia il boom delle esportazioni è avvenuto in parallelo con un boom anche più grande delle importazioni, la qual cosa si è verificata in misura minore nell’’economia tedesca. Come dire che i leoni esportatori del made in Italy – le cui gesta su mercati lontani sono giustamente celebrate in Tv e sui giornali – hanno bisogno di importare tanti prodotti per riuscire a sfondare sui mercati globali. In parte ciò è il risultato della globalizzazione, ma in parte è anche perché la produzione interna – il sistema paese –di supporto agli esportatori è probabilmente meno competitivo di una volta. A parità di export, insomma, si crea meno Pil, perché una parte più grande della domanda indotta viene soddisfatta con le importazioni, non con la produzione interna. E poi c’’è il mercato del lavoro. In Germania il mercato del lavoro ha tenuto molto meglio che in ogni altro paese: il tasso di disoccupazione è aumentato solo di qualche decimo di punto percentuale durante la crisi, nonostante il crollo del Pil, ed ora è già ritornata a diminuire. In Italia, anche se la disoccupazione è tuttora più bassa della media europea, il tasso di disoccupazione ufficiale è pur sempre salito l’’8,5 per cento dal suo livello pre-crisi del 6 per cento (per non parlare della crescita della disoccupazione non ufficiale, che include cassintegrati e disoccupati scoraggiati che smettono di cercare lavoro). Con un mercato del lavoro piatto come adesso, non ci si può stupire che i consumi di molte famiglie (le povere e quelle dell’’ex ceto medio) rimangano al palo e i carrelli dei supermercati si riempiano molto meno che prima della crisi, mentre i pochi che nella crisi l’’hanno scampata hanno ricominciato a consumare come e più di prima. Il che tra l’’altro spiega perché l’’inflazione degli alimentari sia piatta, mentre quella dei prodotti e servizi voluttuari (cultura, hotel e ristoranti) è ripartita.

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CRESCITA PER TANTI, NON PER POCHI

Ripetere che l’’economia italiana, le banche italiane e le famiglie italiane se la sono passata meglio degli altri durante la crisi è stato un tonico corroborante che ha aiutato tutti a trovare ragioni di ottimismo durante la crisi. Ma ora rischia di diventare una litania che non aiuta a capire perché l’’economia italiana, nonostante tutto, fatichi a ritrovare la strada di una crescita più robusta. La questione è probabilmente molto semplice: se il mercato del lavoro non riparte, tutta la buona salute patrimoniale delle famiglie e delle imprese italiane non ci consente niente di diverso da una crescita anemica. È lì, nella creazione di veri e duraturi posti di lavoro, che vanno concentrate le poche risorse pubbliche in questo periodo, non nei premi di produttività per chi è già occupato. Il mercato globale rende già la crescita di oggi molto selettiva, un affare per pochi campioni. Lo Stato deve allargarne le basi in modo non dirigistico, e non contribuire a renderla ancora più selettiva.

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  1. Rinaldo Sorgenti

    Interessante disamina che però sembra trascurare quelli che sono gli elementi "storici" secondo i quali la variazione del PIL in Italia è sempre stata inferiore a quella degli altri maggiori Paesi. E’ altresì necessario correlare il Pil anche con la spesa, per capire se stiamo meglio o peggio degli altri. Ad esempio: – come deve essere giudicata l’esplosione della disoccupazione in Spagna, e la grave situazione di Irlanda, Portogallo e U.K.? – come mai in U.K. il deficit vs. PIL è cresciuto oltre il doppio di quello italiano? E gli altri Paesi? – le importazioni in Italia sono maggiori rispetto ad altri, perché il Paese è povero di materie prime ed un tipico Paese trasformatore, più di altri. i sacrifici decisi da Germania, Francia, UK e Spagna sono notevolmente maggiori di quelli richiesti all’Italia. Perché ? – perchè la nostra disoccupazione è significativamente inferiore agli altri maggiori Paesi? La variazione della tipologia di consumi in Italia non sembra suggerire un aspetto del tutto negativo, visto peraltro che ci alimentiamo mediamente molto meglio dei nordici. O no?

  2. luciano fedi

    Ho un sogno: credo di sentire le parole di questo articolo fluire dalla bocca di un politico di un qualunque schieramento. Poi mi sveglio e dalla politica sento arrivare soltanto il solito chiacchiericcio autoreferenziale. Dove dobbiamo arrivare prima che si riesca a discutere solanto dei problemi che ci affliggono? Possibile che gli italiani non chiedano mai conto ai governanti se hanno operato bene, ma si appassionino soltanto al gossip e ai bizantinismi ideologici? Tralascio le risposte.

  3. Paolo Bizzarri

    "Ne consegue che non tutte le formiche sono uguali e che ci sono alcune cicale (Uk, Usa) che crescono più di alcune formiche (Italia)." Affermazione priva di significato. Uk e USA stanno facendo esplodere i propri deficit per alimentare la propria ripresa; quanto questo sia sostenibile a fronte di ulteriori, probabili crisi finanziarie, è tutto da vedere.

  4. fag

    Daveri ha ragione, bisogna creare nuovi posti di lavoro. Il vero problema è che questi li creano le imprese e la maggior parte di quelle italiane sono deboli e fanno fatica a conservare l’occupazione esistente. Purtroppo la politica può far poco per sviluppare nuove imprese o far crescere quelle esistenti. Forse una riforma che potrebbe incidere sulla psicologia degli imprenditori esistenti e potenziali potrebbe essere quella di velocizzare la giustizia. Non costerebbe nulla, ma Tremonti non lo ha capito.

  5. PDC

    È possibile che i paesi formica che crescono di più siano anche quelli dove la classe imprenditoriale considera come propria mission lo sviluppo industriale del proprio paese? Ho un po’ il sospetto che, con l’alibi della burocrazia e delle tasse (che pure sono un problema grave e reale) molti imprenditori italiani coprano semplicemente il proprio cinismo. In effetti, se si va a vedere, chi vuole produrre in Italia ed è bravo, ci riesce a dispetto delle difficoltà.

  6. luigi saccavini

    Già. Ma non enfatizzerei il lavoro duraturo (che se potrà essere duraturo dal lato dell’impresa, lo sarà meno per chi il lavoro lo deve fare dati i ritmi crescenti di innovazione nei contenuti e nel prodotto). Per comprendere dove andare a prendere nuovo lavoro potrebbe essere più utile riferirsi non tanto alla disoccupazione (che misura la domanda di lavoro) quanto alla percentuale di occupati in età utile sulla popolazione totale: la efficienza lavorativa del paese. Se ragionassimo così ci troveremmo l’Italia in fondo alla classifica dei paesi avanzati (gli ultimi dati che posseggo risalgono al 2008), con la più bassa quota di occupati in età utile. Forse da noi un freno forte è provocato da normative che privilegiano il “posto duraturo” sperando così di mantenerlo in vita; in tal modo per converso penalizzano e rendono meno praticabile il lavoro parziale (orizzontale, verticale, occasionale, ecc.): vedo qui l’origine forse principale della minore capacità lavorativa italiana in rapporto alla popolazione. Uno dei motivi che frena lo sviluppo del PIL. Comunque stimolante la analisi, complimenti.

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