Federmeccanica ha fatto una proposta molto innovativa per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro. Ha proposto la trasformazione dei “minimi tabellari”, cioè dei salari minimi che vengono fissati per ciascuno dei livelli di inquadramento dei lavoratori, in “minimi di garanzia”.
Minimi tabellari secondo Federmeccanica
Fino a oggi, gli aumenti dei minimi tabellari sono andati a beneficio di tutti, indipendentemente dal fatto che molti lavoratori siano pagati ben più del minimo. Infatti, il minimo tabellare è solo una componente della “busta paga”, la quale include voci retributive aggiuntive, concesse con contratto aziendale o a titolo individuale. E spesso si tratta di voci a carattere fisso e continuativo, alla pari dei minimi tabellari.
È come se le imprese pagassero due volte questi aumenti, una a livello aziendale e una a livello nazionale. Si tratta di una sommatoria poco razionale.
Cambiare il modello significa togliere ai minimi tabellari dei contratti nazionali il ruolo di componente della busta paga con una propria dinamica, che si aggiunge agli aumenti salariali aziendali che hanno la stessa natura; e assegnare loro “solo” il ruolo di minimi di garanzia: una rete protettiva che entra in funzione quando i salari sono sotto il nuovo minimo. Restano invece invariate le retribuzioni che di fatto sono stabilmente superiori al minimo.
Un esempio può chiarire l’importante implicazione della proposta. Se il nuovo contratto nazionale stabilisse un aumento dei minimi di 70 euro mensili, le aziende non sarebbero più costrette ad aumentare la busta paga di 70 euro, ma solo della differenza tra i 70 euro e quello che pagano già sulla base di alcune voci fisse, come i premi fissi o i superminimi individuali. In termini tecnici, si potrebbe dire che l’aumento del minimo tabellare viene “assorbito” (“scompare” in tutto o in parte) nella retribuzione quando questa di fatto (e per le componenti fisse) è già più alta del nuovo minimo.
In conclusione, la contrattazione aziendale deve riguardare la componente salariale che è effettivamente variabile, mentre gli aumenti della retribuzione fissa, da qualunque fonte scaturiscano, devono compensarsi e non sommarsi. Significa dare razionalità al sistema contrattuale ed evitare che fonti diverse degli aumenti si comportino come tante “autorità salariali” che spingono in modo scoordinato il costo del lavoro oltre i livelli consentiti dagli aumenti di produttività. Con tutte le conseguenze negative, che abbiamo osservato in questi anni, di perdita di competitività.
Abbandonare gli automatismi
Nel frattempo, anche le tre maggiori sigle sindacali hanno presentato le loro proposte. Alcuni elementi del loro documento non sono completamente in contrapposizione con quanto proposto da Federmeccanica.
Ad esempio, i sindacati vorrebbero tener conto, in sede di rinnovo dei contratti nazionali, non solo del costo della vita (Ipca), ma di altri indicatori economici (come la crescita, la produttività; e – si potrebbe aggiungere – le condizioni del mercato del lavoro). È una proposta che va nella giusta direzione, se si evita una pericolosa sommatoria.
Il sistema di agganciare i salari all’Ipca, cioè alle previsioni del costo della vita depurato del petrolio, non funziona più. Le recenti stime si sono dimostrate sbagliate e hanno aumentato i problemi anziché risolverli. Il petrolio presenta oscillazioni enormi e la politica monetaria non è più nelle mani dei governi nazionali. Prima ci si libera di questo automatismo e meglio è.
Se invece i sindacati intendono aggiungere un ulteriore automatismo dei salari, cioè il legame con la produttività, allora stiamo tornando indietro.
La mia lettura del testo è invece diversa: per fissare gli aumenti dei salari minimi nazionali, devono essere considerate tutte le condizioni macroeconomiche utili. E gli aumenti non possono essere spezzettati in distinte componenti, una per l’inflazione e una per la produttività, per poi fare la somma: sarebbe un’altra sommatoria da evitare assolutamente.
Inoltre, sarebbe molto meglio discutere gli aumenti dei minimi nazionali alla fine e non all’inizio della tornata della contrattazione aziendale. In questo modo, oltre ad affidare ai minimi nazionali il ruolo di rete protettiva per tutti i lavoratori, si permetterebbe alle imprese di assorbire gli aumenti (di carattere fisso) già concessi a livello aziendale nei nuovi minimi nazionali.
Evitare sommatorie: questo è il criterio da seguire nelle varie e diverse circostanze. E considerare il salario (soprattutto quello di natura fissa) nella sua totalità e non come sommatoria di componenti della stessa natura fissate a livelli diversi.
* Deputato del Partito democratico
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Gianni Perpetuini
“Si permetterebbe alle imprese di assorbire gli aumenti (di carattere fisso) già concessi a livello aziendale “.
Per carità, che i dipendenti non vengano abituati troppo bene con tutta la raffica di aumenti che è arrivata negli anni scorsi e che si prevede anche per i prossimi anni.
Enrico
La mia opinione in breve: si parla di aria fritta. I risparmi per le aziende sarebbero ridicoli e utili solo in prospettiva, quando in realtà le aziende hanno prospettive a medio e breve termine (cioè lottano per la sopravvivenza). Così facendo non si affronta il vero nodo delle retribuzioni: il cuneo fiscale assurdo, questo si che sarebbe dirompente. Purtroppo abbiamo una classe politica non all’altezza che cerc a di dare qualche contentino agli kmpren d Itri sulla pelle dei lavoratori (come ho già detto l’assorbimento ha poco impatto
A breve termine per le aziende, ma enorme per i lavoratori….e poi non chiedeteci di aumentare i consumi)
Massimo Matteoli
Gli stipendi “lordi” italiani sono (fonte OCSE) di gran lunga inferiori a quelli francesi e tedeschi.http://www.repubblica.it/economia/2015/10/10/news/jobpricing_stipendi_redditi-124715306/. Se poi passiamo a quelli netti il quadro peggiora ancora. Eppure Federmeccanica ha iniziato la stagione dei contratti chiedendo la “restituzione” degli ultimi aumenti ! L’impressione è che questo attivismo contro il contratto nazionale nasconda solo la voglia di pagare ancora meno i loro dipendenti e il riproporre forme di welfare aziendale che richiamano gli antichi “capitalisti utopistici” rafforza questa interpretazione. Mi sembra evidente, però, che in questo modo si continuerebbe a puntare su un idea di “industria italiana stracciona”, che fa concorrenza puntando sull’elemento costo unitario del lavoro (per il quale gode già di un consistente vantaggio verso i diretti concorrenti europei !) e non su innovazione e produttività. Oltre che anacronistico sarebbe anche antiproducente per il sistema industriale nel suo complresso. Basta guardare una qualsiasi statistica per vedere che l’industria in affanno è quella che vende sul mercato nazionale e non penso proprio che l’idea di bloccare i salari (o peggio di ridurli come voleva Confindustria) o di sostituire gli aumenti monetari con servizi sociali aziendali e e non più generali, serva allo scopo. Anzi penso proprio che produrrà solo un ulteriore contrazione del mercato interno e quindi del guadagno degli imprenditori.
giuliano iori
Trovo veramente incredibile come si possa giudicare razionale e moderno il fatto di consentire alle imprese di assorbire gli aumenti contrattuali sui superminimi o altre voci fisse. queste voci, in teoria, dovrebbero premiare la professionalità del lavoratore al di la del livello di inquadramento. assorbirlo significa schiacciare i redditi verso il basso, abbassare di fatto gli stipendi anche di quei “privilegiati” che sono già in azienda considerando che i nuovi assunti difficilmente arriveranno ai livelli salariali passati per tutti i motivi che conosciamo. A questo punto si dica chiaramente che non si vuole il contratto nazionale che facciamo prima.