Nel 2014 le emissioni mondiali di anidride carbonica non sono aumentate. È una buona notizia. Ma la riduzione va analizzata bene, per capire se si tratta di una promettente modifica strutturale o di una semplice variazione congiunturale. Le prospettive per il summit di Parigi.
UNA BUONA NOTIZIA
La notizia ha già fatto il giro del mondo. Le emissioni di CO2 – il più importante dei gas a effetto serra – sono rimaste stabili nel 2014 rispetto all’anno precedente. È un risultato importante che da più parti è stato salutato come l’inizio di quel processo di decoupling, (disaccoppiamento) che consentirebbe la crescita del prodotto interno lordo senza portare con sé un aumento delle emissioni. In realtà, la crescita delle emissioni a livello mondiale ha già frenato nei primi anni Ottanta, e poi ancora nel 1992 e nel 2009: tutti periodi di crisi economica. La novità è che nel 2014 il prodotto interno lordo mondiale, stando alle stime del Fmi, è cresciuto del 3,3 per cento, così come accaduto nel 2013, ma le emissioni sono rimaste invariate.
Tuttavia, pochi analisti si sono soffermati a riflettere meglio su quali fattori possono avere determinato il risultato e se sono destinati a permanere o a restare storia di un anno. Per farlo, bisogna considerare con attenzione l’andamento di alcuni indicatori – il reddito pro-capite o l’efficienza energetica, per citare i più importanti.
I FATTORI DEL RISULTATO
L’identità di Kaya è una semplice relazione che combina i diversi fattori che determinano il livello delle emissioni di anidride carbonica. Mostra come il livello totale di emissioni può essere espresso tramite il prodotto di quattro termini:
- emissioni di carbonio per unità di energia consumata
- energia consumata per unità di Pil
- Pil pro capite
- popolazione
È peraltro possibile esprimere le variabili in termini di variazioni percentuali, nel qual caso il prodotto diventa una somma algebrica di tassi di crescita (o decrescita).
Il grafico sotto riporta la scomposizione delle emissioni di anidride carbonica a livello mondiale nel periodo 2004-2014. Va detto che i dati 2003–2013 sono di provenienza Oecd, mentre per il 2014 sono state utilizzate fonti diverse: Fmi per il reddito, Nazioni Unite per la popolazione, Oecd e altre per energia ed emissioni. Anzitutto, la linea continua rappresenta il tasso di crescita delle emissioni di anidride carbonica, pari a +4,5 per cento tra il 2003 e il 2014 e – appunto – pari a zero nel 2014.
A mo’ d’esempio, poi, guardiamo il primo e l’ultimo istogramma, i cui valori sono riportati in tabella 1. Nel 2004 l’incremento delle emissioni del 4,5 per cento può essere rappresentato come la somma di quattro diverse dinamiche: l’incremento della popolazione (1,2 per cento), l’incremento dell’efficienza energetica (ovvero il rapporto energia/Pil: -0,7per cento ), l’effetto ricchezza (ovvero la crescita del Pil pro capite: 4,1 per cento). È necessario infine tener conto della carbonizzazione dell’offerta/domanda di energia, ovvero del rapporto tra emissioni prodotte ed energia utilizzata. Si tratta di un rapporto che coglie l’intensità “carbonica” dell’economia, ovvero la quota di fonti fossili rispetto al totale dell’offerta di energia. Tra il 2003 ed il 2004, questo valore si è ridotto dello 0,1 per cento. Significa che l’offerta complessiva di energia è diventata meno intensiva di carbonio. Questo accade quando si sostituiscono fonti rinnovabili a fonti fossili o, nell’ambito di queste ultime, quando si incrementa, per esempio, la quota di gas naturale – la meno intensiva di carbonio per unità di energia tra le fonti fossili – rispetto al carbone.
Ognuno di questi istogrammi racconta un pezzo della cronaca economica degli ultimi anni. Gli strumenti in mano alla politica economica per ridurre le emissioni sono sostanzialmente due (riportati in tabella 2): l’incremento dell’efficienza energetica (meno energia per unità di Pil), ovvero la riduzione dell’intensità carbonica (meno carbonio per unità di energia), non risultando politicamente perseguibili la riduzione della popolazione o la riduzione del reddito pro-capite.
Risulta chiaro in questo contesto come la riduzione di emissioni tra il 2007-2008 e poi 2008-2009 segua dinamiche totalmente differenti.
Nel primo caso, il tasso di crescita delle emissioni si riduce passando da 3,3 per cento a 1,7 per cento. Nell’anno successivo il tasso di crescita delle emissioni diventa addirittura negativo (-1,7 per cento) ma tutte le componenti (meno la popolazione che continua a crescere) hanno segno negativo. Siamo in un periodo di crisi economica mondiale, e questo si riflette sull’andamento delle emissioni, ma non in maniera virtuosa. Non può essere salutato come una buona notizia il fatto che il tasso di crescita delle emissioni diminuisca in presenza dalla riduzione del reddito (pro capite).
Se invece osserviamo il 2013 e 2014 vediamo che la dinamica delle emissioni è largamente dominata dall’andamento del rapporto “carbonizzazione energia”, ovvero emissioni/energia. L’effetto ricchezza e l’andamento della popolazione nei due periodi sono molto simili, mentre differiscono l’aumento dell’efficienza energetica, ma soprattutto il rapporto che esprime la relazione carbonio per unità di energia consumata. Si tratta della riduzione più ampia mai sperimentata negli ultimi dieci anni, di tre volte superiore alla seconda realizzata in un periodo di crisi economica (-0,8 per cento nel 2008).
COSA FANNO USA E CINA
Che cosa ha causato questa riduzione che, a sua volta, è responsabile del raggiungimento del target di zero crescita delle emissioni nel corso del 2014?
Due i principali indiziati: gli Stati Uniti, che tra il 2014 e il 2013 hanno “decarbonizzato” all’1,8 per cento, ma soprattutto la Cina, che ha portato il rapporto a un -3,4 per cento riducendo – a parità di domanda di energia – il consumo di carbone. La riduzione potrebbe essere nell’ordine del 3,5per cento, mentre la produzione interna è diminuita del 2,5 per cento per la prima volta in un decennio.
Va ricordato che la Cina consuma la metà del carbone mondiale e gioca dunque un ruolo fondamentale nella politica ambientale globale. Vi sono diverse ragioni che possono spiegare quanto accade e sarebbe necessario capire anche se si tratta di motivi strutturali o transitori. Tra i dati strutturali è necessario ricordare l’enorme crescita delle fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica e una serie di politiche tese a minimizzare l’inquinamento locale che, per alcune aree, è davvero arduo.
Infine – ma questo invece potrebbe essere transitorio – una certa riduzione della crescita della produzione per materie prime come cemento o acciaio, che non possono che riflettere i diversi annunci del governo relativi a una crescita più moderata del Pil.
L’accordo tra Cina e Ustati Uniti del novembre scorso con l’impegno reciproco sulle emissioni – picco nel 2030 per il primo paese e riduzione del 25-28 per cento al 2025 (rispetto al 2005) per il secondo – potrebbe non solo favorire un nuovo accordo globale sul clima a Parigi a fine anno, ma potrebbe anche indicare come non transitorie o fatue le favorevoli dinamiche degli indicatori qui analizzati.
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