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ROCK’N’ROLL SUICIDES

La triste scomparsa di Amy Winehouse, una delle più belle voci della storia del rock, ci  pone di fronte ad un interrogativo: come spiegare le scelte autodistruttive di una giovane artista di così grande successo? Casi simili sono numerosi nella storia della musica e nelle arti. Ma il rifiuto di vivere tocca uomini e donne ordinari ovunque nel mondo. La teoria economica  cerca di spiegare i suicidi sulla base delle aspettative di reddito e dell’attaccamento alla vita, ma fallisce nel fornire una spiegazione convincente.

Si è spenta sabato a Londra una delle più belle voci della storia del rock, quella di una fragile ragazza ebrea inglese, Amy Winehouse. Il suo nome va ad aggiungersi alla lunghissima lista di musicisti rock, da Jimi Hendrix, Jim Morrison, Brian Jones, Janis Joplin, a Kurt Cobain, consumati da una “vita spericolata” e morti per overdose, suicidio, alcool, o finiti assassinati, come John Lennon. Gli “artisti maledetti” non mancano anche nella pittura e nelle arti visive (da Gaugin, Jackson Pollock, Georgia O’Keeffe fino a Van Gogh, Arshile Gorky and Mark Rothko), e nella letteratura, dove grandi scrittori soffrirono di depressione (Dickinson, Eliot, Poe, Balzac, Conrad, Dickens, Emerson, Faulkner, Fitzgerald, Ibsen, Melville, Tolstoj), e, in alcuni casi, finirono suicidi (Ernest Hemingway, Virginia Woolf).

ROCK & JAZZ

I rockers maledetti sono gli epigoni di grandi jazzisti, tra i quali furono “drugs addicts” grandissimi musicisti come Charlie Parker, Chet Baker, Billie Holliday, Bill Evans, Hampton Hawes, per citare solo quelli a me più cari (per uno studio sociologico sull’uso di droghe nella comunità dei musicisti jazz si veda Howard S. Becker, “ Outsiders: Studies in the Sociology of Deviance”, The Free Press, New York, 1963) . Ma mentre molti di questi musicisti avevano ottenuto il successo solo dopo stenti e sofferenze, si pensi a Billie Holliday che aveva un passato di prostituta, Amy Winehouse ha raggiunto fama e successo mondiale ancora giovane. Spiegare scelte autodistruttive come queste non è facile, e non lo è in particolare per la teoria economica. Ma cosa sappiamo sull’ultima più radicale e definitiva delle scelte delle persone, il suicidio? (1)

EVIDENZA EMPIRICA

Dal sito del World Health Organization apprendiamo che
– il fenomeno colpisce in misura molto diversa tutti i paesi del mondo (mancano i dati sull’Africa): si passa da oltre 13 suicidi per 100mila abitanti nei paesi nordici e nell’ex Unione Sovietica, ai 6,5. -13 nel Nord America, India e Oceania, a meno che 6,5 suicidi nell’Europa Meridionale e in America del Sud (dati relativi al 2000, vedi Figura 1). Questo lascia intendere che i fattori culturali e religiosi, che determinano l’integrazione e la “regolazione” delle aspirazioni degli individui nella società (si veda il sociologo francese Durkheim ), giochino un ruolo molto importante.

–  infatti la relazione tra tassi di suicidio nei diversi paesi ed il  reddito procapite  (aggiustato per la parità dei poteri d’acquisto, fonte Banca Mondiale) è complicata. Sotto mostro l’esito di una regressione (non lineare) tra queste due variabili: i suicidi (maschili) sembrano divenire più frequenti quando si passa a paesi con più elevato reddito pro-capite, fino ad un reddito di 15,870 dollari annui, e rimangono sostanzialmente invariati per ulteriori aumenti di reddito (Figura 2). Altri fattori come l’età, lo stato di salute mentale, il comportamento del gruppo di riferimento, la situazione familiare, la socializzazione, la religione etc. probabilmente giocano un ruolo decisivo.

Figura 2: a tassi di suicidio maschili (y) e reddito procapite (x), elaborazione  dell’autore

– i tassi di suicidio femminile sono molto inferiori a quelli maschili, ed entrambi aumentano in modo (quasi) continuo con l’età (vedi Fig. 3 sotto, fonte World Health Organization, WHO);

Fig.3: Distribuzione per età e sesso dei tassi di suicidio

 LA TEORIA ECONOMICA DEL SUICIDIO: COSTI E BENEFICI

Il contributo economico più interessante che ho trovato su JSTOR, il sito dove si trovano online le principali riviste scientifiche,  è quello di Daniel S. Hamermesh e Neal M. Soss, “An Economic Theory of Suicide” (Journal of Political Economy, Vol. 82, No. 1, Jan. – Feb., 1974,  pp. 83-98). Se si considera come razionale la scelta del suicidio, allora un individuo sceglierà di suicidarsi (se e) quando il valore scontato della soddisfazione che si aspetta ottenere dalla sua vita residua diventa inferiore al suo attaccamento alla vita. Per dirla con Schopenauer [On Suicide] “. . as soon as the terrors of life reach the point at which they outweigh the terrors of death, a man will put an end to his life”.

I GIOVANI E LE DONNE

Le implicazioni della teoria sono tre. La prima è che ci si aspetta una maggiore incidenza del suicidio per le coorti più anziane della popolazione, quelle cui la vita residua riserva di meno. Questa implicazione è coerente con le osservazioni empiriche, secondo cui la frequenza dei suicidi cresce al crescere dell’età. La seconda è che individui che hanno tenore di vita maggiore (misurato con il “reddito” permanente”) dovrebbero suicidarsi con minore frequenza. Inoltre, se periodi di elevata disoccupazione rendono le persone più pessimiste circa il loro futuro economico, questi periodo dovrebbero coincidere con una maggior incidenza dei suicidi. Nello studio gli autori trovano che tali implicazioni sono suffragate dall’analisi empirica, ma con un’importante eccezione: per i giovani nella fascia di età tra i 25 e 34 aumenti del reddito permanente (e minore disoccupazione) appaiono al contrario associati a aumenti dei tassi di suicidio  (proprio come avviene nella relazione stimata tra reddito procapite e suicidi dei paesi). E poi, come si concilia la teoria con il fatto che le donne si suicidano molto meno degli uomini, anche quando il  loro reddito è in media più basso?
Dunque, almeno per i giovani e le donne, i soldi non sono tutto:  è questa la lezione che la dolorosa storia di Amy Winehouse,  ancora una volta ci ricorda.

(1)   Non sappiamo ancora se Amy sia morta per una overdose voluta e cercata, o  accidentale.

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16 commenti

  1. Arturo Robertazzi

    Per favore non paragonatela a Jimi, Jim, Brian o Janis!

    • La redazione

      Beh, allora non andrebbe neppure paragonata a Chet Baker (de gustibus..)

  2. Dina Labbrozzi

    Un contributo molto interessante ed anche emotivamente coinvolgente. Sul tema ho trovato stimolante – e molto ben documentato – il testo di M. Barbagli “Congedarsi dal mondo. Il suicidio in Occidente e in Oriente”, edito nel 2009 da Il Mulino di Bologna. Il volume prende in considerazione trend storici, l’impatto di fattori economici, culturali e sociologici (per esempio la relazione inversa fra tassi di suicidio e di omicidio nell’Europa moderna) nonchè le reazioni culturali al suicidio.

  3. antonio gasperi

    Una spiegazione semplice potrebbe partire dalla considerazione che forse giovani e donne sono i soggetti meno propensi a considerare le aspettative di reddito come l’unica ragione di vita, secondo i principi della teoria economica utilitarista. l’alternativa all’abbandono di quella teoria economica è rivolgersi a teorie alternative: credo che una strada sia stata indicata chiaramente da Amartya Sen quando, distinguendo fra imparzialità chiusa e aperta, ammette motivazioni non egoistiche all’azione umana, sia a livello micro che macro. Cosa c’entri tutto questo con la povera Winehouse e i suoi fans è tutto un altro paio di maniche un saluto Antonio Gasperi

    • La redazione

      Credo che la bontà delle ipotesi si giudichino sia dal loro “realismo” , che è difficile da verificare/confutare, sia dal successo delle teorie che su esse sdi fondano. Nel caso in esame il successo mi sembra effettivamente non elevatissimo.

  4. AZ

    … sul fatto che un’analisi quantitiva del fenomeno possa spiegarlo. Se vogliamo parlare di musica, a proposito di Bon Scott, primo cantante degli AC/DC (morto di alcol), un suo amico chiosava “Il riscatto della gloria di paga seduti al bar”. Lo stress dell’artista di successo, che evidentemente soffre i meccanismi del music-biz (tendenzialmente disumanizzanti, come la maggior parte dei meccanismi dell’economia “corporate”), ha spesso conseguenze tragiche, e questo fin dall’inizio della musica pop moderna.

    • La redazione

      Non credo che la vita di una rock star sia assibilabile a quella dell’economia”corporate” almeno per quello che la conosco. Ma probabilmente c’entra la giovane età delle rock star e lo stress della loro vita.

  5. Sergio Ascari

    Non ero un fan della Winehouse, ma la storia della vita breve dei rockers è ben nota, da qualche parte ho visto citato uno studio che riferiva di una vota media di 42 anni, su un campione ampio di rockstars. Mi pare difficile riportarsi al problema del suicidio in generale, che è diverso e ben più complesso. Del resto i rockers muoiono spesso di droga o vite spericolate, ma raramente di suicidio esplicito. Vero invece che i soldi non sono tutto: l’economia ci insegnava a massimizzare l’utilità non i soldi. Forse non è politicamente corretto – ed è sgradevole per gli economisti – ammettere che qualcuno possa massimizzare la propria utilità con una vita “breve ma intensa” invece che lunga, noiosa e dedita all’accumulazione del capitale, magari a beneficio di altri.

    • La redazione

      Sono d’accordo, un economista direbbe che alcune persone hanno un “tasso di preferenza intertemporale” molto elevato, e cioè vivono molto intensamente volendo “ tutto e subito”.Consiglio a questo proposito il bel reente film sulla vita di un grande pianista jazz da poco scomparso, Michael Petrucciani.

  6. gianpiero dalla zuanna

    Suggerisco anch’io all’autore la lettura di “Congedarsi dal mondo” di Marzio Barbagli (il Mulino 2009), magari dando prima un’occhiata alle recensioni pubblicate nel 2010 (mi sembra) sulla rivista Polis. Alcuni suoi interrogativi trovano risposta. Viene inoltre “demolita” l’ipotesi di relazione fra anomia e suicidio messa in campo da Durkheim. La relazione più forte – in Occidente almeno – sarebbe invece fra secolarizzazione e suicidio. Credo che su questi temi – come per altri che hanno a che fare con l’antropologia etc. la scienza economica dovrebbe stare un po’ più attenta a quanto prodotto da discipline diverse. Cordialmente. Gianpiero Dalla Zuanna

    • La redazione

      Grazie per il suggerimento bibliografico, concordo sul fatto che altre discipline, tra le quali immagino anche la psicologia, abbiano sin qui prodotto lavori molto più interessanti dei pochi tentativi fatti dagli economisti.

  7. Cla

    Io posso testimoniare, da appassionato e da musicista (nel mio piccolissimo) che il sottobosco musicale, dai garage della musica indipendente fino a, credo, le grandi star è letteralmente stracolmo di droghe di ogni tipo. L’uso di droghe caratterizza la sottocultura rock fin dalle sue origini (e anche prima, ricordiamoci di Birdy, di Ray Charles, eroinomane per lunghi anni). Dunque1) ambiente di partenza 2) una possibile tendenza dell’artista a soffrire di depressioni miste o bipolari, associate alla creatività artistica (che rilassano i freni inibitori e che sono quelle che sono maggiormente caratterizzate da pensieri suicidari) e 3) fattore Economico: se sono una rockstar, ho molti soldi, e con molti soldi, compro molta droga, molto pura, e magari me la regalano anche. Io direi che è più il fattore droga/ambiente, favorito dalle disponibilità economiche a influenzare le scelte suicidarie(consce o inconsce), che un fattore puramente economico di calcolo costi benefici. Se sei tossico, questo calcolo diventa semplice. Più droga possibile.

    • La redazione

      Credo anch’io che in ambienti artistici il cosiddetto “peer effect”, l’effetto imitazione/gruppo sia molto importante.

  8. Emiliano

    Mi sembra verosimile il fatto che la Winehouse abbia accelerato il proprio disfacimento e l’avvento della propria fine con lo scopo di rientrare nella mitologia dei talenti ventisettenni prematuramente scomparsi. Bisognerebbe fare un ragionamento a parte su questo discorso della creazione di miti. Il valore (o la forza d’attrazione) di immaginarsi Mito era per lei maggiore della sua disposizione a rimanere faticosamente in vita trascinandosi fra una depressione e l’altra. Credo che questa interpretazione abbia una certa plausibilità.

  9. Giuseppe Pistilli

    Il colpo d’occhio della mappa del tasso d’incidenza dei suicidi mi ha ricordato di aver sentito ipotizzare una relazione di causa-effetto con i prolungati periodi di buio, o poca luce solare, che caratterizzano le regioni del pianeta collocate alle alte latitudini. Nonostante tale idea possa sembrare piuttosto bizzarra, la mappa sembra indicare che una debole associazione ci sia, ma sarebbe necessario esaminare i dati e vedere se i suicidi si concentrano nei mesi meno luminosi, o anche in quelli appena precedenti, ovvero caratterizzati da un repentino accorciamento delle giornate. Mi sembra abbastanza intuitivo che lunghi periodi bui possano aggravare depressioni già severe di per sé; e se ciò si rivelasse fondato, sarebbero ancor meno convincenti le teorie che tentano di dare una spiegazione di tipo economico del fenomeno.

  10. giorgio valgolio

    una curiosità che nulla ha che vedere con il rock ‘n roll; la categoria professionale con il tasso più alto di suicidi, almeno in Italia e Regno Unito, è quella dei Medici Veterinari.

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