Le regole europee impongono una revisione del sistema sanzionatorio in fatto di abusi di mercato, per evitare il cumulo di sanzioni amministrative e penali. La bozza di decreto legislativo risolve questo problema, ma non esclude la possibilità di un duplice procedimento. Le soluzioni alternative.
Sistema sanzionatorio da rivedere
L’Italia è chiamata a recepire entro il 3 luglio 2016 il regolamento Ue n. 596/2014 e la direttiva 2014/57/Ue, entrambi destinati ad adeguare ai principi europei il diritto punitivo interno relativo alla fattispecie di abuso di informazioni privilegiate e all’ipotesi di manipolazione del mercato. Compito non semplice, anche perché impone di rivedere l’attuale sistema sanzionatorio e dunque la possibilità che una medesima persona possa essere sottoposta a un doppio procedimento (davanti alla Consob e al giudice penale) e di conseguenza a due sanzioni (amministrativa e penale) per lo stesso fatto. Sistema sanzionatorio già censurato dalla Corte di Strasburgo per violazione del divieto di un secondo giudizio sancito dall’articolo 4, protocollo n. 7 Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Sia il regolamento che la direttiva – pur non vietando espressamente la possibilità per gli Stati membri di prevedere nella repressione degli abusi di mercato sanzioni di natura “formalmente” amministrativa, oltre che sanzioni penali – suggeriscono, infatti, di differenziare la scelta tra l’una o l’altra secondo un principio di gradualità in relazione alla gravità delle condotte. Soprattutto, però, richiamano l’attenzione degli Stati sulla necessità che il sistema sanzionatorio di cui si doteranno rispetti il divieto di un doppio procedimento penale-amministrativo per il medesimo fatto. Chi si attendeva una presa di posizione sul merito della questione da parte della Consulta è rimasto deluso: com’era prevedibile, la recente sentenza n. 102 del 12 maggio 2016, dichiarando inammissibili tutte le questioni sottoposte al suo esame, non si è pronunciata sulla compatibilità dell’attuale meccanismo di “doppio binario” con il diritto fondamentale al ne bis in idem (non esprimere due volte un giudizio sullo stesso fatto).
La questione non risolta dal decreto legislativo
Il tema del superamento del cumulo sanzionatorio penale e amministrativo sembra comunque essere ben presente nella legge delega: l’articolo 11 comma 1 della legge n. 114 del 2015 stabilisce, infatti, alla lettera m, che l’osservanza del ne bis in idem dovrà essere assicurata «attraverso la distinzione delle fattispecie o attraverso previsioni che consentano l’applicazione della sola sanzione più grave, ovvero che impongono all’autorità giudiziaria o alla Consob di tenere conto, al momento dell’irrigazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate». A ben vedere, tuttavia, solo la specifica distinzione degli illeciti amministrativi dalle ipotesi di reato garantisce il pieno rispetto dei principi della Convenzione europea dei diritti umani, il cui articolo 4 del protocollo n. 7 non concepisce la garanzia semplicemente come divieto di essere puniti due volte per lo stesso fatto, ma anche come divieto di essere sottoposti a processo (nel nostro caso, amministrativo e penale) due volte per il medesimo fatto, sia pure in presenza di un’unica sanzione. Purtroppo, la bozza di decreto legislativo preparata dal ministero della Giustizia e anticipata dalla stampa sembra affrontare il problema limitandosi a prevedere l’obbligo per la Consob di tenere conto, nel determinare la sanzione, della pena applicata per lo stesso fatto dal giudice penale. È chiaro che, se da un lato tale soluzione dovrebbe permettere di scongiurare il rischio di una duplicazione di sanzioni – l’esecuzione della sanzione amministrativa sarebbe limitata alla parte eccedente quella oggetto di esecuzione in sede penale -, dall’altro non impedisce quel duplice accertamento per lo stesso fatto nei confronti della medesima persona concepito dalle norme europee come lesivo dei diritti fondamentali dell’uomo. Ci si sarebbe aspettati, invece, un accorto intervento legislativo che tracciasse una netta demarcazione tra illeciti penali e illeciti amministrativi di abuso di mercato. In tale prospettiva, le opzioni in campo sono diverse. La soluzione più lineare potrebbe consistere nell’attribuire rilevanza penale solo alle condotte più gravi, lasciando alla Consob il potere di procedere per tutte le altre. In particolare, la sanzione penale dovrebbe presidiare le condotte caratterizzate da due parametri: a) la commissione dolosa e b) la gravità del fatto. Nello stesso tempo, per evitare che il mero riferimento alla gravità del fatto appaia un indice troppo vago e di difficile determinazione, bisognerebbe stabilire una serie di criteri il più possibile oggettivi quali elementi di tipizzazione della gravità dei fatti (dimensione patrimoniale del profitto illecito, valore complessivo degli strumenti finanziari negoziati, ammontare dei fondi utilizzati in origine, nonché la particolare posizione o qualifica del soggetto attivo). L’individuazione di rigidi parametri potrebbe garantire, infatti, un buon livello di certezza nel momento della qualificazione giuridica dell’illecito ex ante e della conseguente attribuzione della competenza sanzionatoria. Le soluzioni scelte sembrano altre, almeno stando al contenuto della bozza del decreto legislativo. La speranza è che si tratti appunto solo di una bozza e che il (poco) tempo ancora a disposizione possa essere impiegato in maniera più mirata ed efficace.
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Henri Schmit
L’Italia è un grande sistema arbitrario, senza protezione per gli onesti e i deboli, senza vigilanza credibile, in cui gli esperti prima acclamano i progressi normativi (anche su questo sito) per poi lamentarsi della loro inadeguatezza. Tutto viene coperto da fiumi di formalismi bizantini mentre nessuno s’interessa alla verità e alla sostanza delle cose. Niente è cambiato negli ultimi 20 anni. Le procedure di Banca d’Italia e di Consob sono inquisitorie, possono sanzionare persone senza di fatto sentirle, inviano sistematicamente gli avvisi all’inizio di dicembre o a fine luglio in modo da lasciare- tranne ai furbi ben organizzati- un tempo insufficiente per trovare un avvocato e preparare la difesa, la Consob copia servilmente le deduzioni astratte di Banca d’Italia e i poveri giudici pur di sferrare un colpo contro il banditismo a collo bianco (di cui vive un parte del paese) confermano senza porsi troppo domande. La CEDU è utile per chi ha i mezzi per prendersela con il sistema nazionale (come i nomi altosonanti delle sentenze confermano), ma anche i giudici di Strasburgo sono come un oracolo imprevisibile, senza coerenza sui grandi principi, e soprattutto senza controllo democratico, un altro labirinto bizantino sopra quelli nazionali, materia d’esercizio perfetta per i professori sottili. E quando c’è un vero problema come quello delle banche locali, invece di indicare la chiave di una soluzione razionale, comprensibile, equa, si propongono nuove leggi nuove autorità.