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E la Germania torna a misurarsi col problema profughi​

Quali sono le conseguenze dei flussi migratori nei paesi di destinazione? Nella Germania del secondo dopoguerra i costi sono stati di breve periodo, mentre nel lungo hanno prevalso i benefici. Necessarie politiche migratorie fondate sul coordinamento e sulla vera cooperazione internazionale.

La crisi dei migranti

La “crisi dei migranti del 2015”, come è stata definita, ha visto l’arrivo in Europa di un milione di rifugiati e richiedenti asilo provenienti per l’80 per cento da paesi devastati da guerre prolungate (in particolare Siria, Afghanistan e Iraq). La gran parte ha fatto richiesta di asilo in Germania, che da sola ha accolto circa 500mila rifugiati nel 2015 (40 per cento siriani), un dato quintuplicato rispetto al 2014.
Un tale afflusso di persone rappresenta uno dei più grandi movimenti migratori della storia europea recente. In realtà, a livello globale c’è stata una crisi ben più ampia: l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) stima che nel 2015 ci siano stati più di 12 milioni di profughi nel mondo, forzati a emigrare a causa di conflitti o persecuzioni, e richiedenti asilo. L’86 per cento dei rifugiati è oggi ospitato in paesi quali il Kenya, la Turchia e il Libano. Molte di queste persone, però, avrebbero urgente bisogno di essere ricollocate in altri paesi.
L’Europa si muove, a fatica, verso una normativa comune per i richiedenti asilo, con la cancelliera tedesca, Angela Merkel, in prima linea su questo fronte. Al tempo stesso, però, l’Unione Europea continua a privilegiare misure atte a bloccare i movimenti migratori e dei rifugiati, delegando ad altri paesi situati nelle regioni più vicine alle zone di guerra la responsabilità per l’accoglienza (si pensi all’accordo con la Turchia).

Costi e benefici delle migrazioni

La questione dirimente, tuttavia, è quali sono i costi e i benefici dei flussi migratori, perché le apparenze (e le immagini mediatiche) a volte ingannano e le conseguenze dell’immigrazione possono confondersi con le sue stesse cause. Negli ultimi anni, le scienze economiche e sociali hanno fornito importanti contributi, a livello teorico ed empirico, per identificare le reali conseguenze dei movimenti migratori nei paesi di destinazione. Il rapido e inatteso afflusso di rifugiati può costituire una sorta di “esperimento naturale” dove è possibile isolare gli effetti causali dell’immigrazione sull’economia del paese ricevente.
In un recente lavoro due economisti tedeschi – Sebastian Till Braun e Henning Weber – hanno utilizzato questa strategia per stimare gli effetti di breve e di lungo periodo dell’afflusso in Germania Ovest, nell’immediato secondo dopoguerra, di 8 milioni di persone di origine tedesca, espulse dai territori dell’Est Europa e dall’Unione Sovietica. In quel contesto storico, il mercato del lavoro tedesco ha subito uno “shock” dovuto all’aumento repentino di forza lavoro offerta dai rifugiati, che non hanno potuto scegliere la regione di residenza, ma sono stati collocati principalmente in aree geografiche di confine. La rigorosa analisi economica mostra che l’arrivo dei rifugiati ha avuto effetti negativi di breve periodo per i lavoratori autoctoni, con un aumento contenuto della disoccupazione soprattutto nelle zone ad alta concentrazione di migranti. Gli effetti negativi, tuttavia, scompaiono nel giro di un decennio per poi diventare positivi, in termini di occupazione e crescita economica, nel lungo periodo. Come mostrano questa e molte altre analisi sul tema, ciò è dovuto da una parte al fatto che la nuova forza lavoro accresce la domanda di beni e servizi e quindi contribuisce a creare nuove opportunità di lavoro; dall’altra spinge i lavoratori (e gli imprenditori) autoctoni a spostarsi verso settori e occupazioni più remunerative, migliorando la loro condizione economica (anche grazie agli elementi di complementarietà fra lavoratori autoctoni e immigrati).
Il contributo interessante di questo lavoro storico, che offre un’analisi dinamica di lungo periodo, è sul fronte delle politiche: le simulazioni dei due economisti tedeschi mostrano che una distribuzione più “equa” dell’afflusso di rifugiati fra le diverse regioni del paese avrebbe di molto attenuato gli effetti negativi di breve periodo (che comunque sono dovuti alle dimensioni incomparabili dell’afflusso di rifugiati tedeschi all’epoca) e potenzialmente ridotto i tempi di aggiustamento del mercato del lavoro.
Appare dunque centrale il ruolo della politica nel gestire i movimenti migratori internazionali, anche quelli repentini e forzati da disastri naturali o conflitti. In particolare, sono necessarie politiche migratorie fondate sul coordinamento e sulla vera cooperazione internazionale, con una più equa ripartizione degli oneri derivanti da eventuali crisi dei rifugiati (fra i paesi ma anche all’interno dei paesi, a livello regionale per esempio) e misure più efficaci per aumentare i benefici mutui dei movimenti migratori. In tempi di crisi, economica e sociale, è più difficile essere lungimiranti, ma un’Europa storicamente ricca e solidale non può esimersi da questa responsabilità.

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12 commenti

  1. Emanuele

    Interessante articolo.

    “Gli effetti negativi, tuttavia, scompaiono nel giro di un decennio”: temo che il problema sia tutto li, nel fatto che un decennio è lunghissimo per coloro che sono impattati dal fenomeno, soprattutto in un contesto in cui l’unica entità in grado di tamponare i problemi temporanei, lo Stato, è visto come un nemico ideologico.

  2. Maurizio Cocucci

    Mi permetto di fare una precisazione in merito al numero dei rifugiati che sono arrivati nel 2015 in Germania: questi sono stati, secondo i dati del Ministero degli Interni del governo federale, circa 1,1 milioni che corrispondono a coloro che sono stati registrati ai posti di confine secondo la procedura Easy-Verfahren. Poi costoro dovrebbero presentare regolare domanda di asilo (Asylantrag) e nel 2015 il numero complessivo di queste domande è stato di 477.000 circa. La differenza è spiegabile per i tempi necessari a tale svolgimento.

  3. Bice

    Le osservazioni sull’importanza della politica e soprattutto sul bisogno di un coordinamento per la ripartizione degli oneri sono ragionevoli e condivisibili. Meno ragionevole mi sembra guardare al caso del “rimpatrio” di Tedeschi dall’Est nell’immediato dopoguerra (ex prigionieri di guerra, membri delle minoranze germanofone dell’URSS…) per immaginare le conseguenze a breve e a l.t. dei presenti flussi di profughi verso la Germania e non solo. I movimenti del secondo dopoguerra riguardavano (tantissime, e’ vero) persone che erano per certi versi “Tedeschi all’estero” (spesso per volonta’ non loro, e.g. i prigionieri di guerra e gli internati), minoranze tedesche a lungo isolate in Russia (ma ancora religiosamente e linguisticamente affini al Paese di destinazione), e simili. Era per molti aspetti un’immigrazione dalla diaspora. Questo sarebbe un buon termine di paragone se la Germania ora stesse ricevendo flussi di migranti dall’Alto Vallese o dall’Alto Adige! (Ed in effetti la Germania ancora incentiva l’immigrazione di Tedeschi dell’ex URSS, cosi come fa la Polonia.) I costi pro capite dell’integrazione (lingua, etc.) dei profughi germanofoni del dopoguerra erano relativamente bassi, anche se i numeri erano piu’ alti. Inoltre, il contesto economico generale (crescita o stagnazione nel Paese di destinazione) e’ molto diverso. Insomma, lo studio citato e’ un buono studio di storia, ma raramente la storia si ripete pari pari e trarne facili lezioni e’ fuorviante

    • Bice

      Un’ultima nota: si dovrebbe anche tenere conto, nell’analogia, della composizione per eta’ e soprattutto maschi/femmine. La mia stima nasometrica e’ che l’immigrazione dall’URSS riguardava piu’ spesso nuclei familiari, mentre la proporzione di uomini e minori (maschi soprattutto) non accompagnati sia maggiore nei flussi attuali.

  4. liliana palermo

    la differenza che non si mette in evidenza è che la Germania di allora accolse europei, con storie e cultura comuni, oggi accoglie africani, spesso con cultura totalmente diversa, quindi non si possono fare paragoni

    • Sara

      Davvero!
      Io non mi capacito perché questo aspetto venga puntualmente taciuto da riviste di qualità come lavoce.info
      Cecità accademica, propria di chi il mondo reale lo vede più che altro dallo schermo del computer su una scrivania, oppure omissioni volute?
      Sarebbe bello se l’autrice di questo articolo rispondesse a queste osservazioni.

      • mariapia mendola

        Non ci sono dubbi che fattori legati al contesto influenzino l’impatto dell’immigrazione.Il punto però non è comparare contesti o epoche diverse ma è verificare empiricamente il funzionamento del mercato del lavoro, ovvero l’interazione fra domanda e offerta (anche in tempi/contesti diversi).Tutte le analisi economiche dell’impatto dell’immigrazione tengono in considerazione variabili di contesto cosi come pure le caratteristiche individuali (quali età, istruzione, conoscenza della lingua) che eventualmente possono distinguere lavoratori immigrati e nativi. Una volta che si tiene conto di queste variabili, pressoché tutti i risultati empirici (in paesi e contesti diversi) sono coerenti con la teoria economica e con i risultati riportati nell’articolo. Più precisamente, rispetto ad altre analisi quella dei due ricercatori tedeschi mostra i risultati ‘peggiori’, ovvero effetti negativi nel breve periodo e tempi di aggiustamento lunghi un decennio. Questo può essere dovuto proprio al fatto che i rifugiati di allora avevano caratteristiche simili (troppo simili?!) rispetto ai lavoratori locali e che il flusso è stato particolarmente ampio. Oggi i flussi sono diversi e più ridotti ed infatti le stime mostrano che (in USA, Germania, Francia, Italia ecc.) l’impatto dell’immigrazione sul mercato del lavoro è piccolo o nullo per i lavoratori meno qualificati, mentre può creare opportunità positive per altri lavoratori, quali quelli più qualificati o donne lavoratrici per esempio.

    • Alberto

      L’analisi riportata nell’articolo è, a mio parare, non corretta e sono concorde con il suo intervento. Le condizione della Germania nel dopoguerra assolutamente diverse da quelle attuali: 1. Milioni di uomini morti in guerra e la forza lavoro, qualunque essa fosse necessità. Es. profughi dell’ ex Prussia che comunque erano di religione, cultura, scolarizzazione e lingua identica a quella Tedesca. 2. Un Paese devastato dalla guerra da ricostruire 3. Il piano Marshal e non esistevano le ristrettezze imposte dai vincoli di Maastricht 4. Non esisteva l’accoglienza attuale (ad es. di nullafacenti seduti su panchine chini sugli smartphone ) 5. Non esistevano i pericoli che la cronaca evidenzia ogni giorno che preoccupavano i cittadini e di cultura completamente diversa da quella teutonica. 6. La manodopera necessaria di basso valore aggiunto, oggi questa si trova nel IV mondo a costi irrisori. Il 60% dei cittadini etiopi è semianalfabeta, solo il 10% di quelli siriani è laureata e, a detta dei medici tedeschi, la loro preparazione (e non solo quella medica) non paragonabile agli standard tedeschi.

  5. Bike

    -gli effetti negativi scompaiono dopo un decennio

    Guardiamo in Francia cosa ha portato l’immigrazione di massa dagli anni 80′:
    Ghetti strapieni di gente disoccupata, senza prospettive e pronta a diventare un terrorista da un giorno all’altro.
    Parigi,Nizza, Reutlingen, Parigi 2,Parigi 3, Ansbach…

    Intanto l’industria del turismo è al collasso perchè i paesi multiculturali non sono sicuri e non ci va più nessuno.
    Chissà perchè quando si tratta di immigrazione tutti gli economisti minimizzano gli effetti negati o li ignorano completamente.
    Non me la prendo con gli immigrati e quindi è inutile giocare la carta dell’uccidi dibattito:razzismo. Me la prendo con chi fa ste politiche folli, i leader europei.

    • mariapia mendola

      L’integrazione degli immigrati nel mercato del lavoro è solo una parte del processo di integrazione degli immigrati nella società del paese di destinazione. Quest’ultimo è un processo più ampio e lungo che chiama in causa altri tipi di politiche – non strettamente legate al lavoro e che mirano ed evitare emarginazione o esclusione sociale – quali politiche abitative, di accesso ai servizi sociali e di partecipazione alla vita pubblica locale. Mischiare diversi aspetti di un processo ampio e complesso può generare confusione rispetto agli strumenti di politica utili a gestire in modo efficiente i flussi migratori.

  6. Bike

    Le università dovrebbero essere un luogo di scambio di idee. Qual è il valore di intellettuali che usano la censura verso opinioni divergenti?

  7. Andrea Dolci

    Credo che l’analisi basata sui numeri crudi porti a considerazioni positive sui flussi migratori ben gestiti. Mi domando però se non sia il caso di andare oltre a semplici calcoli economici e demografici. Ad esempio oggi la Merckel si trova in grossa difficoltà nei rapporti con Ankara a causa di oltre 3 milioni di citadini che incidentalmente si sentono un po’ più turchi che tedeschi. Lungi da me evocare certi discorsi populisti ma mi sembra che certi temi corrano il rischio di diventare importanti in un mondo sempre più complicato e attraversato dalla rinascita dei nazionalismi.

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