Approvati i decreti attuativi che garantiscono più certezze nei rapporti tra fisco e imprese. Migliora l’accesso al ruling internazionale. Ma la vera novità è la possibilità di accordi preventivi sui nuovi investimenti. Creazione e salvaguardia di posti di lavoro sono messe sullo stesso piano.
Certezze sulle transazioni infragruppo
Fra le novità contenute nei decreti attuativi della delega fiscale approvati nel Consiglio dei ministri del 22 aprile (e da sottoporre al parere delle apposite commissioni parlamentari) spiccano le norme volte a garantire maggiori certezze nei rapporti fra contribuente-impresa e fisco. E questo su due fronti: quello dei rapporti internazionali e quello dei nuovi investimenti.
In primo luogo, viene migliorato il già esistente accesso al cosiddetto ruling internazionale. Consiste nella possibilità di definire i valori delle transazioni infragruppo (fra impresa italiana e sorella, controllata o controllante estera) ed evitare le incertezze che inevitabilmente emergono quando si tratta di accertarne il valore di mercato.
Il problema principale in queste situazioni sta proprio nell’individuare qual è questo sulfureo “valore di mercato” quando non esistono affidabili elementi di paragone (la cosiddetta “transazione comparabile”). Se la filiale italiana di una impresa americana che fa servizi di manutenzione a impianti petroliferi interviene in situazioni di emergenza, qual è il valore del suo intervento? Come si computa il valore del know how messo in campo e la giusta remunerazione di un intervento che può essere non ripetitivo, ma decisivo in quella determinata situazione? Come si computa il valore dei servizi centralizzati di formazione e aggiornamento messi in campo dalla capogruppo di una multinazionale? Qual è il prezzo giusto delle funzioni – come l’esame e l’acquisto di nuove tecnologie – attribuite a una unità centrale da parte di tutti gli appartenenti al gruppo? È evidente che si possono avere opinioni assai diverse sui metodi di calcolo di questi valori e che trasformarli in certezze nel rapporto bilaterale fisco-impresa può risultare particolarmente utile.
Sennonché, sulla base dell’attuale normativa, questi accordi restano validi solo fra contribuente e fisco italiano. Non esplicano alcun effetto sul fisco del paese con cui opera l’impresa estera pur appartenente allo stesso gruppo. Occorre, quindi, trovare una qualche corrispondenza fra le conclusioni del fisco italiano e quelle del corrispondente paese estero. La prassi, del resto, è assai diffusa nei paesi omogenei con il nostro, dove sono ricorrenti i cosiddetti Apa (Advanced Price Agreements). Il nuovo ruling internazionale viene così reso coerente con tale realtà e consente di coordinare gli accordi solo italiani con quelli raggiunti presso altri paesi. Vi sono, qua e là, sbavature tecniche: ma l’intervento delle commissioni parlamentari potrà porvi rimedio.
La medesima metodologia (individuazione in contraddittorio del valore normale) viene utilizzata per individuare i valori rilevanti di uscita (o di ingresso) nell’ipotesi di applicazione della cosiddetta exit tax (vedi Fiat e Ferrari per i trasferimenti all’estero; vedi Prada e altri marchi della moda per i rientri in patria).
Il ruling internazionale consentirà, poi, di definire se determinate attività svolte in Italia da soggetti esteri fanno emergere o meno loro stabili organizzazioni in territorio italiano (con conseguente assoggettamento a tassazione in Italia). Google ci penserà?
Il ruling sui nuovi investimenti
La novità assoluta sta, invece, nel ruling sui nuovi investimenti. “Risponde alla finalità di dare certezza al contribuente in merito ai profili fiscali del piano di investimento che intende attuare” (così la relazione di accompagnamento).
In sostanza, coloro che – italiani o esteri –intendono effettuare nuovi investimenti (i) di ammontare superiore a 30 milioni di euro e che (ii) abbiano significative ricadute occupazionali, possono definire col fisco quale regime si applica all’operazione prospettata. Quest’ultima deve essere illustrata in un apposito business plan e indicare la tempistica dell’investimento (che può articolarsi anche in più anni, ferma restando la relativa dimensione minima). Per quanto attiene agli effetti occupazionali, la relazione ministeriale include espressamente anche le ristrutturazioni di imprese in crisi e gli effetti positivi sull’occupazione che ne potrebbero derivare, mettendo sostanzialmente sullo stesso piano la creazione di nuovi posti di lavoro e la salvaguardia di quelli già esistenti.
Anche questo intervento è particolarmente utile e sentito nell’attuale contesto perché i nuovi investimenti richiedono spesso la formazione di veicoli societari ad hoc (mediante scissioni, conferimenti o fusioni) tendenti, da un lato, a minimizzare i rischi dell’investimento (tanto più avvertiti in situazioni di crisi); dall’altro a minimizzare anche il carico fiscale, obiettivo in sé non disprezzabile se è solo elemento collaterale e non il motivo unico dell’investimento.
Va sottolineato che il ruling si limita a dare certezze e non a definire basi imponibili ridotte e che, quindi, non vi è motivo di temere reazioni di fonte comunitaria visto che non vi è alcun aiuto di Stato alle viste (ma solo uno Stato che assolve un po’ meglio alle sue funzioni).

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