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Per Atene cercasi piano Brady, disperatamente

Per affrontare la crisi greca si dovrebbe guardare a quanto accaduto in America Latina negli anni Ottanta. Lì la storia ci ha insegnato che la soluzione passa attraverso una riduzione del debito. Che alla fine potrebbe essere vantaggiosa anche per i creditori. Decennio perduto per tutta l’Eurozona?

Questa volta (non) è diverso
Nel loro celebrato libro This Time is Different, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff tracciano una dettagliata analisi delle regolarità che si osservano storicamente nei paesi soggetti a crisi bancarie o del debito sovrano. L’ironia del titolo si riferisce alla tipica miopia delle classi dirigenti che, in paesi e tempi differenti, osservano l’eccessiva accumulazione di debito nel settore privato senza pesarne adeguatamente i rischi, come se la storia delle crisi finanziarie precedenti in altre nazioni non avesse insegnato alcunché.
Di fronte alla crisi greca, le autorità dell’Eurozona sembrano inesorabilmente preda di un nuovo abbaglio a la “this time is different”. La lezione della storia che viene ignorata è quella del cosiddetto decennio perduto dei paesi dell’America Latina, diversi dei quali (a partire dal Messico nel 1982) furono costretti a dichiarare default.
La gestione dei default sovrani dopo Messico 1982 seguì tre fasi, molto diverse fra loro. La prima, dal 1982 al 1985, potremmo definirla della “crisi di solvibilità scambiata per crisi di liquidità”. In questo periodo il Fondo monetario e altre agenzie governative multilaterali continuarono a fornire nuovi prestiti ai paesi secondo la logica del “vi diamo risorse per mettere le vostre finanze in ordine e poter ripagare i vostri debiti”. In cambio, i paesi attuavano misure di austerità sponsorizzate dal Fondo (aumentare le tasse, tagliare le spese, aumentare le tariffe, svalutare la moneta).
Fu chiaro nel 1985 che la strategia non funzionava. La crescita non ripartiva, il debito aumentava e la necessità di ulteriore assistenza diventava cronica. Una situazione che suona molto familiare.
La seconda fase, dopo il 1985, fu quella del cosiddetto piano Baker (dal nome dell’allora sottosegretario di Stato americano). Consisteva in nuovi prestiti, ma condizionati a cosiddette riforme strutturali, soprattutto liberalizzazioni e privatizzazioni (anche questa una situazione molto familiare).
Intorno alla fine del 1988 fu chiaro che anche il piano Baker era un fallimento: non forniva incentivi sufficienti ai paesi a realizzare le riforme necessarie a far ripartire la crescita. E il debito aumentava.
Una svolta si verificò con la terza fase, quella guidata da Nicholas Brady, nominato segretario al Tesoro americano nel 1989. Il punto focale dell’approccio Brady era uno solo: far firmare a banche creditrici e stati sovrani accordi di riduzione del debito. La chiave erano strumenti di “swap” dei titoli di debito. Alle banche si offriva la possibilità di scambiare i loro titoli con altri (i cosiddetti “Brady bonds”), essenzialmente di due tipi: i) titoli a scadenza più lunga e con capitale scontato (ripagare 70 invece di 100), ma con tassi leggermente più alti; ii) titoli alla pari, ma a tassi scontati. Nel caso pilota, quello del Messico, il 49 per cento delle banche scelse la prima soluzione, il 41 per cento la seconda (le rimanenti altre soluzioni miste). Seguirono poi, tra il 1989 e il 1992, Costa Rica, Venezuela, Uruguay, Argentina e Brasile. Alla fine del 1994, diciotto paesi avevano raggiunto un accordo di riduzione del debito secondo lo schema Brady, con una cancellazione del debito di circa il 30-35 per cento per un paese tipico. Molto secondo alcuni, ancora troppo poco secondo altri.
In retrospettiva la soluzione dei Brady bond presentò un elemento diverso e dirompente: semplicemente funzionò. Dal 1989 in poi (anno dei sanguinosi scontri nelle strade di Caracas) diversi paesi dell’America Latina fecero passi significativi verso la liberalizzazione dell’economia, con tassi di crescita mai sperimentati in tutti gli anni Ottanta, attraendo ingenti flussi di capitale privato. L’eredità forse più positiva del piano Brady fu l’emergere di un mercato dei bond dell’America Latina.
Un decennio perduto per l’Eurozona?
Nel caso della Grecia, non siamo ancora al decennio perduto, ma quasi. L’analogia con il fallimento delle prime due fasi della saga dei debiti sovrani in America Latina è esemplare. Eppure i governanti dell’Eurozona continuano a trattare il caso Grecia come un ennesimo “this time is different”. Ad esempio, perché la Grecia fa parte dell’Eurozona, che prevede determinate regole (austerità e rimborso dei debiti), senza le quali l’esistenza stessa della zona euro sarebbe messa in discussione
La realtà invece è inesorabilmente la stessa. Il default sovrano della Grecia non è diverso dagli altri osservati nella storia; così come, tristemente, il lungo e costoso gioco di negoziazione tra debitori e creditori. Perciò qualsiasi prospettiva di soluzione della crisi greca non può che soddisfare una condizione necessaria (anche se non sufficiente): una parziale cancellazione del debito.
L’amministrazione Bush allora ne fece un punto di stabilità geopolitica. Ma esistono incentivi sufficienti per i creditori per accettare uno “schema Brady” anche nel caso del default greco. Ad esempio, il fatto che sulla porzione rimanente di debito, eventualmente riattivato il merito di credito della Grecia sui mercati, i creditori potrebbero anche ottenere un profitto netto. Dal lato greco, una cancellazione parziale del debito dovrebbe essere condizionata alla realizzazione di riforme credibili e in un’ottica di periodo ben più lungo rispetto a quella, ad esempio, di maggiore Iva sugli alberghi: riforme innanzitutto del sistema giudiziario, di liberalizzazione dei mercati dei beni e del lavoro e privatizzazioni. Con l’obiettivo di ridurre il drammatico gap di competitività della Grecia con la media della zona euro. Fino a quando non vedremo cancellazione del debito comparire come parola chiave di un possibile nuovo accordo, prepariamoci a un nuovo decennio perduto. Non sono per la Grecia, ma forse per l’Eurozona intera.

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14 commenti

  1. Savino

    Mi spiace contraddirla, ma la realtà è differente da quei Paesi latino-americani, proprio perchè, in Grecia, all’evento default si lega l’evento Grexit e, cioè, distacco dalla moneta unica e dalle comuni radici politiche, economiche e sociali europee. Non ci può essere un piano ad hoc calato dall’alto, ma solo la volontà unilaterale del Governo greco di fare le riforme strutturali che consentono di continuare ad avere le radici comuni. Per questo, è auspicabile la vittoria del si al referendum e l’affossamento dell’improbabile duo Tsipras-Varoufakis. Un Governo di diverso segno renderebbe tutto più fattibile.

    • Rocco Garofalo

      Il governo di diverso segno dovrebbe essere di segno uguale ai governi che hanno truccato i bilanci pur di entrare nell’euro e quindi hanno fatto della Grecia quello che è oggi? No grazie! Tsipras & co. sono sicuramente dilettanti allo sbaraglio…ma proprio per questo motivo hanno bisogno di aiuto affinché possano far “digerire” al popolo greco quelle riforme necessarie per rimettere in moto la Grecia e credo che siano anche gli unici che possano essere un minimo credibili.

  2. simonakay

    La riduzione del debito potrebbe senz’altro essere un’ottima idea per la Grecia, ma bisogna tenere presente il precedente che si crea. Ipotizziamo il seguente evento: si riduce il debito in Grecia, si salva il paese, l’italia recupera metà del suo credito, poi in Italia viene eletto un Salvini (catastrofe). Salvini non farà altro che ripetere che i Greci se ne sono fregati delle norme europee, e sentendosi giustificato abbasserà l’età pensionabile per ottenere consensi politici, con conseguente rinnovato disastro per le future generazioni.
    Ridurre il debito va bene (per l’italia) ma bisogna che passi un messaggio differente. Forse buttandoli fuori dall’europa, col debito dimezzato e in dracme?

  3. francesco

    Mi pare che l’articolo non fa i conti con l’haircut del 2012, ben superiore al 30% del piano Brady, mi pare.

    • Luca

      Concordo. La rinegoziazione del 2012 comportó una perdita di oltre il 60% rispetto al nominale. Non capisco perché non venga citata.

  4. Gianfranco

    Scusate ma non capisco come funziona: cancelliamo pure tutto il debito, ma se la Grecia non risana i suoi conti (cosa che mi semba appunto Tsipras non vuol fare, a parte le chiacchiere) e non torna almeno in pareggio di bilancio (vero), tornera in debito immediatamente dopo. Da cancellare anche questo? come fanno i creditori addirittura a guadagnarci?

  5. La riduzione del debito (= perdita sui crediti) distrugge la credibilità e fa aumentare gli spread. Perché il Lussemburgo con un rapporto debito PIL intorno al 30% dovrebbe per contenere la spesa abbassare unilateralmente gli stipendi del settore pubblico (misura adottata quest’anno contro le proteste degli insegnanti) mentre in Italia (con un rapporto del 135%) gli stipendi pubblici (e le pensioni esagerate e insostenibili) sono intoccabili e mentre il Governo greco (oltre 180%) assume nuovi dipendenti pubblici? Ecco perché non si possono fare troppe concessioni sul debito di un paese; ecco perché siamo condannati all’austerità, non per colpa dei paesi virtuosi, ma per non incitare gli inadempienti a sprecare ancora di più. Che tutto sommato è un’altra forma di “mungere la vacca”. Alla fine non è solo un problema di finanza pubblica, ma di efficienza degli strumenti della democrazia. Per salvare un paese, il paese deve fare riforme per ridurre gli squilibri. Almeno formalmente solo i parlamenti nazionali ha competenza per fare quello che veramente conta. L’Italia ha pagato la politica fiscale demagogica (soppressione ICI) dell’ultimo governo Berlusconi (spread a 5%), la Grecia sta pagando per aver creduto nelle promesse fasulle di Tsipras. La proposta politica più valida è senz’altro quello di To Potàmi. Voteranno ovviamente NAI, sì.

  6. icsred

    Scusi Monacelli, ma Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff non sono gli stessi che avevano platealmene cannato le formule che sostenevano la loro tesi sull’influenza del debito sulla cresita?

  7. Gabriele

    Il perché Tsipras non si sia adoperato in merito si trova nella stessa composizione del NUOVO governo visto la presenza essenziale del partitino di destra ANEL con tanto di ministro della difesa. La Grecia inoltre e’ il paese europea che spende di piu’ in percentuale sul PIL , per la Difesa , ma i militari vogliono mantenere il loro potere ed i privilegi L’Iva nelle isole è oltremodo ridotta, del 5, 9 e 16%. Una “frode fiscale” per la Ue.ll punto è poi che nonostante sia ridotta NESSUNO LA PAGA. Siete ma stati in Grecia negli ultimi 10 – 15 anni?
    Capite ora perche’ sono pieni di debiti ,, per leloro scelte economiche/sociali/politiche interne la loro prese , altro che Troika .
    Quindi l’equazione e’ semplice vogliono che ha pagare i loro debiti attuali e quelli futuri siano gli altri stati

  8. Gabriele

    LA FARSA GRECA
    Gli armatori categoria protetta art. 89 Costituzione Greca.
    Poche persone, possiedono 4.707 navi nel mondo un’attività pari al 16% del mercato globale, circa 105 miliardi, con profitti ELEVATI, generati sia in patria che all’estero. 
    Una stima , DEI profitti intascati esentasse e trasferiti quasi tutti nelle banche inglesi e tedesche, parla di 140 miliardi. Il 40% dell’intero debito pubblico ellenico.
    E ora non ci stanno e ricattano: “diamo lavoro a 250.000 persone, non crediamo che un governo di sinistra voglia vederle finire sul lastrico; generiamo il 7% del Pil .
    Il loro presidente, Ventiamidis, ha detto “Vogliamo restare a lavorare qui e siamo pronti a fare la nostra parte. A una condizione: che nessuno tocchi i diritti che ci garantisce la Costituzione
    ” Altrimenti ” abbiamo pronto un piano B . Leviamo l’ancora e prendiamo residenza fiscale altrove. C’è solo l’imbarazzo della scelta: Monaco, Dubai, Singapore..
    Oltre a questo, va aggiunta la chiesa ortodossa, che è il più grande proprietario terriero del paese e possiede hotel, centri turistici, proprietà immobiliari, imprese, e i cui preti sono a carico dello stato. Esentasse sono poi le enormi fortune trasferite all’estero (calcolate in circa 600 miliardi di euro: quasi il doppio del debito stesso, la FUGA è continuata anche con Tsipras), per non parlare delle 6.575 compagnie offshore, di cui solo 34 pagano le tasse SEGUE

  9. Giovanni Teofilatto

    L’assenza di coesione economica delle coesistenti “ricchezze nazionali” causa un naturale federalismo economico di corsa al margine di prodotto in garanzia dei welfare state nazionali in presenza di egoismi (Paesi Leader) e finanza creativa (Paesi Follower).

  10. Il popolo greco ha deciso per il NO, ciò vuol dire che il legame che tenevano uniti ipaesi nell’area valutaria dell’euro viene sciolto. Il legame era la paura, non sapere cosa poteva accadere dopo, sono stati fatti paragoni con la repubblica di Weimar, adesso con la spinta politica del popolo la Grecia potrà ottenere per tutti i paesi meridionali ciò che i paesi nordici debbono dare, la solidarietà, se si vuole mantenere l’euro.

  11. A Monacelli. A proposito del piano Brady mi pare che nel caso greco solo il 15% circa del debito sia in mano alle banche. E’ un’informazione errata?
    Grazie e saluti

  12. Giuseppe

    Ma se dovesse esserci un taglio del debito greco, essendo esso in parte in mano alla BCE, ciò non significherebbe un finanziamento allo stato greco da parte della BCE, vietato per definizione?

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