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Il peccato originale della nuova “riforma epocale” della Pa

Della legge delega di riforma della pubblica amministrazione non appare chiara la direzione. Si vuole ampliare o ridurre l’intervento dello Stato? Si vuole un apparato amministrativo tecnicamente autonomo o strettamente legato alla politica?
Ancora una riforma della pubblica amministrazione
La legge delega Madia per riformare la pubblica amministrazione viene da molti definita come una “riforma epocale” dell’apparato amministrativo. Sarebbe, in effetti, l’ennesima delle riforme “epocali” che si inseguono da circa venti anni, ripetendo sempre gli stessi temi: spinta verso la digitalizzazione, maggiore trasparenza, rafforzamento della “conferenza dei servizi” come strumento di raccordo dell’azione di più amministrazioni, accorpamento degli uffici, licenziabilità della dirigenza pubblica, strumenti di valutazione del personale, razionalizzazione delle società partecipate. E, ovviamente, risparmi.
La ricorrenza dei temi e la ridondanza delle leggi (sempre “epocali”) che li trattano da anni non fanno sperare troppo nella efficacia e definitività della riforma Madia, anche se ovviamente c’è da augurarsi che riesca nell’intento, mentre la gran parte dei contenuti di dettaglio può essere valutata solo successivamente all’emanazione delle circa quindici deleghe legislative previste. Su alcuni grandi ambiti è tuttavia possibile provare a valutarne già ora gli esiti.
Risparmi
Il governo ripone molta fiducia nella possibilità che la riforma permetta di contenere in maniera rilevante la spesa pubblica. Oggettivamente, l’impianto non appare di per sé in grado di far conseguire evidenti e, soprattutto, immediati risparmi, se non dal tentativo di accorpare le prefetture trasformandole in uffici direzionali del governo dove concentrare tutte le attività degli uffici decentrati, nonché ridurre a metà circa le camere di commercio. Il contenimento della spesa potrebbe derivare dall’attivazione reale della digitalizzazione e dall’estensione di strumenti di netta riduzione degli oneri amministrativi, come il silenzio-assenso o la segnalazione certificata di inizio attività – sistemi che consentono all’iniziativa dei privati la formazione delle autorizzazioni amministrative, riducendo l’attività degli enti a funzioni di indirizzo e controllo. Tuttavia, per valutare realmente quanto queste semplificazioni potranno far contenere la spesa (è del 2005 una riforma alla legge sul procedimento amministrativo che ha gli stessi contenuti), occorrerà certamente un periodo medio-lungo. E bisognerebbe indurre le amministrazioni a pianificare e rendere evidenti i tagli di spesa connessi alla riduzione degli oneri.
Semplificazione
Tuttavia, l’attività della pubblica amministrazione è nella gran parte formata da prestazioni di servizi ad alta intensità di manodopera. Questo fa sì che una parte molto rilevante dei costi sia legata alla spesa per gli stipendi. Non è un caso che da circa quindici anni i blocchi delle assunzioni o alla contrattazione siano stati gli strumenti mediante i quali conseguire risparmi certi e misurabili. Dopo la sentenza della Consulta 178/2015 che ha considerato incostituzionale il congelamento della contrattazione, sarà più difficile incidere sui costi del personale. Né appare facile insistere sul blocco delle assunzioni, che ha cagionato un progressivo invecchiamento della flotta dei dipendenti pubblici. Per la “sburocratizzazione” allora sarebbe decisivo, oltre all’informatizzazione e agli strumenti di deflazione operativa, anche ridurre una volta per tute l’insopportabile carico di norme e regole, che rendono complicatissima la gestione, non solo per i cittadini, ma per lo stesso apparato pubblico. Tuttavia, proprio la legge delega Madia evidenzia il consueto difetto della ridondanza di regole di dettaglio.
Il personale
A partire dal 1993, con la “riforma Cassese”, le modifiche “epocali” all’ordinamento del personale pubblico non si contano. A ben vedere, i criteri di delega rivolti al governo, per quanto riguarda in generale i dipendenti, si scostano ben poco dall’ultima delle riforme epocali, quella voluta dall’ex ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta: la valutazione dei dipendenti, sia pure in chiave di semplificazione, i controlli anti-fannulloni, l’irrigidimento dei procedimenti disciplinari. Per altro, proprio la sentenza della Corte costituzionale 178/2015, nel rilanciare la contrattazione collettiva, rimette in pista le misure della riforma Brunetta per concentrare verso pochi dipendenti gli incentivi per i risultati. Vi è poi un altro leitmotiv: la dirigenza pubblica. La riforma Madia spinge in maniera molto decisa verso l’estensione dello spoils system. Non tanto con l’introduzione della sbandierata “licenziabilità” dei dirigenti pubblici, in realtà sempre esistita. Piuttosto, mediante un altro più potente sistema di condizionamento: la discrezionalità assoluta, tale da non richiedere motivazioni sia nella scelta di chi incaricare, ma soprattutto di chi lasciare senza incarico, a languire nel ruolo unico.

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  1. Paolo

    Quello di spacciare leggine per riforme è uno sport praticato da tutti i governi, in cui quello attuale eccelle a livelli record.
    Stavolta effettivamente la riforma e’ epocale, in quanto rende l’amministrazione totalmente succube alla politica. Il modello nordcoreano di concezione del dirigente (spesso fino ad oggi unica difesa del cittadino, nonostante i casi criminali noti alla cronaca), prono ai voleri dei manovratori salvo rimetterci il posto, non potrà che provocare aumento dei costi, aumento destinato ovviamente a venire sottratto alle procedure di gara per finire nelle tasche degli amici (nello stesso quadro si inserisce la riduzione delle stazioni appaltanti: Gare sempre più grosse, sempre più ostaggio del cartello dei grandi operatori, giacché le gare piccole aggiudicate equamente non generano “riconoscenza”)

    • rosario nicoletti

      Sono completamente d’accordo con Paolo. Poi, non mi è chiaro il motivo per il quale non si possono licenziare i dipendenti pubblici. Si sono persi milioni di posti di lavoro – tutti nel settore privato – e non si capisce che “alleggerendo” il settore pubblico, si potrebbe anche iniziare una razionalizzazione del suo funzionamento. Ma siamo alle solite: basta far finta di riformare.

  2. dario

    Qualunque legge sulla pubblica amministazione fallirà se non si affronta il vero problema, la vera e reale licenziabilità dei numerosissimi fannulloni della pubblica amministrazione. E’ evidente che senza la possibilità reale di licenziare esisteranno sempre mille modi per lavorare poco e male e anche i più onesti tendono ad allinearsi ai pelandroni. Un altro grave problema è la reale impossibilità di licenziare il personale in sovranumero, questo blocca tutte le importanti azioni per finire le emergenze. A volte bisogna assumere molte persone per risolvere emergenze varie, ma non si può perchè finita l’emergenza bisogna tenersi migliaia di persone che non servono più e allora si sceglie di non assumere e quindi di non risolvere mai i problemi.

    • etabeta

      Rispondo a lei nella speranza leggano in molti, anche a costo di essere il bersaglio di alcuni improperi. A mio avviso, licenziare dei dipendenti pubblici significherebbe condannare (a spese della collettività?) una categoria di persone che, purtroppo non avrebbero più alcuna possibilità di inserimento lavorativo: chi vorrebbe mai assumere un “lavativo”? In più aggiungo: con quale criterio dovrebbero essere licenziati? Dovrebbe forse decidere il dirigente (magari più fannullone dell’impiegato/operaio)? E poi: il termine “fannullone” che significa? Ad esempio, un bidello alle scuole che legge un giornale se non ha altri compiti? La centralinista che lavora a maglia tra una telefonata e l’altra? E ancora: c’è chi parla di dare una serie di compiti/mansioni a personale esterno… quest’ultima trovata è la più geniale! Ammesso che la gara/appalto sia regolare (e già qui…) resta il fatto che la persona che svolgerà tale compito TEORICAMENTE dovrebbe costare alla stazione appaltante un prezzo pari alla retribuzione del dipendente, maggiorata di uno spread quale guadagno che l’azienda appaltatrice ottiene. Delle due l’una: o la ditta che fornisce il servizio lavora in perdita o il dipendente è sottopagato…

      • dean

        condivido in pieno.
        E aggiungo; molti dipendenti pubblici sono spesso obbligati da norme medioevali a fare cose inutili, spesso anche in maniera macchinosa. Ebbene una seria riforma della P.A., che non sia cioè un mero spot elettorale (ve lo ricordate quel Ministro che bruciava leggi e decreti ?) non può prescindere da una ricognizione di norme e procedimenti. Altrimenti continueremo ad avere lavoratori pubblici sottoimpiegati (e fatti passare per fannulloni) ed altri stressati (spesso, credetemi, anche peggio che nel settore privato).
        Del resto non è mai l’impiegato a difendere l’utilità del suo ufficio (tanto, se lo spostano, qualcuno lo stipendio glielo paga ugualmente) ma piuttosto il dirigente, che corre il rischio di trovarsi spiazzato, senza potere. Gorbaciov fu silurato dai vertici della burocrazia post-sovietica,

  3. enzo

    Un’osservazione pr quanto riguarda la digitalizzazione : in italia si sta attuando una forzata digitalizzazione del cittadino/utente sul quale vengono scaricate l’obbligo di competenze informatiche, la conoscenza della contorta legislazione, la responsabilità delle operazioni e della dichiarazioni. si tenta cioè di bypassare l’impiegato statale facendo lavorare al suo posto il cittadino. Due esempi: negli usa la s.s. invia ai pensionati un cartoncino dove a caratteri cubitali sono inserite 4 domande a cui rispondere con una croce e poi si reinvia lo stesso documento al mittente. ciò non significa che il sistema americano non sia digitalizzato, significa che non si pretende dal pensionato di far finta di capire la missiva e poi rivolgersi al solito caf o consulente , tutor non tanto del cittadino quanto della pubblica amministrazione. secondo esempio: il 730 il cittadino ha laresponsabilità di conoscere le normative fiscali italiane, si assume la responsabilità di quanto dichiara egli stesso e quanto dichiara l’agenzia delle entrate. In altri termini siamo difronte ad una scorciatoia per evitare di affrontare il problema della legislazione italiana, dell’organizzazione della pubblica amministrazione, della selezione e formazione del personale : tutte cose molto più scomode e difficili da realizzare , molto più semplice scaricare tutto sul cittadino

  4. Piero Borla

    Concordo sulla notazione che questa riforma si distingue dalle precedenti per la sempre maggiore discrezionalità nella selezione dei dirigenti.
    Da qualche parte si fanno studi sull’impatto della legislazione; vorrei leggere qualche lavoro che, in rapporto alle riforme che si sono già succedute nel tempo e con riferimento a casi o categorie concrete, si tirino delle conclusioni :
    – sul conseguimento dei risultati dell’azione amministrativa
    – sull’andamento dei costi ed oneri a carico degli utenti

  5. giancarlo

    1- l’occhiello promette approfondimenti che l’articolo non sviluppa. Peccato!
    2- Da molti anni circola una riforma che, introdotta recentemente dal governo albanese, produce radicali risparmi della spesa pubblica: la soppressione di tutti i Comuni sotto ai 20.000 abitanti. (come 4 caseggiati di una media città…)

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