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LE DUE FACCE DELLA GREEN ECONOMY

L’Unione Europea è l’unica area del pianeta dove sono stati presi impegni vincolanti di lotta alle emissioni di gas serra. Ma le politiche dei paesi membri si fondano su incentivi ai consumi di energia verde. Nella produzione di tecnologie e prodotti i protagonisti sono Stati Uniti e Cina. Servirebbe una politica industriale comune che promuova le esportazioni europee, eviti la frammentazione delle iniziative e intraprenda un’azione più decisa sulla tassazione di beni importati da paesi che hanno legislazioni ambientali, e costi, meno stringenti di quella europea.

In tempo di crisi, sembrano vacillare gli accordi, spesso raggiunti a fatica, per la lotta alle emissioni di gas serra. Anche la 17ª conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Durban 28 novembre-9 dicembre 2011) ha confermato che l’Unione Europea è l’unica area del pianeta convinta della necessità degli impegni vincolanti del protocollo di Kyoto e dell’estensione alla seconda fase successiva al 2012 (Così l’Europa ha salvato Durban). Nel 2009, poi, l’Unione ha anticipato i negoziati internazionali approvando unilateralmente un impegno di riduzione dei gas serra del 20 per cento entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990. Il Consiglio ha tra l’altro annunciato l’intenzione di aumentare l’impegno al 30 per cento in caso di allargamento degli accordi internazionali sul clima e di intraprendere una strada virtuosa verso una riduzione maggiore dell’80 per cento entro il 2050. (1)

LE POLITICHE DEGLI INCENTIVI AI CONSUMI

L’altra faccia della medaglia sono le politiche nazionali in difesa della nuova economia della sostenibilità. Le politiche industriali dei governi a favore delle green technologies restano infatti solide anche nella crisi e cominciano a emergere i primi scontri tra potenze nella competizione globale.
Il modello iniziale di promozione dell’industria, nelle maggiori aree economiche, ha utilizzato come leva principale l’incentivazione della domanda. Tariffe e sussidi sui consumi energetici “green” favoriscono l’acquisto delle tecnologie più mature e per questa via lo sviluppo di un’industria nazionale, ma anche una maggiore competitività internazionale.

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COSA È CAMBIATO

L’incentivazione dei consumi e la conseguente attrazione di investimenti industriali è un fenomeno generalizzato nelle tre principali aree mondiali (Usa, Cina, Europa), ma negli ultimi cinque anni qualcosa è cambiato nello scenario economico mondiale.
Nel periodo 2005-2009 l’Europa è l’area a maggiore domanda, seguita dagli Stati Uniti con livelli relativamente modesti negli anni del boom 2006-2009. Invece, la Cina, che nel 2005 realizzava progetti per un valore di oltre tre volte inferiore rispetto all’Europa e di oltre due volte rispetto agli Stati Uniti, registra nel 2010 investimenti in green technologies superiori del 40 per cento rispetto all’Europa e del 60 per cento nei confronti degli Stati Uniti.
Alla domanda interna corrisponde una crescita della produzione di tecnologie e prodotti delle imprese cinesi destinata al mercato interno, ma anche e in misura considerevole delle esportazioni verso l’Europa e gli Stati Uniti. La pressione concorrenziale delle aziende cinesi cambia pertanto l’assetto del mercato globale dei produttori. Le imprese americane, leader mondiali nella produzione dell’intera gamma di tecnologie green, sono scavalcate da quelle cinesi e perdono quote significative del mercato interno a favore delle importazioni asiatiche (figura 1), tanto da spingere associazioni industriali e sindacali a presentare ricorso per pratiche commerciali scorrette al Wto. (2)

Figura 1: Bilancia commerciale Usa-Cina in clean energy products

UNA POLITICA INDUSTRIALE COMUNE E VERDE

L’Europa sembra essere fuori dai grandi giochi globali, mentre i mercati ne registrano gli effetti. Le imprese europee vedono ridursi le quote di mercato interno a favore delle cinesi e al tempo stesso subiscono azioni di scalata e acquisizione da parte di imprese asiatiche in misura maggiore rispetto a quelle statunitensi, a motivo della loro minore dimensione.
In attuazione della politica comune di incentivazione della domanda (20 per cento rinnovabili; 20 per cento efficienza energetica; 20 per cento di minori emissioni di gas serra), gli Stati membri si concentrano su incentivi e sussidi ai consumi, tralasciando spesso politiche di offerta e di innovazione. Anche la green economy lancia dunque un appello a favore del rafforzamento dell’euro e dell’Eurozona: una politica industriale comune è infatti necessaria per la competitività dell’industria europea nel mercato delle clean technologies, questo sì globalizzato rispetto all’assunzione invece circoscritta di impegni low carbon.
Una politica industriale comune dovrebbe intervenire su quattro aree principali:
1) la promozione delle esportazioni di prodotti e tecnologie green europei attraverso azioni mirate al potenziamento delle strategie commerciali del brand “Green Tech made in Europe”;
2) il rafforzamento delle dimensioni delle imprese europee attraverso strumenti di sostegno alla cooperazione e alla crescita, anche al fine di evitare la frammentazione delle iniziative e la dispersione delle competenze;
3) politiche di ripartizione del rischio in mercati caratterizzati da forti spinte all’innovazione di prodotto attraverso strumenti diretti (capitale pubblico) e azioni che favoriscano iniziative di partecipazione del mercato privato dei capitali;
4) una presa di posizione unitaria e più forte nell’ambito delle istituzioni internazionali come il Wto sulla questione della cosiddetta “compensazione”, ovvero l’imposizione di tasse su beni importati da paesi che non sostengono un costo interno della CO2 equivalente a quello sostenuto dai produttori europei per effetto dell’imposizione di obblighi nei paesi di origine.

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(1) Sforzo per estendere l’adesione al protocollo dei paesi sviluppati o a sottoscrivere impegni finanziari per sostenere il fondo progetti nei Pvs.
(2) Forse un paradosso in un settore – quello delle green tecnologie – che in tutti i paesi industrializzati è ancora retto fortemente da sussidi e aiuti di Stato sui consumi.

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UNA RIVOLUZIONE COPERNICANA PER IL RATING

  1. Paolo g.

    In Italia,i consumatori di energia elettrica pagano importanti supplementi necessari per pagare i contributi dovuti a chi installa impianti a energia solare. Si pensa di incrementare o comunque sostenere questo sistema per creare posti di lavoro. Si dimentica che tutto il materiale necessario viene importato. Di fatto finanziamo il lavoro ai Cinesi. Davvero non è possibile trovare soluzioni più intelligenti? Verificare apre esempio, ciò che fanno in Germania. Importa il contenuto di prodotti tedeschi. E noi?

  2. antonino custra

    Analisi più che corretta, l’italia è da anni uno dei paesi con gli incentivi più alti per l’energia solare ma non esiste nessun piano per favorirne la produzione (che io conosca). Una buona strada potrebbe essere quella della riconversione dell’ex-stabilimento della Electrolux a scandicci, in toscana, dove la nuova proprietà si è accordata per mantenere la maggiorparte della forza lavoro riconvertendela alla produzione di pannelli fotovoltaici, e un gruppo di amministrazioni locali del territorio toscano hanno garantito uno sbocco di mercato per il primo periodo di attività. Purtroppo la vicenda non ha avuto un esito positivo, a quanto pare per questioni interne all’impresa che aveva rilevato lo stabilimento, ma penso che la stessa formula possa essere replicata con successo altrove. Il coinvolgimento dei territori mi pare il punto fondamentale: sostiene la produzione e allo stesso tempo favorisce la diffusione di energia pulita. Due piccioni con una fava!

  3. marco.ascari

    Il materiale estero per le installazioni fotovoltaiche influisce solo per il 30% sul totale del fatturato del settore-Dato significativo che permette di capire come a fronte di pannelli e tecnologie che possono venire dall’estero ci sia comunque aumento dela vendita di materiale elettrico (inverter ecc.) e tecnologie italiane e lavoro per aziende di installazione italiane. Si stima che i costi degli incentivi possano essere attualmente di 70 euro a famiglia all’anno, ovvero meno di 6 euro al mese- 3 euro a testa per una famiglia con due entrate – Se si pensa che gli incentivi al fotovoltaico e alle fonti alternative hanno permesso di importare meno petrolio e di conseguenza di calmierare in modo deciso il prezzo del petrolio i conti a riguardo sono presto fatti e la balla dell’insostenibilità degli incentivi messa in giro dai soliti interessati presto smentita. Per quel che riguarda le politiche europee sono d’accordo con quanto scritto, ma penso che bisognerà attendere affinchè avvenga una maggior integrazione tra stati dal passato tanto illustre che fino a 60 anni fa si distruggevano a vicenda – la vicende dell’euro insegnano!

  4. antonino custra

    Analisi piu’ che corretta, l’Italia e’ da anni uno dei paesi con gli incentivi piu’ alti per l’energia solare ma non esiste nessun piano per favorirne la produzione (che io conosca). Una buona strada potrebbe essere quella della riconversione dell’ex-stabilimento della Electrolux a scandicci, in toscana, dove la nuova proprieta’ si e’ accordata per mantenere la maggiorparte della forza lavoro riconvertendela alla produzione di pannelli fotovoltaici, e un gruppo di amministrazioni locali del territorio toscano hanno garantito uno sbocco di mercato per il primo periodo di attivita’. Purtroppo la vicenda non ha avuto un esito positivo, a quanto pare per questioni interne all’impresa che aveva rilevato lo stabilimento, ma penso che la stessa formula possa essere replicata con successo altrove. Il coinvolgimento dei territori mi pare il punto fondamentale: sostiene la produzione e allo stesso tempo favorisce la diffusione di energia pulita. Due piccioni con una fava!

  5. Per una riflessione

    Segnalo i livelli crescenti di CEM cui la popolazione e gli altri esseri viventi è esposta, da varie frequenze, con rischi accertati sulla nostra salute: dall’aumento di rischio di infertilità alla riduzione della capacità di riflettere, al cancro.

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