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Def: la scommessa di Renzi

Il Def 2016 conferma la strategia del governo di una discesa graduale del deficit effettivo e del rapporto debito pubblico-Pil, pur con una politica fiscale moderatamente espansiva. È una scommessa che si basa su previsioni ottimistiche di crescita del Pil. Condizioni per ottenere la flessibilità.

Ecco il Def

È uscito il Def 2016, il documento programmatico più importante dell’anno. Oltre a un riassunto di ciò che è stato, il documento contiene le stime del governo sull’andamento del Pil e delle variabili di finanza pubblica per l’anno in corso e per il triennio successivo 2017-19.  Le cifre presentate nel Documento di economia e finanza sono di due tipi. Ci sono quelle a legislazione vigente, che incorporano le implicazioni contabili delle leggi già approvate (inclusa, ad esempio, la Legge di stabilità 2016) per la finanza pubblica e, insieme alle previsioni su Pil, inflazione, petrolio e spread, sono la base per il “quadro tendenziale” della politica economica. Quando poi, su questi numeri, il governo sovrappone i suoi impegni si arriva al “quadro programmatico” della politica economica che include le stime degli effetti di leggi ancora da approvare (ad esempio, la Legge di stabilità 2017, che sarà presentata entro il 15 ottobre 2016) sulle stesse variabili. Le 155 pagine della sezione I del Def (e tutti gli allegati e appendici varie) sono dunque essenzialmente un impegno relativo all’andamento del deficit e del debito pubblico per l’anno in corso e per il 2017. Il Def non è il documento in cui il governo parla di come riformare le pensioni o di quanti dipendenti pubblici intenda assumere. Queste decisioni arriveranno nel resto dell’anno, quando il governo specificherà i modi (più o meno spese, più o meno entrate) secondo i quali intende realizzare gli obiettivi di deficit e di debito indicati nel Def. Quindi conviene concentrarsi sui numeri di deficit e debito che rappresentano la cornice contabile della politica per il 2016-17 (per 2018 e 2019 arriverà il Def 2017).

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Meno deficit e meno debito senza austerità

Nella tavola I.1 si legge che il governo si impegna a raggiungere un deficit (“indebitamento netto”) pari al 2,3 per cento del Pil. Il governo conferma dunque la sua strategia di discesa graduale del deficit effettivo nel corso del tempo, giù dal 3 per cento del 2014 al 2,6 per cento del 2015. La discesa è trainata dal calo degli spread che riduce il pagamento degli interessi sul debito pubblico e dal lento aumento dell’avanzo primario. Per il 2017 l’impegno è di arrivare a un deficit pari all’1,8 per cento del Pil. Il pareggio di bilancio è spostato al 2019 (prima era al 2018). La discesa del deficit accelera negli anni più lontani nel tempo, nel 2018 (anno elettorale) e 2019. Lo stesso vale per il deficit strutturale. Come già per il 2016, al calo del deficit non corrisponde tuttavia una politica fiscale restrittiva, almeno rispetto a quanto già preventivato. Il deficit programmatico dell’1,8 per cento è infatti superiore all’1,4 riportato come deficit tendenziale. Dunque, il governo replica la strategia dei due anni precedenti: sfora un po’ rispetto agli impegni degli anni precedenti, fatti di clausole di salvaguardia – tagliole di aumenti di imposta automatici – e tagli di carta alla spesa pubblica spesso compensati da aumenti di imposta a livello locale. Emerge così uno spazio di ossigeno fiscale per l’economia (nel 2017 sarà uno 0,4 per cento del Pil) in modo da sostenere una ripresa ancora flebile senza deviare troppo dagli obiettivi assunti in precedenza. La scommessa di Matteo Renzi è dunque quella di proseguire il calo del deficit senza austerità, anzi con una politica fiscale moderatamente espansiva. Lo stesso, con numeri ancora più piccoli, vale per il deficit strutturale, quello depurato dell’influenza del ciclo economico.

Una scommessa rischiosa

Anche per il rapporto debito pubblico-Pil, il Def conferma l’obiettivo di una graduale discesa. Per il 2016, rispetto al calo da 132,8 a 131,4 (-1,4 punti di Pil) indicato in precedenza, la discesa del rapporto è ora diventata così piccola (-0,3) da essere esposta a qualsiasi stormir di fronde negativo, sia esso una crescita del Pil o dei prezzi inferiore rispetto alle attese. Nel Def si prevede un Pil nominale (a prezzi correnti) in aumento del 2,2 per cento (il Pil a +1,2 e l’inflazione a +1). Si tratta di un dato ottimistico, non solo a causa degli scenari internazionali ma anche per il recente indebolimento della dinamica delle vendite al dettaglio. Il rapporto debito-Pil insomma potrebbe aumentare anche nel 2016. Eppure, malgrado tutto, Renzi potrebbe vincere la rischiosa scommessa implicita nel suo Def 2016. I tassi di interesse internazionali, la cui discesa ha molto contribuito al calo del deficit effettivo, sono destinati a rimanere vicini a zero per la guerra valutaria in atto tra le banche centrali. È poi difficile che l’Europa sanzioni un’Italia il cui deficit scende gradualmente verso lo zero, mentre Francia e Spagna non mostrano particolare fretta nel rientrare da deficit ben più elevati. Infine, partendo da un debito al 133 per cento, +0,3 o -0,3 non fa differenza. Ma se un governo si impegna a far scendere tale rapporto nel 2016 e poi ciò non avviene, a Bruxelles, Francoforte e Berlino qualcuno potrebbe alzare più di un sopracciglio, rendendo più aspro il negoziato del governo per ottenere l’agognata flessibilità.

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  1. Mario Rossi

    io mi domando come si fa a presentare numeri che sono già stati smentiti dalla realtà, di cosa ragioniamo se siamo già ancora una volta in recessione, deflazione e chi più ne ha più ne metta, speriamo forse che venga qualche salvatore dallo spazio profondo a salvare l’Italia? non si può sempre sperare che le cose vadano meglio, da sole le cose non cambiano e l’unica strada che abbiamo è rendere produttivo e veloce questo paese. Già solo che c’è un problema: rendere produttivo e veloce il paese vuol dire mettersi contro tanti votanti assidui……..meditate!!!!

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