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COM’È SMART LA CITTÀ

Il governo intende lanciare un programma nazionale per lo sviluppo di “città intelligenti”, con un finanziamento previsto di circa un miliardo. Ma una smartcity non è semplicemente una città dotata di un sistema di comunicazione wireless. Nasce piuttosto dalla integrazione e condivisione di dati e servizi. È perciò vitale definire e promuovere un sistema multipolare, aperto e paritario che consenta a chiunque sia abilitato a farlo di interagire con gli altri agenti presenti. Attraverso un processo di elaborazione e standardizzazione che deve essere guidato dall’attore pubblico.

Il governo intende lanciare un programma nazionale per lo sviluppo di smartcity -“città intelligenti” -, finanziandolo con ingenti risorse: si parla di circa un miliardo di euro. Il tema e le risorse allocate sono certamente importanti e quindi è utile esaminare nel dettaglio cosa si debba intendere per smartcity, quali vantaggi questo tipo di iniziative possa indurre e come è bene investire le risorse.

COSA NON È UNA SMARTCITY

Spesso, il termine smartcity è evocato per indicare due tipologie di iniziative che, in realtà, non costituiscono il vero cuore del problema.
Una smartcity è più di una città dotata di un sistema di comunicazione wireless, così come un sistema ferroviario è più di un insieme di binari. Ovviamente, servono anche i “binari”, ma una smartcity non la si crea, per esempio, semplicemente attraverso progetti come le reti wi-fi cittadine: già oggi nelle città non manca connettività wireless, in particolare, quella 3G offerta dagli operatori. Certamente, maggiore connettività (gratuita o a basso costo) a disposizione dei cittadini potrebbe facilitare la diffusione e fruizione di certi servizi, anche se di fatto una rete wi-fi comunale fa del pubblico un operatore almeno in parziale concorrenza con gli operatori privati. Comunque sia, le reti wi-fi non sono un fattore che di per se stesso generi servizi innovativi o comunque diversi e migliori rispetto a quanto oggi è già disponibile: non apportano nulla di sostanzialmente nuovo o in reale discontinuità con la situazione esistente.
Allo stesso tempo, per rendere “smart” una città non basta immaginare singoli servizi evoluti per l’infomobilità, il controllo energetico, la sicurezza urbana e altri ad alto valore per il cittadino. Ovviamente, questi servizi sono molto utili e desiderabili, ma se concepiti come isole a se stanti, rischiano di non essere efficaci o addirittura irrealizzabili. Per esempio, per fornire servizi di infomobilità di valore è necessario pensare non solo a sofisticati sistemi di pianificazione e ottimizzazione dei flussi di traffico, ma anche e soprattutto a come raccogliere e integrare (in tempo reale o quasi) i tanti dati che sono indispensabili per realizzare queste funzioni di simulazione e calcolo: movimenti dei mezzi pubblici e privati, movimenti dei cittadini, stato dei lavori pubblici, operatività delle utilities (per esempio, la raccolta rifiuti) e tanti altri ancora. Se non ci fosse modo di raccogliere e organizzare questa molteplicità di informazioni, che servono per lo più in forma anonima o aggregata e quindi garantendo la privacy dei cittadini, anche il più sofisticato sistema di monitoraggio, pianificazione e controllo risulterebbe nei fatti inutile.

LE CARATTERISTICHE DI UNA CITTÀ SMART

L’esempio dell’infomobilità illustra chiaramente il problema che sta alla base della realizzazione di una smartcity: l’integrazione e la fruizione di dati e servizi scambiati da una molteplicità di attori pubblici e privati. È dalla integrazione e condivisione di dati e servizi che possono nascere funzioni evolute. Perché la condivisione avvenga, è vitale definire e promuovere un sistema multipolare, aperto e paritario che consenta a chiunque sia abilitato a farlo di interagire con gli altri attori presenti nella smartcity. Per esempio, il sistema di infomobilità richiede lo scambio e l’integrazione dei dati delle utilities, delle municipalizzate, di singoli cittadini o di imprese quali le società di antifurto satellitari che possono fornire utili informazioni sui flussi di mezzi privati.

COSA SERVE PER CREARE UNA SMARTCITY?

Lo snodo essenziale per far sì che ci siano servizi a valore aggiunto (“smart”) per i cittadini è quindi non solo assicurarsi che vi sia una connettività diffusa wi-fi o 3G (condizione necessaria), ma anche e soprattutto definire un modello di cooperazione e di scambio di dati e informazioni tra una molteplicità di sistemi informativi, dispositivi e applicazioni. È la disponibilità e la messa in esercizio di questo modello che rende realmente possibile lo sviluppo di servizi ad alto valore aggiunto e, quindi, “smart”.
Dal punto di vista tecnico-organizzativo, si tratta di promuovere open data e, soprattutto, open services (vedi “Open service nell’agenda digitale”), così come previsto, per esempio, nell’ambito del progetto promosso da Confindustria, Camera di commercio, Assolombarda, Confcommercio, Unione del commercio e società Expo 2015.
Questo tipo di approccio non nasce casualmente o in modo spontaneo, ma si fonda su una visione architetturale, tecnologica e metodologica unitaria che deve essere accettata e adottata da tutti i potenziali attori presenti sul territorio. Tale visione è il risultato di un processo di elaborazione e standardizzazione che deve essere necessariamente guidato dal pubblico in concertazione con le imprese private e con i fornitori delle tecnologie abilitanti. Ciò che è richiesto, quindi, è una accorta e illuminata governance che coordini e integri i lavori dei diversi attori coinvolti. In un paese come l’Italia, è questo il maggiore “costo” e, di conseguenza, ostacolo alla realizzazione di una smartcity.
Lo sviluppo delle smartcity è senza dubbio una priorità importante per il paese. Bisogna peraltro prestare attenzione agli snodi critici da affrontare affinché il programma possa realmente portare i vantaggi che potenzialmente è in grado di offrire. Non si tratta in prima battuta né di pensare a isolati investimenti in reti wireless, né dello sviluppo di singole applicazioni più o meno esoteriche, ma incapaci di dialogare tra loro. Il passaggio chiave è la costituzione di un “sistema nervoso” di comunicazione e controllo che permetta lo scambio e la integrazione di dati e servizi. È grazie a questo sistema nervoso che gli investimenti in reti o applicazioni possono trovare completa valorizzazione, sviluppandosi efficacemente e in modo pienamente sinergico a servizio di una vera città “smart”.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

13 commenti

  1. Enrico Poli

    Gli Etruschi pensavano con cura dove e come insediarsi. Ripartiamo dall’urbanistica e dall’architettura e poi utilizziamo il top della tecnologia che rende più comoda, facile ed economica la vita. Città pensate, concertate, armonizzate. Meglio che solo smart. Enrico Poli

  2. barbara martini

    personalmente non credo nei modelli di sviluppo che seguono un approccio top down ritenendo molto più efficaci gli approcci bottom up. Una smartcity in cui il capitale umano non è capace o non è disposto ad utilizzare i servizi tecnologici non avrà mai successo. perchè non iniziamo ad esaminare le capabilities e poi vedere cosa possiamo fare con il nostro potenziale?

  3. marco

    Sono molto favorevole al progetto, ma penso anche che per far ben funzionare una città occorrano anche altre infrasturtture e servizi che in Italia assolutamente mancano- Le smart city dovrebbero essere il coronamento di un sistema città efficiente non un qualcosa che serva a nascondere le magagne- Inanzitutto in alcune zone del paese non c’è nemmeno l’adsl e penso che occorrerebbe quanto prima fare la banda larga; poi mancano progetti sulla mobilità sostenibile; se io continuo a costruire quartieri in campagna lontani da ogni mezzo pubblico e continuo ad aumentare la dipendenza e il numero delle auto potrò riuscire a eliminare il traffico coordinandolo con un sistema informatico? Se le auto sono troppe in valore assoluto potrà bastare solo una redistribuzione e riorganizzazione dei flussi!?? Si può prescindere da una programmazione urbanistisca territoriale di lungo periodo efficiente?!!

  4. Fulvio Corno

    Concordo che Open Data ed Open Service siano necessari. Non vedo però perché dati e servizi debbano necessariamente essere gratuiti: i privati (ma anche il pubblico) potrebbero costruire dei modelli di business basati proprio sull’accesso (magari differenziato in funzione del costo) ai propri dati. Esiste già questo modello, applicato ad esempio in cartografia, nelle quotazioni di borsa, … Tendo ad essere scettico anche nella standardizzazione “dall’alto” (guidata dall’attore pubblico). Troppo spesso questo processo genera standard troppo complessi ed in tempi troppo lunghi. Gli standard ci sono già (linked data e web services), occorre fornire gli incentivi affinché i detentori dei dati li rendano disponibili.

    • La redazione

      Infatti non c’è scritto da nessuna parte che debbano essere tutti gratuiti. Open non vuole dire gratuito, vuol dire che la definizione del servizio è open. Così come open source non vuol dire gratuito, ma che il codice sorgente è libero (nel senso di “free speech”, come direbbe Stallman). Linked data e web services sono termini generici e al più scelte tecnologiche di massima. Se vogliamo scambiare dati e servizi in modo diffuso bisogna consolidare scelte tecnologiche precise e glossari condivisi per i diversi settori applicativi. Dal basso possono nascere proposte, ma alla fine qualcuno deve scegliere e, appunto, standardizzare. Non è detto sia sempre e solo un soggetto pubblico, peraltro. In Europa le aziende che gestiscono le ferrovie stanno standardizzando i glossari per scambiare informazioni sui sistemi di trasporto su ferro, per esempio.
  5. Luigi Calabrone

    Il progetto è fantascienza. La vera priorità dovrebbe essere quella di informatizzare l’amministrazione pubblica – dal Catasto, all’Agenzia delle Entrate, alla Giustizia, ai servizi dei Comuni, alle ASL eccetera. Oggi tutti questi enti hanno sistemi primitivi, sotto utilizzati, non interconnessi. Basterebbe l’esempio, in Lombardia, della Carta Regionale dei Servizi, che non ha mai cominciato a funzionare, come promesso da oltre un quinquennio. Quanto ha speso, finora, la Regione, di fronte ai modesti risultati? Occorrerebbe riorganizzare i servizi, introducendo procedure comuni; probabilmente lavoro impegnativo e malvisto da chi, oggi, fornisce ai singoli enti prestazioni parziali, ma molto redditizie, il cui risultato è pressoché nullo.

    • La redazione

      1- Nell’articolo dico che fare una smartcity vuol dire innanzi tutto definire open services per interconnettere sistemi che peraltro esistono. Quindi non capisco come possa essere fantascienza quello che lei stesso invoca quando parla dei problema della mancata interconnessione.
      2 -Non è assolutamente vero che la CRS in Lombardia non funzioni o sia sotto utilizzata, anzi. La CRS è lo strumento di identificazione di sistemi che sono considerati un caso di riferimento in Europa. È giusto criticare ciò che non va bene, ma non si può sottovalutare quello che funziona.
      3 – Per tradurre quello che dice lei in cose concrete, è necessario esporre servizi riusabili da più sistemi. E quindi torniamo all’argomento dell’articolo. Per cui mi pare non faccia che confermare quello che scrivevo.

  6. Stefano Baldidi cosa significhi

    Credo che quanto descritto dal professor Fuggetta sia la miglior visione di cosa significhi Smart City: infrastruttura tecnica da un lato, servizi informatici e loro collegamento dall’altro. Esperienze nel mondo ce ne sono (Masdar, Abu Dhabi, mi sembra la più significativa): in Europa e soprattutto in Italia sono però pochissime. Per il nostro paese penso a cause riconducibili a ritardi strutturali nella PA, a mancate viste a lungo termine (al di là dei 5 anni elettorali), a carenze tecnologiche: non penso sia semplice colmare il gap, anche parzialmente.

  7. Pietro Pagliardini

    D’accordo su cosa non è una smart city, ma una città che prescinda dall’hardware, cioè dalla città fisica, dall’urbanistica, non può essere smart. Mi sembra che lei si soffermi solo sul software urbano, ma il software cambia, la città, l’hardware resta. Oggi nelle nostre città è questa parte solida che non funziona. Oggi è smart una città più densa quindi più pedonale, con un grande mix funzionale, una città la cui rete principale è quella costituita da strade molto più simili a quelle tradizionale dei centri storici. Non che ciò che lei propone non sia da fare, da qualche parte bisogna pur cominciare, ma ripensare la città fisica è davvero una priorità nazionale, anche alla luce dei costi dell’energia: più densità, meno centri commerciali, più attività diffuse, meno dispersione sul territorio, più vita urbana, più pedonalità naturale e non imposta per decreto, meno consumi energetici, meno inquinamento. Ci aggiunga quello che dice lei ed ecco una smart city

    • La redazione

      Indubbiamente, il mondo dei bit non può sostituire il mondo fisico e alla fine a noi tutti interessa migliorare il mondo fisico, altrimenti vivremmo in Matrix. Peraltro, quando si parla di smartcity di solito si intende discutere il tema della città che sfrutta al meglio il mondo dei bit per favorire e sostenere il miglioramento del mondo fisico.  In un articolo non si può che affrontare un singolo tema. In questo articolo discuto del tema di cosa voglia dire sviluppare una smartcity dal punto di vista del mondo dei bit. Certamente, è poi necessario affrontare anche tutti gli altri temi e aspetti.

  8. enzo ciminari

    Mi riferisco all’importo del “finanziamento previsto dal governo di circa un miliardo”. Sono molto interessato a conoscere quello che per il governo è l’obiettivo da conseguire per il progetto (si tratta di finalizzare alcuni progetti di “smart cities” per varie tipologie associabili a città italiane e, se si, qual’è il numero di progetti che tentativamente si pensa di realizzare con un milairdo di euro ? oppure, si tratta di realizzare progetti direttamente applicabili ad alcune reali città italiane ? Oppure, lo scope è ancora diverso ?) Come si possono avere maggiori informazioni su quanto ho sopra citato ? Grazie

  9. Salvatore Caschetto

    Io credo che Smart City sia una strategia necessaria guidata da una pianificazione integrata. tutte le città sono Smart, per ovvie ragioni, quindi forse, il fine ultimo del concetto Smart city risiede nell’opportunità di ri-pensare la città contemporanea di guardare a quali risorse dispone per fare in modo che sia sempre meno Stupid e sempre più Smart, o pensata, come afferma il dottor Enrico Poli.

  10. n

    salve, per ricordare che i sistemi wireless sono ufficialmente riconosciti come possibili cancerogeni. il consiglio d’europa con risoluzione 1815 del 27 maggio 2011 raccomanda tante cose al riguardo, tra cui abbassare i limiti, evitare l’esposizione ai bambini. E’ il caso di riempire città di campi elettromagnetici che, invisibili, inodori e complice la poca conoscenza della gente, fanno certamente danno al nostro organismo e che per quantificare meglio il danno dovrebbero essere fatti ulteriori studi (preferibilmente da parte della scienza indipendente)? cerchiamo in rete finchè i siti non saranno bloccati. purtroppo si parla ancora oggi di wireless senza citare i rischi, anche gravissimi sulla nostra salute e soprattutto su quella dei nostri figli. saluti e grazie della vostra voce

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