Dopo aver discusso i problemi che l’arresto del managing director del Fondo monetario, Dominique Strauss-Kahn, apre sul fronte della gestione delle crisi -in particolare quella greca- esaminiamo il delicato nodo della successione al vertice dell’organizzazione internazionale. Tradizionalmente assegnato agli europei (in particolare a personalità francesi) mentre gli statunitensi si riservano la guida della Banca mondiale. I grandi paesi emergenti, però, premono per un cambiamento.

 

Per quanto riguarda il successore di Strauss-Kahn al Fondo monetario, ho già espresso la mia opinione: il prossimo direttore generale dell’Fmi sarà molto probabilmente Christine Lagarde. Come ho scritto altrove: "La soluzione ideale per la Francia sarebbe che a guidare il Fondo monetario internazionale fosse il rispettato ministro delle Finanze Christine Lagarde. (…) E se vogliono Lagarde al vertice dell’Fmi devono lasciare ad altri la guida della Bce e sarebbe difficile mettere un veto a Mario Draghi per sostenere candidati di minor spessore provenienti dall’Olanda o dalla Finlandia (…). Non sarebbe difficile per gli europei far passare l’idea di un altro europeo alla guida del Fondo, nonostante tutti i discorsi sulla scelta del direttore generale in base al merito e quelli sulla possibilità di affidare la carica a un rappresentante dei paesi emergenti. Gli Stati Uniti non hanno rinunciato al monopolio sulla Banca mondiale, così gli europei possono riaffermare, almeno per un’ultima volta, il loro predominio sul Fondo. Inoltre, le crisi che il Fondo si troverà ad affrontare nei prossimi anni non arriveranno dai paesi emergenti, ma dai nuovi mercati sommersi, cioè la zona euro. E proprio per questo c’è la necessità di avere un europeo sulla plancia di comando. Inoltre, i paesi emergenti hanno già un capace rappresentante di Singapore a capo dell’International Monetary and Financial Committee: per il momento, rappresenta un passo nella giusta direzione di un riequilibrio delle cariche nelle istituzioni di Bretton Woods. Come se i pochi e relativamente omogenei paesi occidentali che affrontano sfide fiscali e strutturali e che tutti insieme hanno una popolazione di meno di un miliardo di persone potessero continuare ad avere lo stesso grado di influenza sul popolo globale degli altri 5 miliardi di persone distribuiti fra un’ampia serie di paesi eterogenei (…)".
Ci sono molti e molto capaci candidati provenienti dai paesi emergenti che potrebbero aspirare con pieno merito alla guida del Fondo monetario: Kemal Dervis, Stanley Fischer, Mohamed El-Erian, Montek Singh Ahluwalia, Andrew Sheng, Manuel Trevor, Augustin Carstens, Arminio Fraga e Angel Gurría, per esempio. Eppure benché si siano spese molte parole sull’opportunità di arrivare alla nomina del direttore generale dell’Fmi attraverso un processo più equo e basato sul merito, per la prima volta in grado di aprire le porte a un direttore non europeo e non occidentale, la realpolitik può consegnarci in quella carica un altro europeo, anzi, un altro francese, ovvero l’attuale ministro francese dell’Economia, Christine Lagarde.
È vero che la Francia ha guidato il Fondo per tre quarti degli ultimi tre decenni, ma i tecnocrati francesi (tutti di formazione Ena) – Jacques de Larosière, Michel Camdessus e Dominique Strauss-Kahn – con il loro acume politico e diplomatico hanno fatto un lavoro decisamente migliore rispetto ad altri europei, quali Horst Kohler e Rodrigo de Rato. E Lagarde ha le capacità, l’intelligenza, l’abilità diplomatica e il peso politico per guidare l’Fmi.
Inoltre, la Francia, che ha accettato Draghi – un’altra eccellente alternativa per il Fondo monetario – quale governatore della Bce, può sostenere con i suoi colleghi membri dell’Unione Europea la candidatura di un altro francese alla guida del Fondo. L’Italia si è ben inserita nella corsa alla Bce, mentre la Germania non ha un candidato proprio per quel ruolo (e ancor meno per il Fondo monetario) e l’ex primo ministro inglese Gordon Brown non ha il sostegno del suo governo. Così se deve essere di nuovo un europeo, è certamente Lagarde. La sua unica macchia è una recente accusa di abuso di potere nella gestione di uno scandalo finanziario, ma se la sua posizione in questa vicenda non si aggrava, è difficile pensare a un candidato diverso per il Fondo monetario.

E I PAESI EMERGENTI?

I paesi emergenti potrebbero cercare di imporre un loro candidato, ma una coalizione di blocco fra Stati Uniti e Unione Europea porterebbe comunque un europeo alla guida del Fondo. Gli Stati Uniti non hanno certo ceduto il loro privilegio "di fatto" di scegliere il capo della Banca mondiale; dunque, a meno che essi non vi rinuncino formalmente, gli europei spingeranno per un altro europeo al Fmi. Anche il fatto che nei prossimi anni i maggiori clienti del Fondo saranno europei (che ironia, che paradosso!) rafforza la richiesta europea di avere di nuovo un proprio candidato al vertice del Fondo.
Bisogna poi aggiungere che il gruppo dei paesi emergenti è diviso. I problemi del Medio Oriente e del Nord Africa sarebbero una valida ragione per scegliere un esponente della regione. Tuttavia, il brillante Mohamed El-Erian probabilmente preferisce continuare a guidare la Pimco, mentre l’altrettanto brillante Stanley Fischer, che nel 2000 aveva il sostegno di molti paesi emergenti, compresi alcuni della regione Medio Oriente-Nord Africa, avrebbe ora maggiori difficoltà dati i cambiamenti avvenuti nell’area né lo aiuta il fatto di essere stato ormai per molti anni il governatore della Banca d’Israele. Il capace Kemal Dervis è stato ministro delle Finanze della Turchia solo per due anni e si è occupato più dello sviluppo che di questioni di macroeconomia. Può essere ancora troppo presto perché il Fondo si coalizzi intorno a un candidato africano come Manuel Trevor. L’America Latina proporrà probabilmente un candidato della regione: Augustin Carstens, Angel Gurría o Arminio Fraga, ma farebbe fatica a convincere gli asiatici. Così come l’Asia avrebbe difficoltà a trovare un candidato unitario: i cinesi difficilmente accetterebbero un indiano, anche se bravo come Montek Singh Ahluwalia. D’altronde l’Asia ha già un suo rappresentante a capo dell’organo politico dell’Fmi – l’International Monetary and Financial Committee – Tharman Shanmugaratnam, che proviene da Singapore. Insomma, non si intravede alcun serio candidato dei paesi emergenti, mentre, per parte loro, tutti gli europei appoggeranno Lagarde, che gode anche della stima della Casa Bianca e del Tesoro americano. Con Lipsky che lascia il Fondo monetario a novembre, gli Stati Uniti avranno la possibilità di scegliere il nuovo numero 2 del Fondo, il vicepresidente: il candidato principale è David Lipton, attualmente membro del National Economic Council e in precedenza sottosegretario agli Affari internazionali per il Tesoro americano.

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