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CITTADINANZA E DIRITTO DI VOTO PER L’INTEGRAZIONE*

C’è tempo fino ai primi di marzo per raccogliere le firme a favore di due leggi di iniziativa popolare per i diritti di cittadinanza e di voto degli stranieri, promossi dalle organizzazioni della campagna L’Italia sono anch’io. L’obiettivo è introdurre anche in Italia lo jus soli e concedere ai residenti stranieri il voto alle amministrative. Semplificare i percorsi di cittadinanza è indispensabile per consentire una effettiva integrazione sociale. Rimanere ancorati alla vecchia normativa significherebbe invece lasciar spazio all’esclusione e al risentimento.

In settembre sono stati depositati in Cassazione i testi delle due leggi di iniziativa popolare sottoscritti dalle organizzazioni che hanno promosso la campagna “L’Italia sono anch’io” per i diritti di cittadinanza e di voto delle persone di origine straniera. Primo firmatario è il sindaco di Reggio Emilia.
Con il deposito ha preso il via la raccolta delle firme necessarie per la consegna delle leggi in Parlamento. Ci sono sei mesi di tempo (fino ai primi di marzo) per raggiungere l’obiettivo richiesto delle 50mila firme in calce a ciascuna delle due proposte di legge.

PROPOSTE PER DIVENTARE CITTADINI ITALIANI

Le due proposte di legge assegnano un ruolo di primario rilievo allo jus soli, cioè il diritto di essere cittadini del nostro paese a partire dal luogo nel quale si nasce e non dalla discendenza di sangue,. La cittadinanza viene a definirsi come diritto soggettivo e legittima aspirazione delle persone a partecipare a pieno titolo alla vita della comunità, dopo un periodo di soggiorno legale sul territorio. Mentre attraverso il riconoscimento del diritto di voto amministrativo per chi risiede per un periodo congruo (cinque anni), si elimina una ingiustizia che rischia di minare sempre più il principio del suffragio universale a livello territoriale, impedendo a milioni di persone di partecipare pienamente alla vita della comunità nella quale risiedono.
L’attuale legge sulla cittadinanza (legge 5 febbraio 1992, n. 91) prevede tre possibilità per gli stranieri: la cittadinanza per nascita, per naturalizzazione, per matrimonio.
La proposta di legge della campagna “l’Italia sono anch’io” introduce, appunto, lo jus soli: sono cittadini italiani i nati in Italia che abbiano almeno un genitore legalmente soggiornante, il quale ne faccia richiesta. In secondo luogo, prevede che siano italiani i nati da genitori nati in Italia, a prescindere dalla condizione giuridica di questi ultimi: un principio che va a risolvere situazioni paradossali di bambini che nascono da adulti nati in Italia, ma non italiani, riproducendo una condizione di limbo. Si prevede inoltre che possano diventare italiani con la maggiore età, se ne fanno richiesta entro due anni, i bambini nati in Italia da genitori privi di titolo di soggiorno o entrati in Italia entro il decimo anno di età, che vi abbiano soggiornato legalmente. Inoltre, su richiesta dei genitori, diventano cittadini italiani i minori che hanno frequentato un corso di istruzione. Per gli adulti si propone di impegnare i sindaci, come vertici delle istituzioni più vicine ai cittadini, nella presentazione al Presidente della Repubblica della istanza di cittadinanza. La domanda inoltre può venire presentata da uno straniero legalmente soggiornante da cinque anni (anziché dieci).
Infine mettendo in atto un principio contenuto nella Convenzione di Strasburgo del 1992, che l’Italia non aveva ratificato alla lettera C, si propone che il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni comunali, provinciali, concernenti le città metropolitane e le Regioni è garantito anche a chi non sia cittadino italiano, quando abbia maturato cinque anni di regolare soggiorno in Italia.

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I NUMERI DELLA CITTADINANZA

Il numero dei cittadini stranieri che ottiene ogni anno la cittadinanza italiana è ancora molto limitato e lontano dalla media europea, seppure in crescita.
Nell’ultimo decennio, confrontando il numero di acquisizioni di cittadinanza e il numero totale dei residenti stranieri, risulta che solo una persona straniera su 100 (per un totale di 260mila) ha acquisito la cittadinanza italiana.
Il rapporto Eurostat relativo al 2009 (uscito in questi giorni), ha evidenziato come nell’Europa dei 27 l’acquisizione di cittadinanza sia in aumento: nel 2009 sono state 776mila le persone che hanno acquisito la cittadinanza negli stati membri, contro le 699mila del 2008.
Confrontando il numero di cittadinanze assegnate con il numero dei residenti stranieri dei Paesi, le percentuali più alte sono state raggiunte in Portogallo (5,8 cittadinanze ogni cento stranieri), Svezia (5,3), Regno Unito (4,5). La media europea è del 2,4 e l’Italia è al di sotto, con l’1,5.
Nel rapporto con la popolazione residente, le percentuali più alte sono state raggiunte in Lussemburgo (8,1 cittadinanze ogni mille abitanti), Cipro, Regno Unito e Svezia. La media europea è di 2,4 cittadinanze ogni mille abitanti: per l’Italia il rapporto è di uno a mille.
Sulla situazione italiana possono essere utili tre osservazioni.
La legge 91 del 1992 è una delle più rigide in Europa, in particolare per i minori nati in Italia, che sono oggi circa 600mila: potranno fare domanda solo dopo il compimento del diciottesimo anno di età (entro un anno dal compimento) e dimostrare la continuità del soggiorno regolare in Italia, sin dalla nascita.
Con la legge 94/2009 (il “pacchetto sicurezza”) la richiesta di cittadinanza per matrimonio non è più possibile dopo sei mesi, ma dopo due anni dalle nozze; provvedimento giusto che tuttavia ha fatto sì che negli ultimi due anni per la prima volta le richieste per matrimonio fossero superate da quelle per cittadinanza, che prevedono dieci anni di residenza in Italia.
Non si può fare a meno di notare che le lentezze procedurali spesso segnalate da cittadini stranieri sono tutt’altro che superate: lo stesso sito del ministero dell’Interno comunica che al 31 dicembre 2010 erano oltre 146mila le istanze in itinere, cioè domande che attendono da due o tre anni di essere esaminate.
I testi di riforma giacenti in Parlamento sono peraltro numerosi e la legislazione europea tende verso i cinque anni di residenza per l’accesso alla cittadinanza.
Semplificare i percorsi di cittadinanza è uno degli elementi per consentire una effettiva integrazione sociale dei quasi cinque milioni di stranieri che oggi vivono e lavorano nel nostro paese.
Rimanere ancorati alla normativa di vent’anni fa significherebbe al contrario lasciar crescere i germi dell’esclusione e del risentimento.
Quale miglior occasione per comprendere nel modo migliore che le celebrazioni del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia si devono nutrire di un nuovo concetto di coesione sociale?
Oppure la paura degli immigrati, così esageratamente alimentata in passato, serve semplicemente a nascondere la paura che un giorno possano votare?

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* Regione Emilia-Romagna. Rappresentante delle Regioni nel Comitato tecnico nazionale sull’immigrazione

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  1. Emanuele Bracco

    Ma la cittadinanza non può anche essere chiesta dopo 10 anni di residenza? E poi se il genitore la acquisisce, questa viene trasmessa automaticamente al figlio. La mia impressione è che effettivamente la legge italiana sia un po’ (ma non molto) più rigida di quella francese o tedesca, ma il vero problema sia la procedura burocratica. Poco chiaro il modo di fare domanda, tempi lunghissimi in alcune delle Prefetture. A Roma ci vuole circa un anno per avere un appuntamento (che non è necessario avere, dato che si può sempre consegnare la domanda per raccomandata, ma non te lo dicono) e poi 3/4 anni perchè la pratica si concluda. Con questi tempi parlare di cambiare la legge è solo distrazione, bisogna aggredire la burocrazia.

  2. AM

    Evitiamo di passare da un estremo all’altro. Il diritto di cittadinanza ha un valore, anche economico. Non deprezziamolo distribuendolo a pioggia anche a coloro che non lo desiderano e non lo apprezzano. Se la Svizzera applicasse integralmente lo jus soli il paese sarebbe invaso da turiste in gravidanza ansiose di partorire sul suolo elvetico. In passato l’Italia ha generosamente distribuito cittadinanza ad oriundi italiani all’estero sperando di creare una testa di ponte economica e culturale in questi paesi. Tuttavia è mancato l’apparato per questa politica (es. Dante Alighieri) e il risultato è stato deludente. Gli oriundi emigrati dall’Argentina in crisi sono andati in altri paesi europei e in USA mentre in Italia sono arrivati peruviani totalmente privi di ascendenti italiani. Non ripetiamo l’errore oggi con la cittadinanza ai nati in Italia concessa in assenza di una completa politica di selezione e di integrazione. La cittadinanza da sola non basta per integrare. Vediamo gli esempi della Francia e dell’UK dove figli di immigrati (con cittadinanza) hanno compiuto violenze ed atti di terrorismo.

  3. Francesco Santodirocco

    Il fenomeno dell’immigrazione è ormai di tale rilevanza, che necessita di una struttura sua a livello di governo,che vada al di là della sua connotazione principale della “sicurezza” per cui ora è sotto la giurisdizione del Ministero degli Interni.Un Mistero proprio,dovrebbe essere in stretta collaborazione e di raccordo,sia con quello degli Interni(per la famosa sicurezza),sia con quello degli Esteri e della Cooperazione,per i rapporti coi Paesi di origine (per fare accordi anche di emigrazione reciproca,ossia per l’Italia, ma anche dall’Italia), sia con quello del Lavoro e Assistenza Sociale.Tutte le leggi e le procedure riguardanti i “nuovi italiani”devono essere a livello europeo e portate avanti dal Ministro ad hoc.Solo così si possono risolvere i problemi, e senza che un Bossi qualunque abbia la possibilità di influire su temi così delicati e che riguardano la nostra carta di civiltà.

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