La linea tedesca continua a dominare in Europa: ognuno faccia i compiti a casa e rispetti i vincoli di finanza pubblica. Anche Renzi si sta adeguando, al di là degli annunci. Nessuna iniziativa sul coordinamento delle politiche fiscali, e tantomeno sulla governance europea
IL VINCOLO DEL 3 PER CENTO NON CAMBIA
Sul fronte europeo, l’azione del Governo Renzi è apparsa finora piuttosto debole. Al di là degli annunci di “cambiare verso” e di “mettere la crescita al centro dell’agenda”, non sembra che ci siano stati veri cambiamenti rispetto al passato. Sembra anzi che l’imperativo di “fare i compiti a casa e rispettare i paletti fissati dal Fiscal Compact” domini ancora il rapporto tra Italia ed Europa.
Il vertice del Consiglio Europeo del 26/27 giugno si è tradotto nella riaffermazione della necessità del consolidamento fiscale (seppure “growth friendly”) e delle riforme strutturali. Quanto alla tanto agognata flessibilità, ci è stato semplicemente concesso di fare il migliore uso di quella già prevista dalle regole del Patto di stabilità e crescita: grazie, ma occorreva dirlo? Nessuna concessione sul fronte degli investimenti pubblici: sulla golden rule (scomputo di alcuni investimenti dal calcolo del deficit) la Germania non ha fatto sconti a Renzi, come non ne aveva fatti a Monti e a Letta.
Dopo quel vertice, il Governo italiano ha più volte affermato la ferma volontà di rispettare ad ogni costo il vincolo del 3 per cento relativo al rapporto deficit/Pil. A fronte di una congiuntura peggiore del previsto, e delle note difficoltà a tagliare davvero la spesa pubblica, l’ostinazione nel rispettare questo vincolo potrebbe costarci un nuovo inasprimento delle imposte (magari mascherato sotto qualche “clausola di salvaguardia”). Si continua così a perseguire la tristemente nota linea tedesca della “austerità”, che non ha dato buoni risultati nel tenere sotto controllo il rapporto debito/Pil (si veda l’articolo di Boitani e Landi). Almeno Monti poteva dire che questa linea era imposta da uno spread alle stelle, che segnalava il pericolo di un default dell’Italia. Ora questo non è più vero: i mercati stanno dando una apertura di credito all’Italia, che potrebbe essere meglio utilizzata. Ci vorrebbe il coraggio di dire che il vincolo del 3 per cento può essere superato e che l’Italia non teme la procedura per deficit eccessivo, purché si prendano davvero (in Italia e in Europa) le iniziative per rilanciare la crescita. Altri paesi (ad esempio Francia e Spagna) hanno ripetutamente rinviato il raggiungimento del fatidico 3 per cento. Il rilancio della crescita, peraltro, non dipende solo dalle riforme strutturali ma anche dalla politica della domanda. Questa, a sua volta, non può essere affidata solo alla politica monetaria, ma deve coinvolgere anche quella fiscale, come ha ricordato Mario Draghi nel suo discorso a Jackson Hole. Nella trattativa con gli altri governi europei, Renzi dovrebbe mettere sul piatto una politica fiscale più espansiva da parte di quei paesi che possono permetterselo, a cominciare dalla Germania.
GIOCHIAMO IN DIFESA. MOGHERINI A PARTE
Sul fronte della governance europea, non ci risulta che il Governo Renzi abbia finora preso alcuna iniziativa di rilievo. Eppure questo è il vero banco di prova per garantire la sopravvivenza della moneta unica. Il potenziamento del budget federale, il rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo, la maggiore legittimazione democratica della Commissione UE, la semplificazione delle regole e delle istituzioni europee: sono tutti temi sui quali vorremmo sentire la voce del Governo italiano.
In conclusione, sembra che Renzi stia giocando sulla difensiva in Europa, contraddicendo il motto calcistico secondo cui “la migliore difesa è l’attacco”. In questo senso, il fatto che il ministro dell’Economia sia un grigio difensore dell’ortodossia (Padoan) non lo aiuta. Con un pizzico di cattiveria, potremmo dire che l’unico fronte sul quale Renzi è andato all’attacco in Europa è quello delle nomine, sostenendo a oltranza la candidatura della Mogherini ad alto rappresentante della Ue per la politica estera.
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Stefano Piziali
Vi è sfuggita nella scheda la riforma del Terzo settore: promessa in campagna elettorale, previste le linee guida per giugno, sono arrivate a fine luglio. Comunque avviata.
Stefano
Concordo. L’unica nostra speranza viene dai nuovi metodi di calcolo del Pil, che includendo la prostituzione ed i traffici illeciti, ci permetteranno di possa recuperare uno 0,2 /0,3% di Pil. Risorse che andranno gettate nella fornace della misura “spot” degli 80 euro (che la maggior parte delle famiglie usano per ricostituire i risparmi depauperati degli anni di crisi o al massimo per acquistare prodotti non italiani), invece che fare una seria riforma dell’IRPEF. Tra l’altro una parte della copertura andrà trovata dal taglio delle tax expenditures, cioè quelle misure fiscali che, come mostrano gli studi ISTAT e CORTE dei CONTI, vanno in larga parte a favore dei redditi medio bassi (detrazioni per spese mediche, interessi passivi, carichi di famiglia, ecc.), con l’effetto di recuperare in larga parte quelle 80 euro. Il problema è la domanda troppo bassa e le soluzioni proposte sono tagli ai salari ed una riforma del lavoro più aggressiva per aumentare il precariato.. Si sperava che i risultati degli euroscettici alle recenti elezioni europee portassero un cambiamento delle politiche delle austerity, ma a quanto pare ci illudevamo. Non ci resta che sperare nel trionfo dei gruppi di destra nel Regno Unito e in Francia per avere cambiamenti.. Dopo tutto nei dossier delle grandi banche d’affari mondiali ci si lamentava della “troppa democrazia” in Europa.. La Repubblica di Weimar non ha insegnato nulla..Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo”
Giovanni Teofilatto
Le potenziali dell’economia partecipativa sono funzionali ad un maggiore potere di acquisto dei lavoratori. In altre parole un’economia di crescita necessità una maggiore interazione dello Stato nell’economia di mercato attraverso i diritti sociali che son acquisiti.
Mario Rossi
Egregi economisti e scienziati, vi parla un povero ignorante e vi dice che non occorre un corso di studi per capire che i vincoli che ci vengono imposti servono per frenare la continua pappatoria di soldi di uno stato che ogni giorno spende più di quello che incassa. Non possiamo confrontarci con gente che produce in un anno più di quello che ha di debito rispetto a noi che invece facciamo l’esatto contrario. Noi non siamo nella fase di fare investimenti ma siamo ancora nella fase di mettere la testa a posto e centrare la spesa con la capacità di produrre e fatturare. Fino a quando non avremo eliminato almeno 200 mld di spesa pubblica all’anno non potremo investire neanche 1 cent perchè non abbiamo le basi per poterlo fare. Se una famiglia ha 100 di entrate e 130 di uscite quella famiglia non può pensare di prendere un mutuo per comprarsi una macchina di lusso perchè farà solo crescere il suo debito che peraltro non riuscirà mai a pagare. Vallo a trovare uno che gli presta i soldi!
Guest.1
eufemismo…
Paese inguardabile. Vecchio, stanco, in moto inerziale dal rinascimento..
good luck
Mario Rossi
Hai proprio centrato il tema! dal rinascimento non è cambiato nulla sono sempre i soliti a tenere in mano il potere e il denaro, sempre i soliti a spartirsi una torta che però sta diventando sempre più piccola. Bisogna spiegare a questi signori che le colonne d’Ercole sono crollate nel 1492 e il mondo adesso è ben più grande di quello che conosciamo, quindi tra poco non saranno gli africani ad essere extracomunitari ma noi italiani ad essere extramondo!
Alberto Chilosi
Un deficit del 3%, per non dire un deficit superiore, implica nelle attuali circostanze un ulteriore aumento del peso del debito. Attualmente i tassi di interesse sono bassi, ma non è detto che questo duri, soprattutto al momento in cui i mercati si renderanno conto che si continua a giocare alla Ponzi. E credo che sia ormai chiaro che la BCE no ha alcuna intenzione di monetizzare il debito a piè di lista, come faceva la Banca d’ Italia prima del famoso divorzio del 1981. Il rischio è forte che quando l’ apertura di credito che ci fanno i mercati sarà esaurita ci si trovi a dover praticare in circostanze drammatiche una vera austerità con conseguenze allora sì disastrose.
Piero
Il problema non è sforare il 3%, basta con la politica di deficit spending, dobbiamo agire con la politica monetaria! Draghi nell’ultimo anno ha drenato liquidità per 1000 mld, sta facendo il contrario di ciò che occorre alle imprese, sembra che in Europa si stia facendo una guerra, utilizzando la valuta come arma, sembra che la Germania abbia vinto questa guerra, ora a Renzi la mossa ( pure lui ha richiamato Padoan che si era permesso di dire a Draghi, di aumentare l’inflazione fino al 2%).
Quale sarà domani il compenso di Draghi per avere fatto vincere la Germania? Quale sarà il compenso di Renzi?
Solo la Spagna appoggia la strategia della Merkel, però ricordo a tutti che la Spagna e’ stata convinta con i 50 mld di liquidità ricevuti nel 2013, certo che se a noi vengono dati 100 mld ( abbiamo il Pil doppio della Spagna), le nostre imprese ripartirebbero alla grande.
Il problema e solo monetario, basta con il deficit spending.
Piero
’unica arma che può funzionare in Europa e si può quindi veramente chiamare “bazooka”, e’ lo strumento che può curare la causa della crisi, siamo partiti dalla crisi del debito pubblico, si deve quindi dare un forte segno nella garanzia del debito pubblico dei paesi euro, il debito pubblico verrà pagato e non sarà mai più quindi oggetto di speculazione, la Bce deve annunciare un
programma di acquisto di titoli pubblici dei paesi euro sul mercato secondario di oltre 4000 miliardi da effettuare in un periodo che può andare dai sette anni ai dieci anni, l’acquisto per non violare il trattato deve avvenire proquota del pil degli stati (o della quota di partecipazione alla Bce), il primo effetto sarà una diminuzione del costo del debito per tutti gli stati, un’aumento della liquidità per il sistema bancario, un aumento del patrimonio delle banche, un’aumento del credito per le imprese e una svalutazione del cambio sul dollaro, sono misure che possono essere ampiamente prese immediatamente, non avranno effetti inflazionistici superiori alla soglia della Bce, stiamo già avvicinandoci alla deflazione. La Merkel si oppone a questa misura perché teme l’esproprio dei risparmiatori tedeschi, non vuole abbandonare la politica dei compiti a casa propria, teme che vi sia un allentamento della moral suasion, dimentica la Merkel che oramai con il fiscal compact vi è l’obbligo del pareggio del bilancio e del rientro del debito in 20 anni nel limite del 60%, continuare quindi con una politica monetaria restrittiva non ha più senso, le misure annunciate il 5/6, non hanno effetto immediato sull’economia ad eccezione della sospensione della sterilizzazione degli Smp di Trichet, anche il Fondo Monetario ha invitato Draghi verso l’acquisto dei titoli pubblici dei paesi euro.
Questo è il vero bazooka, naturale che questo QE non è la soluzione di lungo periodo, se l’Europa non si avvia verso l’integrazione fiscale, la moneta unica non potrà essere adottata da tutti i paesi membri; nell’adozione della moneta unica non sono stati previsti gli squilibri delle bilance dei pagamenti, anzi non se ne tenne conto, perché si affermò che si sarebbero riequilibrati da soli considerando il mercato unico, ciò lo sappiamo tutti, non lo è e non lo sarà mai, non vi sarà mai una mobilità dei lavoratori come quella che vi è all’interno del singolo paese, l’unione europea non prevede l’integrazione fiscale, non vi è la possibilità di effettuare trasferimenti verso le economie in difficoltà, nessuno stato farà mai sacrifici volontari per un’altro stato, basta vedere la Germania, ha avuto con l’euro il surplus della bilancia dei pagamenti nei rapporti tra paesi euro, si tiene ben stretto tale vantaggio e la Merkel se si attua una politica monetaria espansiva denuncia un esproprio per i risparmiatori tedeschi.
Da diffidare anche della recente apertura della Merkel, il nodo da sciogliere resta sempre la Bce, di ciò non se ne parla, quindi avremo dalla Merkel uno “zuccherino” che Renzi enfatizzerà in Italia, ma il vero problema non sarà risolto, la disoccupazione resterà alta in Italia, la tassazione non scenderà, il Pil sarà sempre negativo.
Confucius
Come ha detto Mario Draghi: “Non mi preoccupo dei risultati delle elezioni, tanto c’è il pilota automatico!”. A riprova: quando il ministro dell’economia del governo francese (a parole alleato di Renzi nel richiedere più flessibilità e maggiore attenzione alla crescita, anche a costo di sforare i parametri) ha osato dare pubblicamente ragione a quanto Renzi sostiene, è stato cacciato ed il governo è stato rifatto, mettendo al suo posto un banchiere (ricordate quanto successo in Slovacchia quando il parlamento ha osato votare contro il Fiscal Compact? Caduta del governo e nuovo governo in giornata, con votazione di fiducia da parte dello stesso parlamento). Quanto alla Germania ed alla sua fissazione con il rispetto dei parametri economici, finirà per diventare per la Russia quello che la DDR era per l’Unione Sovietica, la punta di diamante tecnologica.
Maurizio Cocucci
La cosiddetta linea tedesca, che poi tanto tedesca non è e mi sembra più una semplificazione giornalistica che una considerazione da economisti, ha come elemento fondamentale l’equilibrio di bilancio soprattutto per quanto concerne il rapporto deficit/Pil, che deve essere contenuto entro valori proporzionati alla crescita del Pil nominale di lungo periodo al fine di mantenere costante il rapporto debito/Pil. Questo non significa che gli attuali parametri non si possano mettere in discussione visto che sono stati fissati in un contesto ben diverso da quello odierno. Ad esempio ritengo che il rapporto debito/Pil entro il 60% sia eccessivo, si potrebbe portare al 80% mantenendo comunque il deficit al 3% sul Pil. In questo modo la crescita nominale al fine di mantenere costante il debito in termini percentuali sulla ricchezza prodotta è conseguibile nelle condizioni attuali, ovvero è sufficiente un +3,9% annuo contro il +5,2% necessario per mantenere il debito al 60% del Pil. Ipotizzando un tasso di inflazione variabile tra 1,5 e 2% significa una crescita reale del Pil tra 1,9 e il 2,4%, valori da realizzare se si vogliono creare posti di lavoro e avere una crescita sostenibile. Scostamenti del deficit dovrebbero essere temporanei e comunque accompagnati da politiche tese a riportare in equilibrio il bilancio strutturale, possibilmente orientate alla riduzione della spesa più che all’aumento delle entrate fiscali. E’ poi quello che stanno facendo Stati Uniti e Gran Bretagna.
Roberto
Interessante articolo, che rafforza le mie preoccupazioni circa la tenuta della concordia europea nel medio periodo. Non posso credere, a questo punto, che gli economisti e i tecnici in Germania non siano in grado di giudicare in modo obiettivo il fallimento della strategia “auserità a tutti i costi”. Tecnicamente sono bravi quanto gli altri e non gli mancano gli strumenti di conoscenza. Stento anche a credere che la difesa tedesca di questo stallo sia legata a reminiscenze del trauma dell’iperinflazione degli anni trenta (è una bubbola!). A questo punto rimane un’unica strada che possa spiegare il perchè: domandarsi “cui prodest” tutto ciò. Chi raccoglie i vantaggi, a scapito della costruzione europea? Che tipo di articolazione geopolitica continentale si va delineando?