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QUANDO LE IDEE DELLA DIASPORA AIUTANO LA CRESCITA

Scienziati legati da una forte prossimità sociale hanno una maggiore probabilità di scambiare idee e conoscenza, anche se separati geograficamente, rispetto a colleghi debolmente connessi, per quanto fisicamente prossimi. Possiamo dunque sperare che le idee dei cervelli che hanno lasciato l’Italia arrivino anche nel nostro paese e diano un contributo alla ripresa? Accademia e industria sono comunque comunità distinte e una certa prossimità spaziale è necessaria per sopperire alla distanza sociale. L’industria italiana, poi, assume sempre meno personale scientifico.

Un articolo di inizio anno dell’Economist ha riproposto il tema dell’emigrazione intellettuale italiana. (1) Non aggiunge molto di nuovo a quanto riportato da alcuni articoli de lavoce.info tra il 2002 e il 2003: il problema principale dell’Italia non sarebbe tanto in uscita, quanto in entrata. (2) In altre parole, il paese non soffre di un tasso di emigrazione intellettuale particolarmente elevato, rispetto ad altri paesi ugualmente sviluppati, quanto piuttosto di modesta immigrazione, così da subire un saldo netto negativo. Anche i dati, pur molto aggregati, pubblicati recentemente dall’Oecd, confermano questo quadro. (3)

PERCHÉ I CERVELLI NON SCELGONO L’ITALIA

Un sistema universitario e di ricerca pubblica difficilmente accessibile, unito a una scarsa domanda di tecnologi, ricercatori e inventori da parte del sistema privato, rendono l’Italia una destinazione poco attraente, sia per i cervelli stranieri che per quelli italiani all’estero che volessero ritornare. Nel caso specifico del mondo accademico, poi, le difficoltà italiane si sommano a una generale scarsità della “immigrazione” di ritorno, come ben spiegato da Patrick Gaulè in un articolo su Vox-eu. (4) E come testimoniato dai ben poco commendevoli risultati dei progetti per il “rientro dei cervelli” messi in atto da vari governi italiani, a partire dal 2001 fino al 2008. (5)
Appare dunque difficile che il sistema della ricerca scientifica e tecnologica italiano possa, nel breve periodo, proporsi quale paese in entrata all’interno del mercato globale del “talento scientifico e ingegneristico”, così come descritto da Richard Freeman. (6)  Né che alcun nuovo piano di “rientro” possa avere più successo dei precedenti.

IL VALORE DELLA PROSSIMITÀ SOCIALE

Tutto perduto, dunque? Non necessariamente, come ci insegnano alcuni studi recenti sulla diffusione spaziale delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, a partire da dati bibliometrici (pubblicazioni scientifiche e brevetti).
Questi studi hanno in comune due ipotesi e una metodologia.
La prima ipotesi, largamente verificata, è che la “prossimità sociale” costituisce il veicolo fondamentale attraverso il quale le idee circolano e si diffondono. La ragione di ciò è da ricercare nel fatto che la conoscenza scientifica e tecnologica (per quanto bene codificata in documenti scientifici e tecnici) è sempre per buona parte “tacita”, ovvero affidata a prassi sperimentali e “conoscenze al margine” (sull’affidabilità di questa o quella teoria, di questo o quell’esperimento e di questo o quel collaboratore, indipendentemente dal suo cv) trasmissibili soltanto per colloquio diretto, dimostrazione pratica o corrispondenza privata. Le fonti di “prossimità sociale” più rilevanti sono le collaborazioni professionali, come quelle che si instaurano fra i co-autori di un articolo scientifico o i co-inventori di un brevetto, e i legami etnici, da cui discendono la comunanza linguistica e culturale, nonché la condivisione di legami extra-professionali (amicizia, parentela) che favoriscono lo scambio di informazioni e la collaborazione, anche a distanza.
La seconda ipotesi, anch’essa ampiamente verificata, è che la prossimità sociale, quale che sia la fonte, resiste alla separazione geografica degli individui. Scienziati legati da una forte prossimità sociale hanno una maggiore probabilità di scambiare idee e conoscenza, anche se separati geograficamente, rispetto a scienziati debolmente connessi, per quanto fisicamente prossimi.
In quanto alla metodologia, tutti questi studi fanno largo uso delle citazioni (da un articolo scientifico all’altro, da un brevetto all’altro o anche da un brevetto a un articolo scientifico) come misura del flusso di conoscenze dallo scienziato o inventore “citato” a quello “citante”. (7)
Due fra gli studi in questione esaminano la mobilità di scienziati e tecnologi all’interno degli Stati Uniti e le conseguenze per la diffusione delle conoscenze prodotte da questi scienziati e dai loro colleghi, sia nella località di partenza che in quella di arrivo. Lo studio di Ajay Agrawal, Iain Cockburn e John McHale, dal titolo significativo “Gone, but not forgotten”, mostra come gli inventori di una città citino con maggiore probabilità di altri i brevetti di colleghi che hanno lasciato la medesima città, anche quelli depositati dopo la partenza; e che questo è tanto più vero quanto più il partente ha investito in “capitale sociale” nella città. Pierre Azoulay, Joshua Zivin e Bhaven Sampat studiano invece l’effetto della mobilità delle “superstar” scientifiche (ricercatori iper-produttivi) nelle scienze della vita e trovano che questa non diminuisce la probabilità che i colleghi rimasti nella località di partenza citino ancora a lungo i lavori (anche recenti) delle superstar stesse. Uno studio precedente ai due appena citati, e basato su dati italiani, calcola la “distanza sociale” tra inventori (sulla base di “catene” di co-invenzione) e trova che questa può sopperire alla distanza fisica nella trasmissione delle conoscenze. (8)
Ancora più interessanti sono i risultati sui legami etnici, primi fra tutti quelli relativi agli inventori indiani attivi negli Stati Uniti. Ajay Agrawal e John McHale, questa volta in combinazione con Devesh Kapur, hanno comparato la probabilità di citazione tra brevetti derivante dalla co-localizzazione di due inventori nella medesima area metropolitana con quella derivante dall’appartenenza dei due inventori alla “diaspora indiana” negli Stati Uniti. Ne risulta che anche in questo caso la prossimità sociale, misurata dall’appartenenza etnica, sopperisce alla distanza, molto più di quanto non valga il contrario; in altre parole, la co-localizzazione aumenta di molto la probabilità di citazione fra inventori di etnie diverse, ma non quella tra inventori indiani, già molto alta di per sé. In uno studio indipendente, William Kerr mostra che questo effetto vale anche per altre etnie e, soprattutto, che vale anche a livello internazionale: la probabilità di citazione intra-etnica è elevata non solo tra membri delle varie “diaspore” (indiana, cinese, vietnamita, eccetera) negli Stati Uniti, ma anche tra membri della diaspora e colleghi rimasti nei paesi di origine. (9)

DUE DETTAGLI DA CONSIDERARE

Tutto bene dunque? Possiamo attenderci che i frutti della “diaspora italiana” arrivino anche nel nostro paese, senza bisogno di alcun intervento? Non proprio, perché due dettagli degli studi sopra citati fanno ritenere che, per cogliere tali frutti, qualcosa si debba fare.
Il primo dettaglio riguarda le caratteristiche della diaspora indiana, non del tutto assimilabili a quella italiana. La prima è il frutto di anni di investimenti colossali (rispetto alle risorse del paese di origine) in educazione terziaria, laddove il nostro paese ha da molto tempo intrapreso il cammino opposto: è possibile che esista una scala minima di popolazione attiva nella ricerca sia nel paese di origine che in quello di destinazione, al di sotto della quale difficilmente si osserveranno fenomeni di diffusione delle conoscenze rilevanti. Occorrerebbe investire in educazione e ricerca senza preoccuparsi troppo di dove i cervelli vadano a finire. La diaspora indiana, inoltre, è molto coesa al suo interno, anche per via della sua giovane età media. Non sappiamo se la diaspora italiana abbia le stesse caratteristiche, né quanto queste ultime possano costituire l’oggetto di politiche intese a rafforzarle.
Il secondo dettaglio riguarda una fondamentale differenza fra i flussi di conoscenza all’interno della comunità scientifica (misurati, ad esempio, dalle citazioni tra articoli scientifici) e quelli che vanno dalla ricerca scientifica alla ricerca industriale (misurati, ad esempio, dalle citazioni da brevetti ad articoli scientifici). Laddove i primi sono relativamente autonomi dalla distanza fisica e quasi esclusivamente spiegati dalla prossimità sociale fra ricercatori, lo stesso non vale per i secondi. In altre parole, i ricercatori accademici “socialmente vicini” si scambiano conoscenze indipendentemente dalla distanza geografica, che invece può rendere difficile lo scambio con tra ricercatori accademici e ricercatori industriali. Anche questa regolarità è coerente con la natura sociologica degli studi esaminati: accademia e industria sono comunque comunità distinte, anche se collegate, e una certa prossimità spaziale è necessaria per sopperire alla distanza sociale. Questo suggerisce che l’industria italiana potrebbe avere più difficoltà dell’accademia ad approfittare della diaspora dei nostri scienziati. A peggiorare le cose, vi è il fatto che l’industria italiana assume sempre meno personale scientifico e questo non può che allontanarla ancora di più dai cervelli italiani all’estero.

 

(1) The Economist (2011), “No Italian jobs – Why Italian graduates cannot wait to emigrate”, 6 gennaio (http://www.economist.com/node/17862256)
(2)
Giovanni Peri, “I cervelli italiani fuggono all’estero. Sempre di più“, lavoce.info, 12.12.2002; Massimiliano Tani, “I cervelli in transito“, lavoce.info, 16.12.2003
(3) Dumont J.-C.,  G. Spielvogel,  S. Widmaier (2010), “International Migrants in Developed, Emerging and Developing Countries: An Extended Profile”, OECD Social, Employment and Migration Working Papers No.114 (http://www.oecd.org/els/workingpapers)
(4) Patrick Gaulè, “Do highly skilled migrants return permanently to their home countries?”, http://www.voxeu.org, 14 December 2010
(5) Significativamente, il sito ministeriale per questi progetti è stato aggiornato l’ultima volta nell’estate del 2008 (http://www.rientrodeicervelli.net/index.html)
(6)
Freeman R. (2010), “Globalization of scientific and engineering talent: international mobility of students, workers, and ideas and the world economy”, Economics of Innovation and New Technology19/5, pp. 393-406
(7) Tutti gli articoli scientifici citano le proprie fonti, nonché articoli simili per contenuti o metodologie. Le citazioni sono da tempo usate, negli studi bibliometrici, per stabilire il “debito” intellettuale o la prossimità dei campi di ricerca di autori citanti e citati. A partire dagli anni Novanta è invalsa la pratica di utilizzare anche le citazioni che compaiono nella documentazione relativa alle domande di brevetto. Queste citazioni hanno lo scopo di delimitare il grado di novità e non ovvietà delle invenzioni per cui si domanda la protezione. Possono essere inserite dagli inventori o dai loro avvocati nella domanda di brevetto (come richiede il sistema brevettuale Usa) o venire aggiunte dall’ufficio brevetti nel corso dell’esame delle domande (come avviene tipicamente nel caso europeo).
(8) I due studi citati sono: Agrawal A., I. Cockburn, J. McHale (2006), “Gone But Not Forgotten: Knowledge Flows, Labor Mobility, and Enduring Social Relationships”, Journal of Economic Geography 6, pp. 571-591; Azoulay P., J.S.G. Zivin, B. Sampat (2011), “The Diffusion of Scientific Knowledge Across Time and Space: Evidence from Professional Transitions for the Superstars of Medicine”, NBER Working Paper 16683, National Bureau of Economic Research, Cambridge MA.
Lo studio italiano citato è: Breschi S., Lissoni F. (2005) “Cross-Firm Inventors and Social Networks: Localised Knowledge Spillovers Revisited”, Annales d’Economie et de Statistique 79-80, pp.189-209.
(9) I due studi citati sono: Agrawal A., D. Kapur, J. McHale (2008), ” How do spatial and social proximity influence knowledge flows? Evidence from patent data”, Journal of Urban Economics 64, pp. 258-269; Kerr, W. (2008) “Ethnic Scientific Communities and International Technology Diffusion.” Review of Economics and Statistics, 90(3): 518-537.

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COME FINIRÀ LA SAGA DEI DEBITI SOVRANI

  1. Michele Costabile

    Complimenti per la rassegna che finalmente sfata il falso mito della fuga dei cervelli, concentrando l’attenzione sul vero tema critico: la circolazione dei cervelli. E se le evidenze non più aneddotiche sul ruolo della prossimità sociale possono consolare la comunita’ accademica, resta critico il problema per la business community. L’attrazione di talenti professionali e imprendittoriali ad alta intensità di conoscenza è il vero problema. E sui driver di questa capacità attrattiva di immigrati ad alto potenziale che dovremmo concentrarci. Programmi master, Graduate School competitive, PhD in applied hard sciences, centri e laboratori di ricerca industriale? E’ possibile pensare a una policy volta a creare livelli ottimali di prossimità spaziale fra i componenti dell’ecosistema della business innovation?

  2. antonio greco

    Sciatteria sociale/istituzionale (definizione): motivazione minima e impegno ridotto (nelle istituzioni), criteri per la selezione degli uomini pubblici “al peggio”, assenza di binari e di paletti, come di certezze (per l’enfasi sul lavoro di terza qualità), interpretazione ad personam di regole e leggi (anche per informazione inadeguata), comportamento dei pubblici funzionari orientato sul tornaconto personale (invece che sull’imperativo del proprio dovere per il Paese), assenza di valori positivi nella società, lassismo diffuso, diffusa incapacità di gestione, assenza di strategie sugli interessi nazionali, tornaconti di clan o privati nella vita parlamentare + lottizzazioni e raccomandazioni diffuse. Un Paese puo’ suicidarsi con la sola sciatteria! La dimostrazione ne è l’Italia sociale nel primo decennio del secolo! Si tratta di un suicidio che non richiede coraggio. Basta lasciarsi andare e proseguire cosi! Antonio Greco angrema@wanadoo.fr

  3. SAVINO

    Perchè mai un genio incompreso in Italia e, di conseguenza, costretto a fuggire all’estero dovrebbe aiutare questo paese, soprattutto quando il messaggio lanciato da chi lo governa è esattamente l’opposto? Ricordo, per chi se lo fosse dimenticato, che il premier ha raccontato barzellette sporche in una cerimonia con studenti modello, ha suggerito ad una bella ragazza disoccupata di sposarsi con un ricco e ci propone (soprattutto propone ai giovani) ogni sera con le sue tv e i suoi comportamenti modelli errati. E un genio dovrebbe pure aiutare lui e i suoi passivi sudditi?

  4. Alessandro Figà Talamanca

    Primo: I salari iniziali sono troppo bassi. Il primo stipendio netto di un professore di prima fascia non è sufficiente per mantenere una famiglia monoreddito non proprietaria di casa ad un livello medio-borghese. In pratica, ad esempio, a Roma, sono necessari almeno 1.500 euro per l’affitto di un appartamento in periferia. Restano 1000 euro netti per tutte le altre spese.
    Secondo: Per diversi anni il coniuge straniero di un docente straniero avrà difficoltà a svolgere una professione o a trovare un impiego adeguato. Sono complicatissime ed incerte le procedure di riconoscimento dei titoli accademici stranieri. Per molti impieghi e professioni è irragionevolmente richiesta la cittadinanza comunitaria, a volte anche quella italiana. Le procedure per il conseguimento della cittadinanzia italiana sono lunghe ed incerte. Persino il permesso di soggiorno e la copertura sanitaria di un docente straniero possono non essere facili da ottenerei. L’Italia è un paese che è ostile alla immigrazione, che è sospettata di “rubare il lavoro” agli italiani..
    Terzo: Le università e i dipartimenti praticano lo “inbreeding” (assunzione e promozione di locali)

  5. Fabio M

    Concordo con molti punti del commento precedente. Per avere un’idea del gap di trattamento fra la ricerca pubblica italiana e gli standard internazionali, rimando alle attuali condizioni di assunzione di personale scientifico del JRC di Ispra. Ebbene, queste condizioni, pur faraoniche rispetto a quello che si può aspettare normalmente un assegnista di ricerca / ricercatore /prof associato, a volte non sono sufficienti a convincere un nord-europeo a trasferirsi in un paese a difficile occupabilità per i partner come e’ l’Italia.

  6. Mirko Prezioso

    Articolo sicuramente interessante, soprattutto perché sposta l’accento sul bilancio netto dei flussi, più che sulla “fuga dei cervelli”. Penso però che le citazioni di articoli non siano un buon indicatore della circolazione delle idee. La scelta di chi citare nell’articolo può certamente essere basata anche sul legame che abbiamo con il “citato”, ma che da questo ne discenda uno scambio di idee mi pare perlomeno azzardato. Temo che l’unico contributo verso l’Italia che i “cervelli fuggiti” possono dare sia solo a livello di prestigio internazionale. La circolazione delle idee si ha solo con la circolazione delle “Teste”, a mio parere ovviamente.

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