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Se non ora quando? Avere i figli in Italia

In Italia le donne che hanno un figlio soffrono di una penalità nel reddito da lavoro per un periodo lunghissimo, fino a 15 anni dopo la prima gravidanza. L’entità della perdita dipende da quanto tempo è passato dal conseguimento del titolo di studio.

La maternità delle donne italiane

Per le donne italiane la maternità è compatibile con le scelte lavorative? Secondo alcuni, no (vedi per esempio Chiara Valentini). E anche se questa conclusione è forse troppo estrema, è pur vero che avere un figlio implica un peggioramento della propria posizione sul mercato del lavoro (motherhood penalty). Nella letteratura economica molti lavori empirici hanno cercato di quantificare la penalità, con risultati che dipendono dal contesto e dalla metodologia applicata.
Per l’Italia non ne emerge un quadro univoco. Lia Pacelli, Silvia Pasqua e Claudia Villosio suggeriscono che i salari delle madri che lavorano a tempo pieno sono inferiori a quelli delle donne senza figli di circa il 3 per cento e il divario non si chiude ancora dopo 5 anni dalla nascita. Concetta Rondinelli e Roberta Zizza sostengono che l’effetto della maternità sulla partecipazione femminile tende a non essere persistente una volta che si prendano in considerazione gli shock di infertilità, misurati dall’esistenza di fattori biologici che ostacolano le donne nell’avere (più) figli. Tuttavia, risultati empirici sulle conseguenze a lungo termine della nascita di un figlio non sono disponibili, almeno per l’Italia.
Altri contributi scientifici hanno evidenziato che il costo-opportunità delle interruzioni di carriera a seguito della maternità può variare nel corso della vita lavorativa perché il capitale umano può accumularsi a un ritmo diverso nel tempo e perché la protezione dell’occupazione, e la conseguente stabilità del lavoro, in genere aumenta con l’anzianità. Se la penalità tende a ridursi nel corso della vita lavorativa, posticipare la gravidanza diventa una strategia per minimizzare le perdite dopo il parto: in effetti, l’età media delle donne al primo parto nei paesi Ocse è passata da 26,2 anni nel 1995 a 29 nel 2015. Uno studio ripreso da The Economist sul mercato del lavoro danese suggerisce che, al fine di minimizzare la penalità per maternità, le donne dovrebbero puntare ad avere il loro primo figlio tra 31 e 34 anni.

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Mamme penalizzate

In un nostro studio facciamo luce sulla penalità subita dalle mamme nel mercato del lavoro italiano, distinguendo l’effetto causale della nascita di un figlio dalla correlazione spuria indotta da determinanti non osservabili sia della performance sul mercato del lavoro che della maternità. La ricerca è basata sulla banca dati Ad-Silc, ottenuta dalla fusione degli archivi amministrativi Inps con l’indagine italiana sul reddito e le condizioni di vita (It-Silc) condotta dall’Istat. Il campione utilizzato comprende oltre novemila donne tra i 26 e i 45 anni, per le quali è possibile ricostruire l’intera storia lavorativa.
I risultati dello studio confermano che le donne soffrono della motherhood penalty negli anni successivi alla prima gravidanza per un periodo compreso tra i 9 e i 15 anni. Dopo questo periodo, il loro reddito da lavoro non risulta significativamente diverso da quello di donne con caratteristiche simili, ma senza figli. La durata del periodo dipende dal timing della prima gravidanza: se arriva entro 3 anni dall’ottenimento del titolo di studio (sia terziario che non), la penalità nei redditi permane per 15 anni; se arriva tra 4 e 6 anni, permane per 12 anni; se arriva nei 3 anni successivi, la penalità si azzera dopo 9 anni.

Figura 1 – Perdita media annua dei redditi da lavoro rispetto alle donne senza figli con caratteristiche simili

Nota: La perdita annua è calcolata nei 9 anni successivi alla prima gravidanza. I valori sono espressi in euro 2014.

Possiamo anche valutare l’entità della perdita in funzione degli anni trascorsi dall’ottenimento del titolo di studio al concepimento del primo figlio (figura 1). La differenza media annua di reddito rispetto alle donne senza figli con caratteristiche simili nei 9 anni successivi alla gravidanza ammonta in media a:

  • 2500 euro l’anno per coloro che hanno il primo figlio subito dopo il termine degli studi;
  • 1700 euro l’anno per coloro che hanno la prima gravidanza 7-9 anni dalla fine degli studi;
  • 3250 euro l’anno per coloro che posticipano fino a 13-15 anni dalla fine degli studi.
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La figura 1 mostra che la perdita dovuta alla maternità è più bassa per le donne che partoriscono “né troppo presto né troppo tardi”. Otteniamo risultati simili considerando la partecipazione al mercato del lavoro invece dei redditi annui.
Le lezioni da trarre sono molteplici. Da un lato, le politiche volte a ridurre l’età al primo figlio per aumentare la fertilità potrebbero essere rivolte alle donne che hanno lasciato la scuola da almeno un decennio, perché per loro rinviare ulteriormente implicherebbe una perdita crescente nel tempo sul mercato del lavoro. Dall’altro lato, le politiche dovrebbero tentare di ridurre l’alto costo dovuto alla maternità per quelle donne che hanno figli nei primi anni di lavoro, perché sono loro quelle che rischiano di più un’esclusione prolungata dal mercato del lavoro. Sussidi ai datori di lavoro che accettano il ritorno al lavoro delle neomamme in forme che permettano di conciliare i carichi familiari all’attività lavorativa (orari flessibili, permessi orari, telelavoro) sono necessari per limitare l’aumento dell’età della prima gravidanza e per ridurre le penalità associate. Ovviamente, il sostegno finanziario per i servizi di assistenza all’infanzia rimane cruciale.

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Il Punto

  1. Savino

    Tutti i veri problemi come la precarietà in età fertile e la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro sono state cose assolutamente inaffrontate da tutti i partiti politici.
    La mia opinione è che ci sia apertamente (e il voto non poteva dimostrarlo meglio) un’Italia egoista, che se ne frega di tutto ciò. Questo è un popolo a cui va insegnata l’educazione e a cui va insegnato come si sta al mondo, come gira il mondo e quali siano le prospettive anche biologiche del vivere e del vivere comune.
    Se gli italiani senior hanno il rancore perchè non si sono potuti costruire la seconda casa e lo vogliono addebitare sul bilancio dello Stato e sulle future generazioni, se lo devono far passare quel rancore, con le buone o con le cattive, perchè ci sono giovani donne che vogliono vedersi realizzate personalmente e professionalmente.

  2. luigi

    A me sembra invece che chi ha affrontato questi temi con soluzioni praticabili sia stato pesantemente penalizzato dal voto degli elettori che le hanno bocciate in favore di altre per loro più allettanti e di più immediata fruizione. Ora si tratta di vedere come e se il mantenimento delle promesse verrà attuato.

  3. Piero Borla

    Di norma quando si parla di denatalità si attribuisce il fenomeno alla insufficienza e instabilità dei redditi. Il che è vero, ma c’è molto di più, e questo articolo apre in modo documentato un filone nuovo. Ci sono anche ragioni non economiche e puramente culturali. Occorre proseguire e allargare gli studi.

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