I mercati dei capitali europei funzionano male. Ma finora non si è fatto molto per eliminare le barriere che impediscono una loro reale integrazione. Eppure si tratta di una pre-condizione per un maggiore coordinamento delle politiche fiscali e per la stabilità dell’Eurozona. Obiettivi della Cmu.

Secondo di due articoli.

La struttura del sistema finanziario europeo

Non è un segreto che il sistema finanziario europeo sia fortemente sbilanciato verso i canali di credito bancari tradizionali, mentre i mercati hanno un ruolo alquanto limitato. Ma i numeri che emergono da un recente rapporto sullo stato dei mercati finanziari europei ne mostrano l’inequivocabile sottosviluppo e la scarsa efficienza (si veda il capitolo 3 di Europe’s untapped capital market: rethinking integration after the great financial crisis). Gli asset del settore bancario sono oltre tre volte il Pil europeo, con un’incidenza maggiore rispetto anche al peso che il sistema ha in Cina. Non è pertanto un caso che le regioni ancora instabili finanziariamente siano quelle meno diversificate, ovvero Cina ed Europa.

Figura 1

val21

L’emissione di obbligazioni governative e bancarie sono l’unica eccezione, ma questo attivismo è il risultato delle difficoltà finanziarie degli ultimi anni.

Figura 2

val22

Sebbene ci sia molta diversità tra i vari stati, le famiglie europee detengono in media oltre il 30 per cento delle proprie risorse in contante e depositi bancari, contro il 13 per cento negli Stati Uniti. Il possesso diretto di azioni e fondi d’investimento è limitato al 23 per cento delle risorse finanziarie, contro il 45 per cento negli Stati Uniti. Anche a causa del limitato contributo del capitale azionario e delle obbligazioni corporate, le imprese europee sono in media molto più piccole rispetto a quelle americane, giapponesi e cinesi. Il capitale di debito è finanziato per oltre il 77 per cento da credito bancario tradizionale, contro meno del 40 per cento negli Stati Uniti. Più in generale, l’economia europea ha scarso capitale di rischio. I mercati azionari, in particolare, sono frammentati geograficamente. Il turnover aggregato è solo un quinto di quello statunitense. Nonostante la forte crescita degli ultimi anni, l’industria del risparmio gestito è anch’essa fortemente frammentata e con scarsa penetrazione tra gli investitori al dettaglio. La distribuzione dei prodotti finanziari rimane ancora chiusa e dominata dai costosi canali bancari, protetti da regole di vendita nazionali. Ci sono oltre 32mila fondi d’investimento in Europa, contro i circa 7.600 negli Stati Uniti, con una grandezza media di 186 milioni di euro rispetto agli 1,34 miliardi dei fondi americani. La crescita della gestione passiva ha aiutato a ridurre i costi medi, ma la gestione attiva rimane in media ancora molto costosa (costi fissi e variabili).

Leggi anche:  L'eccesso di liquidità è qui per restare*

Come migliorare la qualità dell’integrazione finanziaria europea?

Di fronte alla scarsa qualità dell’ecosistema finanziario europeo, il progetto Cmu – Capital Markets Union – ha la responsabilità di costruire un mercato unico dei capitali compatibile con diverse aree valutarie. Dopo sessanta anni, il mercato unico è ancora in ritardo, ma rimane lo strumento necessario per un maggiore coordinamento delle politiche fiscali necessarie per la tenuta dell’area euro. Il budget federale negli Stati Uniti, tranne per i periodi di guerra, è stato creato solo con la grande depressione, cioè dopo la creazione del mercato interno americano. Le barriere al mercato comune Usa furono smantellate prima da provvedimenti come lo Sherman Act del 1890, con i casi forse più importanti nella storia della Corte suprema statunitense nei primi anni del Novecento. L’apertura del mercato comune e la successiva integrazione del settore privato sono state la precondizione per la creazione di un budget federale che andasse oltre l’1 per cento del Pil aggregato. In questo spirito, la Cmu dovrebbe avere l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli all’integrazione del mercato comune (settore privato) che tuttavia non derivano in modo prevalente da comportamenti d’imprese dominanti. Nel caso europeo, un diritto antitrust già c’è e funziona. La principale fonte di barriere economiche e legali all’integrazione deriva da legislazione, supervisione e potere giudiziale degli stati membri. Il rapporto dell’European Capital Markets Expert Group (Ecmeg) identifica una lista di trentasei barriere all’integrazione dei mercati dei capitali. Barriere che si ritrovano nelle tre fasi cruciali di una transazione finanziaria: price discovery, esecuzione e applicazione delle regole (private e public enforcement). In particolare, la price discovery è quel processo in cui l’investitore ricerca il prezzo di mercato (quindi il rapporto rischio-ritorno) che si avvicina di più al suo prezzo di riserva. Una barriera importante è, per esempio, l’attuale applicazione dell’Ifrs 9 nella definizione di credito deteriorato o nell’utilizzo di modelli di valutazione interni che non permettono a un investitore di valutare pienamente il valore degli attivi di una banca o di una impresa non finanziaria. L’incapacità di comparare i dati contabili, la scarsa informazione su conflitti d’interesse, i modelli di distribuzione dei prodotti finanziari, l’incertezza nelle procedure d’insolvenza e una governance europea affidata a un’autorità che ha poteri molto limitati, come l’European Securities and Markets Authority (Esma), sono solo alcuni degli ostacoli all’integrazione, che accrescono l’incertezza sul costo finale di una transazione finanziaria transfrontaliera, inficiando così l’abilità di scontare informazioni nel prezzo di mercato. Senza sufficiente informazione pubblica, i meccanismi di mercato non funzionano. Con il consolidamento delle barriere nazionali nei decenni antecedenti ai Trattati europei, si sono costituiti forti interessi commerciali locali che sono spesso difesi dagli stessi stati membri. Dominati come per lo più sono dai sistemi bancari nazionali, saranno difficili da scardinare e la Commissione è stata finora molto timida, anche in attesa del referendum in Gran Bretagna. Venti anni dopo i primi studi sulla relazione tra sistemi legali e finanziari, la Cmu deve riportare la rimozione delle barriere legali ed economiche al centro delle politiche europee d’integrazione finanziaria, per creare, tramite un mercato comune dei capitali, quei meccanismi di condivisione del rischio che daranno la stabilità finanziaria necessaria al sistema economico europeo.

Leggi anche:  Paradisi fiscali: quando i capitali fuggono da paesi emergenti

* La versione inglese dell’articolo è stata pubblicata su www.voxeu.org.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Il Patto che non c'è*