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COME CAMBIA LA GEOGRAFIA DEL PETROLIO

La produzione di petrolio libico è crollata e le esportazioni verso l’Italia azzerate. L’Azerbaijan diventa il primo paese presso cui ci approvvigioniamo di greggio, per quasi un quarto del nostro intero fabbisogno. Appaiono però eccessive le preoccupazioni secondo cui l’embargo europeo nei confronti della Siria e delle sue esportazioni di greggio potrebbe rappresentare un boomerang per i paesi europei, Italia in primis. Casomai è necessario continuare a monitorare il succedersi degli eventi nei paesi del Magreb: in Libia, ma anche in Tunisia.

La produzione di petrolio da parte della Libia era di 1,6 milioni di barili al giorno a febbraio 2011, quando l’insurrezione popolare ha cominciato a diffondersi nel patria dell’ormai ex-colonnello Gheddafi. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, la produzione del maggio scorso era di soli 60mila barili/giorno e gran parte di questo petrolio era esportato. In prima linea, tra i paesi che più hanno risentito del crollo delle forniture, c’è naturalmente il nostro paese, che per di più ha dovuto subire la chiusura, tuttora perdurante, del Greenstream, il gasdotto che connette Mellitah a Gela in Sicilia: circa 60 per cento del gas prodotto è (era) esportato in Italia.

DALLA LIBIA ALL’AZERBAIJAN

Nonostante i ripetuti allarmi e le voci di preoccupazione levatisi da numerosi osservatori nazionali e internazionali, i disordini che hanno investito i paesi dell’Africa settentrionale non hanno finora avuto alcun impatto negativo sugli approvvigionamenti di idrocarburi del nostro paese. La crisi libica ha certamente avuto ripercussioni sul conto economico di Eni, il nostro principale operatore nell’upstream e primo produttore in Libia, paese che pesa per il 15 per cento della produzione del colosso nostrano dell’energia. Ma Eni stesso, e gli altri operatori nazionali, si sono mossi con rapidità così da colmare il gap di forniture di petrolio e gas che si è venuto a creare.
Nel giro degli ultimi mesi infatti la geografia delle nostre importazioni di petrolio è cambiata. Se guardiamo all’ultimo dato disponibile relativo alle importazioni di greggio per paese di provenienza osserviamo che a maggio 2011, per la prima volta nella storia, il nostro maggiore fornitore è stato l’Azerbaijan (22,2 per cento del nostro import), seguito a ruota da Iran (21,9 per cento), Russia (15 per cento) e Arabia Saudiata (10,3 per cento).(1)
Se andiamo a confrontare la situazione con quella di dodici mesi fa, notiamo che a maggio 2010 importavamo petrolio dalla Libia (23,3 per cento), e poi da Azerbaijan (14,9 per cento), Iran (11,9 per cento), Iraq (9,8 per cento), Russia (9,4 per cento) e Arabia Saudita (7,1 per cento).(2)
Due fatti balzano all’occhio: il primo, e il più eclatante, è la scomparsa della Libia dall’elenco dei nostri fornitori a partire dal mese di aprile 2011 (a marzo ci aveva ancora fornito il 9,4 per cento del greggio che importavamo, comunque un terzo di quello del mese prima); il secondo è il fortissimo ridimensionamento delle forniture di greggio iracheno, in un anno sceso da una quota del 9,8 per cento al 2,8.

SANZIONI DI SCARSO PESO

In questo quadro generale appaiono eccessivi i toni allarmati del Wall Street Journal (poi ripreso da altre testate) del 26 agosto scorso secondo cui l’embargo europeo nei confronti della Siria potrebbe rappresentare un boomerang per i paesi europei, Italia in primis.(3)
I governi dell’Unione sono infatti orientati a imporre, la prossima settimana, un embargo sulle importazioni di petrolio siriano, sebbene le nuove sanzioni saranno probabilmente meno stringenti di quelle imposte da Washington (oil majors come Royal Dutch Shell e Total potrebbero continuare a produrre greggio in quel paese). Sembrano vinte dunque le resistenze di alcuni leader preoccupati di perdere le forniture al proprio paese e di vedere danneggiati i propri rapporti economici.
Ma quale rilevanza ha la Siria nella geopolitica dell’energia e quanto contano le sue esportazioni di greggio verso l’Europa e l’Italia? A fine 2010 Damasco possedeva 2,5 miliardi di barili di riserve di greggio, collocandosi al trentaquattresimo posto della graduatoria che vede l’Arabia Saudita prima, con 264 miliardi. Attualmente, il paese produce 385mila barili di greggio al giorno, di cui il 60 per cento è olio pesante, mentre il resto è rappresentato dal pregiato Syrian Light grade, dolce e leggero, adatto per essere raffinato in prodotti pregiati come le benzine. Tuttavia questa produzione è poca cosa se confrontata con quella libica che si attestava prima della crisi su livelli quattro volte più elevati. I tre terminali sul Mediterraneo costituiscono i punti di partenza per le esportazioni di greggio siriano, pari attualmente a 109mila barili/giorno, un quarto dei quali è rappresentato dal Syrian Light. Queste esportazioni si rivolgono pressoché interamente ai paesi europei, e in particolare alla Germania per il 32 per cento, all’Italia per il 31 per cento, alla Francia (11 per cento), Olanda (9 per cento), Austria (7 per cento), Spagna (5 per cento) e Turchia (5 per cento). Un volume di circa 34mila barili di greggio arriva dunque in Italia ogni giorno, una cifra che sembra insufficiente per giustificare preoccupazioni di qualsivoglia natura per la sicurezza dei nostri approvvigionamenti. Anche perché la situazione per quanto ci riguarda è molto diversificata: attualmente infatti importiamo petrolio, in varia misura, da cinque paesi del Medioriente, sei paesi dell’Africa, tre paesi europei e tre paesi dell’ex-Urss.
Casomai, è necessario continuare a monitorare attentamente il succedersi degli eventi nei paesi del Magreb. L’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, ha infatti dichiarato che se ci vogliono probabilmente sei mesi per riattivare il Greenstream, potrebbero essere necessari fino a diciotto mesi per ristabilire il flusso delle forniture di greggio dalla Libia, anche dopo la normalizzazione della situazione. Cruciale infatti sarà la verifica sullo stato delle installazioni. Allo stesso tempo critica è la stabilizzazione delle relazioni politiche interne alla Tunisia, paese dove scorre per 350 kilometri il Transmed, il gasdotto che parte dall’Algeria e sbuca a Mazzara del Vallo portando quantità di gas di cui non possiamo assolutamente fare a meno.

 

(1) Dati dell’Unione petrolifera disponibili all’indirizzo http://www.unionepetrolifera.it/get/163/546/import%20greggio%20per%20paese%20di%20provenienza.xls.

(2) Dati del Bollettino petrolifero trimestrale del ministero dello Sviluppo economico disponibili all’indirizzo  http://dgerm.sviluppoeconomico.gov.it/dgerm/bollettino/2010/trimestre2/pagina8.htm. I dati si fermano a fine 2010.

(3) “EU Embargo on Syrian Crude Likely to Hurt Italy”, Wall Street Journal, 26 agosto 2011, disponibile qui:  http://online.wsj.com/article/SB10001424053111904787404576530582039672272.html?mod=googlenews_wsj.

 

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LA STANGATA

  1. mirco

    Se la UE non si mette in testa di creare un mediterraneo di pace contribuendo per quanto può a creare regimi democratici dal marocco alla siria e ad estendere l’influenza occidentale europea su questi paesi si fermerà lo sviluppo per tutta l’area mediterranea ed europea. La gestione della guerra civile in libia non ha mostrato una vera unità di intenti fra i paesi europei. Occorre sempre di più una europa politica, una Ue stato federale con almeno un governo con i seguenti ministri: presidente eletto dal parlamento europeo, esteri , economia e finanze, difesa, e interni.

  2. Giorgio

    L’Unione Europea è sempre più chiaramente una marionetta in mano alla Germania, delegarle ulteriori fette di sovranità nazionale non potrà che portarci ancor più ad essere una mera colonia tedesca. Quale sia la solidarietà europea la vediamo tutti i giorni, con attacchi speculativi contro l’Italia e la campagna anglo-francese contro la Libia, avente il plateale scopo di scalzarci come principale partner commerciale di quella nazione, la cui assenza di democrazia (non che ora se ne veda neppure l’ombra, del resto) non aveva mai impedito all’Italia di mantenere un ottimo interscambio economico e al popolo libico di vantare un tenore di vita ineguagliato in tutta l’Africa (spero nessuno si sia dimenticato il paio di milioni di immigrati che vivevano in Libia).

  3. Gianluca

    Una piccola precisazione metodologica e sui dati esposti. In realtà il dato dell’import di olio non puo’ prescindere dal fatto che con Eni l’Italia (almeno sin quando il Tesoro ha la golden share) è produttore, ovviamente in partnership, con svariati paesi dell’area Mediorientale e non solo. In ogni caso nella lettura dell’articolo si crea, secondo me,un po’ di confusione con il dato dell’import globale dell’Italia e le scelte che credo faccia Eni in termini di “strategia di portafoglio” (in termini di paesi dove si fà ricerca e/o si acquisiscono concessioni). Se si guarda infatti ai dati della semestrale Eni al 30.06.2011 (che credo siano pubblici) la produzione di idrocarburi è stata di 1,586 milioni di boe/giorno. Su questo dato la Libia in realtà pesa meno del 12% (vedi dati su andamento operativo) , infatti rispetto al 30.06.2010 la flessione è dovuta non solo al conflitto in Libia ma anche al fenomeno negativo dell’aumento del prezzo del petrolio nei contratti di Product Sharing Agreement.In realtà poi Eni (sempre da semestrale) ha compensato con Norvegia, Egitto e Iraq, mentre dall’articolo sembrerebbe che l’Azerbaijan abbia giocato un ruolo particolare. Grazie!

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