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SE IL PROBLEMA È L’OFFERTA DI CREDITO

La Fed ha scelto di intervenire con una Operation Twist invece che con una operazione di quantitative easing. I mercati l’hanno accolta con una certa freddezza. Perché denota un condizionamento politico, dei Repubblicani, sulla banca centrale americana. Ma soprattutto perché in questo momento il problema non è la domanda, ma l’offerta di credito. Le banche sono riluttanti a prestare soldi per la forte incertezza. Così una parte crescente di imprese e famiglie viene esclusa dall’accesso al credito. E non c’è compressione dei tassi di interesse che possa cambiare la situazione.

Qual è la differenza tra la figura 1 e la figura 2? Entrambe illustrano gli effetti sulla curva dei rendimenti di recenti operazioni di politica monetaria “non convenzionale” condotte dalla Federal Reserve americana. La curva dei rendimenti descrive il livello dei tassi di interesse per ogni data maturità dei titoli. La curva è tipicamente inclinata positivamente, indicando, ad esempio, che titoli a 30 anni hanno un rendimento più alto di titoli a 3 mesi (per ragioni di maggior rischio legate al rimborso nel lungo periodo).

OPERATION TWIST PER LA FED

La figura a sinistra descrive l’effetto sulla curva dei rendimenti delle operazioni di Quantitative Easing (QE), la figura a destra l’effetto dell’ultima operazione cosiddetta di Operation Twist (OT).  Nel primo caso (QE) la banca centrale interviene direttamente sul mercato dei titoli a medio-lungo termine (tipicamente di Stato). L’aumento di domanda per titoli a scadenza medio-lunga ne fa salire il prezzo, e quindi abbassare il rendimento. L’obiettivo dichiarato è quello di far abbassare i tassi di interesse a lungo termine, che sono generalmente quelli che incidono sulle decisioni di spesa delle famiglie (acquistare una casa o una macchina) e di investimento delle imprese, sperando così di rilanciare l’economia.
Il punto chiave è che con il QE la curva rendimenti ruota su se stessa, inducendo una diminuzione di tutta la struttura dei tassi (con l’eccezione di quelli a brevissimo termine, che in ogni caso sono oggi bloccati a livello zero, sotto il quale non possono scendere). L’effetto collaterale è che così facendo la banca centrale amplia a dismisura il proprio bilancio.
Nel caso di OT, invece, la Fed si impegna a effettuare una semplice ricomposizione di portafoglio, mantenendo il bilancio invariato. Acquista titoli a lungo termine, facendone scendere il rendimento, ma cede in cambio titoli a breve, facendone salire il rendimento. Il risultato è che la curva dei rendimenti non è solo soggetta a una rotazione, ma trasla anche verso l’alto.

Nonostante la portata dell’operazione di OT sia ingente (400 miliardi di dollari), non è quindi sorprendente che i mercati l’abbiano accolto con timidezza. Di fatto, appare come un QE diminuito. Un fare qualcosa che è certamente meglio di niente, ma che porterà probabilmente effetti espansivi molto limitati. I mercati, infatti, sembrano domandarsi: perché non fare un altro round di QE allora?

 UN CONDIZIONAMENTO POLITICO

La risposta è probabilmente di tipo politico. L’operazione OT è il massimo che la Fed può fare in questo momento, viste le forti pressioni dell’ala repubblicana per un ridimensionamento dei suoi interventi nell’economia. I programmi di QE comportano necessariamente un’espansione del bilancio della Fed, mentre quelle di OT lo lasciano  invariato.
Per la verità, non esistono chiare ragioni di teoria economica che facciano temere conseguenze negative dall’espansione del bilancio di una banca centrale. Qualcuno agita lo spettro inflazione,  ma di fatto, sino a ora, il quasi quintuplicarsi del bilancio della Fed negli ultimi tre anni ha prodotto tutt’altro che una spinta al rialzo dei prezzi. L’opposizione a una nuova operazione di QE, in realtà, è puramente di tipo politico. Nell’immaginario dei Repubblicani, in modo del tutto retorico, l’espandersi del bilancio della Fed equivale a una espansione dello Stato nell’economia, lo spettro a loro più inviso.
Questo round di OT, in definitiva, avrà poco impatto sulle condizioni economiche aggregate. Per due ragioni. La prima, perché il solo fatto di averlo partorito al posto di una operazione di QE trasferisce l’immagine di una Fed condizionata politicamente. La seconda, perché probabilmente anche una qualsiasi operazione di QE, in questo momento, avrebbe scarsa efficacia. Il problema non sembra tanto quello di comprimere i tassi di interesse a lungo termine a livelli tali da indurre imprese e famiglie a investire e spendere. Il problema più grande è che una parte crescente di imprese e famiglie viene esclusa dall’accesso al credito, un fenomeno che va sotto il nome di credit rationing. Le banche sono riluttanti a prestare soldi per motivi di forte incertezza. E non c’è compressione dei tassi di interesse che possa avere effetto quando il problema non è tanto nella domanda (da parte di imprese e famiglie) ma nell’offerta di credito (da parte delle banche).

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BANCHE ITALIANE, PIÙ DEBOLI E COSTOSE

  1. Marcello Battini

    Non sono così pessimista, come l’autore, sulle conseguenze di questa iniziativa. A mio avviso, ha il pregio di ridurre i costi di finanzaimento per gli investimenti in infrastrutture, per i piani di sviluppo delle medie e grandi aziende private, per una possibile ripresa del mercato immobiliare. Non so quanto questo possa aiutare i consumi privati, ma sicuramente non li danneggia. Marcello Battini

  2. Anonimo

    A mio avviso, è un errore considerare la politica monetaria come variazione di credito e tassi d’interesse. Il punto fondamentale è invece l’offerta di moneta. Con la crisi si è avuto un netto aumento della domanda di fondi monetari, a cui le banche centrali hanno risposto con lentezza e indecisione (a parte lodevoli eccezioni come Australia, Svezia e Regno Unito). Di qui la riduzione della spesa in moneta e della domanda aggregata, e la lunga stagnazione delle economie mondiali. La Fed e la BCE possono espandere ulteriormente la creazione di moneta, ad esempio istituendo tassi d’interesse negativi sulle riserve bancarie in eccesso. Non solo le banche presterebbero di più, ma famiglie e imprese sarebbero indotte ad aumentare consumi e investimenti, migliorando le condizioni del ciclo economico. Perché ciò sia realmente fattibile servono politiche chiare e rigorose sull’inflazione, che al momento non si vedono: i mercati prevedono l’inflazione zona Euro a 1.4% nei prossimi 5 anni (contro un obiettivo teorico del 2%), e gli Stati Uniti non stanno molto meglio di noi. Sayonara, Trichet-san.

  3. michele

    Si comprende poco la riluttanza degli istituti a fare credito, quando le Banche Centrali è divenuta col quantitavie easing prestatore di ultima istanza, senza porre condizioni e a garanzia di qualsiasi esposizione (miliardi di dollari). Se falliscono gli Stati, comunque c’è un quantitavie easing, che mostra di non produrre inflazione, e che non richiede nessuna condizione o limitazione nè per le banche nè per le banche centrali. Non solo la garanzia degli Stati sui conti correnti, che non è più sufficiente per gli investitori, dato il rischio di insolvenza del debito sovrano. La stessa BCE ha sostenuto in passato che la dinamica dei prezzi NEL LUNGO TERMINE dipende unicamente dall’offerta di moneta. Tre anni forse sono pochi per vedere effetti inflattivi; in secondo luogo, la moneta immessa col quantitative easing serve a ripianare le perdite e a coprire crediti in sofferenza, ovvero viene velocemente bruciata dai mercati finanziari con la perdita di valore degli strumenti, oltre a finanziare la normale operatività delle banche. Dato che l’offerta di prestiti non è cresciuta, si può stimare che buona parte di questa moneta non si è riversata nelle transazioni commerciali. Certo è che Stati e Banche centrali coprono in ogni modo le perdite di banche private e finanza, e poi questo mare di liquidità non basta paradossalmente e non viene riversato a favore di famiglie e imprese. qualcuno campa di aiuti di Stato, e poi valuta il merito di credito degli altri attori economici. mancata inflazione perchè l’incremento di offerta di moneta/credito è azzerato dal calo degli indici di Borsa e dalle perdite su crediti delle banche. oltre a ciò, sarebbe da riscontrare se l’attuale stretta al credito e un intervento di QE immesso nelle transazioni commerciali genera dapprima un calo dei prezzi sotto il costo variabile minimo, punto di fuga che avvia le imprese al fallimento; e solo in seguito iperinflazione. Potrebbe essere un grande affare per molti. Come nel 1929, prezzi in depressione di beni e strumenti finanziari, una legge fallimentare a esclusivo vantaggio dei creditori (non riformata nonostante l’enorme impatto sociale di fallimenti e pignoramenti a catena), denaro in quantità illimitata nelle mani di pochi, permettono a qualche speculatore di comprare con quattro soldi, case, terreni, azioni (e la proprietà di aziende e banche).

  4. P. Magotti

    La Fed ha capito che il QE non ha prodotto nessun effetto reale, la produzione USA non ha ancora raggiunto il livello precrisi.Gli effetti sono stati nominali, come le quotazioni di borsa e delle materie prime dimostrano. L’oro è il caso più eclatante. All’annuncio del mancato QE3, il prezzo del metallo è sceso da 1800 a 1600 in un giorni. Il Dow Jones a livelli precrisi, con un economia non in salute come nel precrisi. Tutti segnali di prezzi “inflazionati”. Gli USA con tutta probabilità sarebbero stati in deflazione, senza i passati QE, come la crisi del ’29 dimostra. L’economia UE ha tenuto come quella USA, senza bisogno di particolari QE, ma fornendo solo la liquidità per evitare crisi di fiducia. (La crisi di alcuni paesi area Euro, non è certamente dovuta alla politica monetaria). La FED ha scoperto quello che già sappiamo da una trentina d’anni, la moneta non produce effetti reali nel medio periodo, ed ora applica questo principio ben scolpito nei trattati BCE.

  5. Anonimo

    Dire che l’espansione della moneta non sortisca effetti di breve-medio periodo sull’economia reale è un luogo comune diffuso ma estremamente discutibile. Le politiche della BCE sono state molto graduali e difficili da valutare, ma sul QE negli Stati Uniti non ci sono dubbi. Basti guardare agli effetti dell’annuncio sui mercati dei titoli: le obbligazioni a lungo termine si svalutarono (aumento dei rendimenti a lungo) mentre salirono le azioni, le merci e le previsioni sull’inflazione. In altre parole, i mercati si prepararono al previsto aumento della domanda aggregata (e quindi, nel breve periodo, dell’attività economica). Le politiche della Fed sono ovviamente cambiate e così le aspettative sull’economia, ma l’effetto QE dimostra l’importanza di controllare la domanda sia in un senso che nell’altro, favorendo la stabilità nell’andamento dei prezzi.

  6. Anonimo

    Le volatilità delle ragioni monetarie di scambio sono in funzione delle dinamiche di deficit di bilancio (privato e pubblico) in causa delle concorrenze perfette. Quindi una politica monetaria veramente accomodante definisce una posizione di equilibrio intertemporale delle modalità transattive in equivalenza alle misure quantitative dei pagamenti in mercato aperto:domanda di moneta speculativa.

  7. francesco burco

    non si spiega mai il banale, cioè che pure la banca avesse una liquidità infinita, prestandola a un’impresa che non è in equilibrio economico, realizzerebbe una perdita.. l’idea inflazionista è talmente radicata che si dà per scontato che il nostro sistema produttivo sia ben strutturato per soddisfare l’utilità degli individui e che la crisi sia un problema di liquidità e pessimismo causato da un sistema bancario che obnubilato da un genio cattivo preferisce fare affidamento sulla capacità dello stato di cavare tasse dalle rape piuttosto che finanziare le magnifiche sorti e progressive del signor pravettoni..

  8. Leonardo Lucacci

    La mia critica all’articolo si basa su un altro aspetto: il problema non è che l’offerta di credito si restringe a causa della riluttanza delle banche a prestare soldi per le incertezze, ma semplicemente perché scarseggia la liquidità. Il mercato interbancario non è praticato, la lotta tra le banche (parlo di quelle italiane che conosco di più) ad acquisire nuova raccolta diretta tra la clientela al dettaglio e imprese arriva all’assurdo che si paga molto di più di quanto poi si incassa con gli impieghi. E così il credito si restringe sempre di più. Chiedo all’autore se invece non fosse da prendere sul serio l’idea che la BCE si metta a stampare nuova moneta da immetterla nel mercato, come iniziativa più veloce per ridare ossigeno all’economia, ormai allo spasimo.

  9. Piero

    Forse stampare moneta no, ma la Bce deve procedere ad un’annuncio sul mercato dei titoli statali di almeno il 50% in un decennio, circa 500 mld all’anno, in tale modo cessa la speculazione i titoli riprendono il loro valore e considerato che sono in pancia alle banche, le stesse potranno continuare a fare il loro mestiere, l’interbancario ritornerà liquido, i fondi governativi Esteri ritorneranno ad investire nell’area euro non essendoci piu’ il rischio della caduta della moneta unica. Al contrario la politica attuale e’ da suicidi, la bce si sta riempendo del collaterale dato dalle banche per avere prestiti, collaterale di scarsa qualità, alla fine la bce si sta riempiendo di titoli spazzatura per sostenere le banche senza curare il problema, alla fine faceva prima a comperare i titoli statali sul mercato. Non penso che Draghi non capisca cio’, penso che e’ ostaggio della Merkel. Non ci rimane che uscire se non si cambia politica, difficilmente penso che la Merkel abbandoni questo comportamento voluto.

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