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Quando l’ascensore sociale è guasto, qualcuno usa la scuola

Il governo ha stanziato fondi per consentire l’apertura straordinaria delle scuole che si trovano in contesti disagiati. Sembra una buona idea, anche alla luce di quanto indicano alcune ricerche sui risultati degli studenti con background svantaggiati. Restano da risolvere importanti questioni.

Una buona idea

Il ministero dell’Istruzione, con il decreto ministeriale n. 273 del 27 aprile 2016, ha stanziato 10 milioni di euro per l’avvio del progetto “La scuola al centro”. Il progetto, che prevede un successivo finanziamento di 150 milioni per il periodo ottobre 2016-dicembre 2017, permette l’apertura delle scuole ubicate in aree periferiche e in zone ad alta dispersione nelle ore pomeridiane e nel periodo estivo. Lo scopo è quello di consentire lo svolgimento di attività extracurriculari “come misura di contrasto alla dispersione, ma anche come risposta tempestiva e concreta ai fenomeni di disagio sociale che caratterizzano alcune aree del paese”.
L’iniziativa trova conforto anche in alcuni lavori di ricerca che mettono in luce l’effetto positivo delle attività extracurriculari sulla probabilità di rendere resilienti gli studenti provenienti da contesti svantaggiati.

Chi sono gli studenti resilienti?

In ambito educativo, vengono considerati “resilienti” gli studenti che ottengono risultati scolastici elevati anche provenendo da famiglie con un background socio economico svantaggiato. Nel panorama internazionale, sulla base dei dati Pisa 2012 (Programme for International Student Assessment), l’Italia ha una percentuale di resilienti che si attesta intorno al 6,4 per cento, in linea con la media dei paesi Ocse. La nota dolente è che, se si studia il fenomeno a livello regionale, si può osservare una notevole disparità tra le regioni del Nord e quelle del Sud.

Tabella 1 – Ripartizione regionale degli studenti resilienti e dei punteggi nei test Pisa di matematica.

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Fonte: Agasisti e Longobardi su dati Pisa 2012

Sebbene con disparità geografiche elevate, ci sono dunque studenti che riescono a emergere dal loro status sociale e a equipararsi a quelli provenienti da famiglie più agiate. Questi studenti possono rappresentare non tanto casi isolati o “storie di speranza”, ma esempi di migliori pratiche, a partire dai quali indagare sui fattori che agiscono da catalizzatori delle loro capacità.

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Fattori individuali e fattori scolastici

L’Ocse (2011) ha messo in luce l’importanza dei fattori attitudinali e personali, tuttavia alcune analisi econometriche, condotte sui dati italiani di Pisa, hanno permesso di evidenziare che sia il tempo dedicato alle attività extracurriculari sia il clima scolastico hanno una relazione statisticamente significativa con la probabilità che uno studente svantaggiato diventi “resiliente”.
In particolare, utilizzando un indice sintetico che misura la quantità di attività extracurriculari condotte a scuola (indice Excuract) si è osservato che gli studenti che frequentano scuole con un maggiore “carico” di ore extracurriculari hanno una probabilità di 1,4 volte superiore di diventare resilienti rispetto a uno studente con un simile background socio economico di partenza.
E se la letteratura tende a mostrare una scarsa relazione tra risorse delle scuole e risultati, ciò non sembra valere quando si focalizza l’attenzione sugli studenti svantaggiati. Infatti, questi ultimi hanno una probabilità maggiore di divenire “resilienti” quando frequentano scuole con risorse quantitativamente e qualitativamente migliori (anche questi due aspetti misurati dall’Ocse con indicatori ad hoc).
L’iniziativa promossa dal Miur sembra dunque trovare un riscontro in alcune analisi empiriche e in un filone della letteratura, che si sta sviluppando negli ultimi anni, relativo agli studenti “resilienti”. Si deve comunque sottolineare che la scuola può costituire uno strumento per favorire l’equità e il recupero sociale, ma di certo costituisce un ingranaggio di un meccanismo più grande, dove i tassi occupazionali e la capacità dei mercati del lavoro di assorbire i giovani in uscita dal ciclo scolastico giocano un ruolo fondamentale.
Restano poi aperte due questioni. La prima riguarda la risposta delle scuole al progetto del ministero. Dai primi dati sembra che la percentuale di istituti che vi hanno aderito sia inferiore alle attese, spingendo il ministero a prorogare l’apertura del bando.
La seconda, più ampia, riguarda i docenti e i dirigenti che lavorano nelle scuole “a rischio”. Chi è chiamato a svolgere questa professione in contesti molto complessi non solo andrebbe reclutato utilizzando criteri specifici (magari puntando sugli insegnanti con più esperienza o con una conoscenza più profonda del contesto locale) ma, soprattutto, andrebbe adeguatamente formato e incentivato in virtù dei carichi straordinari di lavoro che il (comunque difficile) mestiere del docente comporta nelle realtà disagiate.

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  1. rosario nicoletti

    La scuola ha rinunziato a fungere da ascensore sociale da quando ha garantito la promozione a tutti (capaci ed incapaci). Salire nella scala sociale – se trattasi di ciò e non l’ascesa con scorciatoie disoneste – richiede impegno, sacrificio, sudore. Tutto ciò che la scuola non pretende più da tempo.

  2. Mauro Palumbo

    Ringrazio gli Autori per questo contributo importante, nel dibattito sulla scuola si dimentica troppo spesso il suo ruolo di canale di mobilità sociale, che dipende ovviamente anche dall’impegno dei docenti, dalle relazioni della scuola con il territorio, dalla capacità di porre l’alunno al centro dei processi. La parte evitabile della riproduzione sociale (gli studenti migliori frequentano le scuole migliori ed hanno risultati migliori, con una profezia che si auto adempie) va coltivata adeguatamente, se vogliamo che la scuola sia strumento di promozione sociale per tutti.

  3. anna

    Salve. solo oggi posso leggere l’articolo e mi associo volentieri a Mauro Palumbo nel dire che si tratta di un contributo importante per i motivi citati. Purtroppo sono vere anche le considerazioni di Rosario Nicoletti . Credo che gli studenti resilienti probabilmente sono anche delle persone resilienti , autonome nel pensiero e quindi resistenti alle sirene delle facili scorciatoie. Forse sarebbe davvero venuto il momento di smitizzare pubblicamente l’uso e l’adesione acritica alle tecnologie, dell’apprendimento meccanico per prove ed errori, a favore della riflessione autonoma e curiosa su causalità e conseguenze di ogni cosa che si studia.. La scuola tuttavia rimane centrale, ma deve essere severa ed accattivante al tempo stesso, gli insegnanti ruvidi e affettuosi insieme.. e naturalmente preparatissimi. insomma il mestiere d’insegnante deve essere amato , ma anche sostenuto, è un vero investimento sociale di tutto guadagno. Ringrazio la voce per permettere la discussione anche su questi importantissimi temi.

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