Nella legge di stabilità, al di là di alcuni stanziamenti minori, non sono previsti interventi mirati allo sviluppo del Mezzogiorno. Eppure negli ultimi anni le storiche differenze con il resto del paese si sono addirittura accentuate. Le possibili misure immediate per migliorare la situazione.
Dal masterplan al silenzio della legge di stabilità
Nella legge di stabilità, al di là di alcuni stanziamenti minori, non sono presenti interventi specificamente mirati allo sviluppo delle regioni del Mezzogiorno. Questo sorprende e preoccupa.
Sorprende perché il 7 agosto il presidente del Consiglio aveva annunciato addirittura un “masterplan” per il Mezzogiorno, da realizzare per metà settembre, e che, era parso di capire nella discussione che ne era seguita, avrebbe dovuto contenere alcuni interventi specifici. Per la verità, il 4 novembre Palazzo Chigi ha diffuso un documento intitolato “Masterplan per il Mezzogiorno – Linee guida”. Ma si riferisce unicamente alla programmazione dei Fondi strutturali e del Fondo sviluppo e coesione 2014-20, cioè a politiche, con la relativa provvista finanziaria, che dovrebbero essere già da tempo in attuazione. I Fondi strutturali sono organizzati in programmi che le regioni e lo stesso esecutivo Renzi, nel corso del 2014, hanno già provveduto a inviare a Bruxelles. Il Fondo sviluppo e coesione, per ora, non risulta neanche programmato, se non in minima parte. Se con questo documento, e con ciò che seguirà (sono annunciati quindici “patti” con regioni e città del Sud), si determinerà un migliore utilizzo delle risorse, bene. Si realizzerà quanto da tempo ci si è impegnati a fare. Si tratta di cifre significative, ma che vanno commisurate alle grandezze d’insieme: stando ai dati dei conti pubblici territoriali (2013, ultimo anno disponibile), la spesa di Fondi strutturali e Fondo sviluppo e coesione è pari a 6,6 miliardi: rappresentano poco meno della metà della spesa totale in conto capitale, solo l’1,3 per cento della spesa pubblica totale al Sud. Importanti, ma certo non decisivi.
Nord-Sud sempre più distanti
La mancanza di interventi per il Sud nella legge di stabilità, tuttavia, preoccupa, dato che a partire dal 2009 tutti i dati economici del Mezzogiorno sono pessimi e sono peggiorati molto più della media nazionale. Anche durante la timida ripresa (2015 e previsioni per il 2016-17), il miglioramento del Sud è, e probabilmente continuerà a essere, assai inferiore. Non si tratta della storica differenza nei livelli; né della crescita assai stentata sperimentata da tutte le regioni italiane nel nuovo secolo. Il Pil del Mezzogiorno è caduto di circa 13 punti; con uno scarto nelle dinamiche rispetto al Centro-Nord probabilmente mai verificatosi, con questa intensità e durata, nel dopoguerra.
Le spiegazioni più probabili delle diverse dinamiche sono due: da un lato, il crollo prolungato (o comunque la debolezza) della domanda interna in presenza di un’apertura verso l’estero assai inferiore al Sud. Dall’altro, alcuni mutamenti, significativi e asimmetrici da un punto di vista territoriale, nell’intervento pubblico (descritti in maggiore dettaglio altrove): aumento della pressione fiscale locale, crollo degli investimenti pubblici, tagli di spesa corrente assai più intensi al Sud. Entrambe queste condizioni potrebbero permanere a lungo e perpetuare le due diverse velocità, rendendo il recupero del Sud nel 2016-17 assai modesto.
Certamente, queste vicende richiedono una riflessione attenta sui mutamenti strutturali necessari (e sulle relative politiche) per far riprendere vigore all’economia meridionale, con un passo che dovrebbe essere più rapido, e non più lento, di quello medio nazionale. Ma in questo momento potrebbero suggerire di accentuare nel Mezzogiorno alcuni degli interventi di impatto più immediato previsti nella legge di stabilità. Invece di immaginare improbabili emendamenti, ci si può collocare nel solco segnato dal governo: potrebbe trattarsi di una proroga della decontribuzione, nel Sud, con la stessa intensità che si è avuta nel 2015 (anno in cui tutte le relative risorse sono state tratte da stanziamenti prima destinati al solo Mezzogiorno); di una misura aggiuntiva di incentivazione degli investimenti fissi; di una estensione, sempre al Sud, della platea dei beneficiari degli interventi contro la povertà. Ciò non muterebbe i connotati di fondo della situazione: nulla toglierebbe alla necessità di ripensare a fondo come l’intero paese, e in particolare le sue regioni più deboli, possano svilupparsi nel medio e lungo termine.
Ma potrebbe agevolare un miglioramento dell’economia nei prossimi mesi. Il rischio è che con altre misure previste sempre nella legge di stabilità (ad esempio gli interventi sulla sanità) si finisca come negli ultimi anni col renderla più stentata. In tema di Mezzogiorno, pensare a un futuro anche lontano è indispensabile; ma se non si comincia a muovere qualcosa nel presente, le difficoltà nel costruirlo non possono che aumentare.
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Aldo Mariconda
Non sono un economista ma un uomo d’azienda che aveva organizzato a Berlino nel 1997un convegno per un’associazione francese che presiedevo, ACE 2000 – Advanced Communications for EU -. Parlando con un assessore presente, mi diceva che il governo della città era preoccupato perché gli investimenti dall’Ovest saltavano la ex parte Est della Germania per andare, allora, nei Paesi ex satelliti. Ebbene, 20 anni dopo la caduta del muro, nel 2009, il gap Est/Ovest in Germania si era dimezzato. Quello ns. Nord/Sud è rimasto fermo e, come scrive l’articolo, è aumentato. Mi piacerebbe vederne analizzate le cause, dalle politiche incrementate agli elementi sociali e comportamentali di due popoli e di due classi politiche diverse.
Aldo Mariconda
bob
gap Est/Ovest Nord/Sud è il paragone errato. Errato perchè si raffrontano due territori con storie asolutamente diverse e non sovrapponibili. Est/Ovest si sono riunute due Nazioni. Nord /Sud 2 territori sono stati maldestramente usati da una certa politica per scopi e interessi molto personali una sorte di “salvagente” che reciprocamente veniva usato all’evenienza