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Virginia Raggi le snobba ma le quote rosa servono

In un mondo ideale senza ostacoli per le carriere delle donne, le leggi sulle quote di genere sarebbero superflue. Ma nel mondo reale non solo sono necessarie per aumentare la presenza femminile nelle posizioni di vertice. Permettono spesso di ristabilire il criterio del merito, a beneficio di tutti.

Quante donne nei Cda

Le recenti dichiarazioni della sindaca di Roma hanno riaperto il dibattito sulle cosiddette “quote rosa”. La sindaca si dichiara contraria, sulla base di motivazioni non nuove: le quote sono misure per i “panda”, che rinchiudono la specie protetta in un recinto; sono inutili – tante donne hanno raggiunto posizioni apicali senza le quote; e sono offensive per le donne stesse, in quanto sanciscono l’impossibilità di raggiungere il vertice senza vincoli specifici.
Negli ultimi cinque anni ci sono stati in Italia diversi studi e nuove evidenze sugli effetti dell’introduzione sia nella politica sia nelle aziende delle quote di genere – si tratta infatti di quote che tutelano il genere meno rappresentato, quindi non necessariamente “rosa”.
Le quote di genere sono state introdotte nei consigli di amministrazione e collegi sindacali delle società quotate italiane dalla legge 120/2011, detta legge Golfo-Mosca. La quota è fissata per il primo rinnovo pari al 20 per cento e per i successivi due al 33 per cento. Si tratta di una misura temporanea, le quote sono obbligatorie solo per tre mandati. L’idea sottostante è che sia necessaria una misura choc, per rompere un equilibrio consolidato in cui i consigli di amministrazione erano quasi esclusivamente maschili.
La figura 1 mostra l’andamento lentissimo dell’evoluzione della presenza femminile nei Cda prima della legge, difficilmente modificabile senza una misura forte. D’altra parte, anche la Norvegia, paese all’avanguardia per tutte le statistiche di genere, ha introdotto una misura simile nel 2004. Grazie alle quote, la presenza delle donne è passata dal 6 all’attuale 30 per cento.

Un miglioramento generale

Ma non si tratta solo di un effetto numerico. Come mostrato dal progetto Women mean business and economic growth di Dondena Gender Initiative – Università Bocconi e dipartimento Pari opportunità – Presidenza del Consiglio dei ministri (qui, qui e qui), le quote determinano una vera e propria rivoluzione.
Ecco i risultati (i dettagli in “Gender quotas: Challenging the Boards, Performance and the Stock Market”, Dondena 92 e Cesifo 6084).

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1) Analizzando i 4627 curriculum vitae dei consiglieri e sindaci delle 245 società quotate italiane nel periodo 2007-2014, si identifica un rinnovamento complessivo dei consigli causato dalle quote, con un significativo aumento dell’istruzione (laurea e post-laurea) e una riduzione dell’età dei membri. Non ci sono variazioni significative dei consiglieri con legami familiari né di quelli presenti in più organi. L’analisi sulle caratteristiche dei membri entranti, uscenti e confermati permette di legare l’introduzione delle quote a un miglioramento nel meccanismo di selezione: i nuovi membri sono “migliori” degli uscenti.
2) L’analisi con variabili strumentali basata su dati di bilancio non identifica variazioni significative causate dalle quote nei risultati aziendali, considerando indicatori quali Roa, Tobin’s Q, produzione, profitti, numero di occupati. Il risultato è probabilmente dovuto all’orizzonte temporale limitato. Va comunque sottolineato che alcuni effetti negativi sul valore dell’azienda, trovati in Norvegia (http://qje.oxfordjournals.org/content/127/1/137.abstract) non appaiono confermati nel contesto italiano. Emerge inoltre una riduzione nella variabilità del prezzo delle azioni, in linea con la letteratura che suggerisce che le donne siano più avverse al rischio nelle decisioni finanziarie.
3) I mercati azionari premiano positivamente l’introduzione di quote e l’elezione di membri con più elevata istruzione e minore età.

Lo studio quindi fa emergere un effetto positivo e di rinnovamento dei consigli, che si riflette in risultati di mercato migliori. È possibile perché le quote di genere rompono un equilibrio in cui non necessariamente la selezione avveniva considerando tutta la platea delle competenze a disposizione – di fatto escludendo le donne.

Figura 1 – Percentuale di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate italiane, 1934-2016

Profeta

Anche l’introduzione di quote di genere in politica ha dato effetti benefici simili. Confrontando comuni che hanno votato con e senza quote di genere, si è identificato un aumento della qualità dei politici eletti (uomini compresi) dovuto alla presenza delle quote.
Questi studi mostrano che le quote di genere (anche temporanee), oltre a essere necessarie per aumentare la presenza femminile nelle posizioni apicali, possono spesso rappresentare uno strumento importante per rimuovere gli ostacoli a una sana competizione e ristabilire il criterio del merito con benefici per tutti.
Fermo restando che in un mondo ideale, in cui gli ostacoli per le carriere femminili non fossero così reali, non ci sarebbe bisogno di una forzatura.

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  1. Come sempre un’ottimo intervento Professoressa Profeta, grazie mille per tutto il lavoro di ricerca che fa su questi temi. Articoli come questo sono molto importanti anche per favorire una maggiore consapevolezza sulle opportunità presenti ed una minore auto-esclusione delle donne da certe carriere. Le donne che, pensando di non potercela fare, non investono nella professione quanto farebbero se invece pensassero di avere le stesse chance dei loro colleghi uomini. Gli aspetti dinamici, e quindi l’impatto che le quote rosa producono sull’incentivo ad investire in human capital, sono un’altra delle ragioni per cui le quote rosa aumentano l’efficienza. Inoltre vanno condannate quelle pratiche aziendali che non favoriscono la conciliazione lavoro e famiglia, altra causa di esclusione. Un semplice esempio che tristemente si osserva in molte aziende sono le riunioni tenute dopo le 17.00 del pomeriggio. cordiali saluti e grazie

  2. bob

    “Fermo restando che in un mondo ideale, in cui gli ostacoli per le carriere femminili non fossero così reali, non ci sarebbe bisogno di una forzatura.” Infatti ! Cara professoressa non serve un mondo ideale e neanche un mondo diviso per quote basterebbe un ” mondo premiale” e aggiungerei un concetto nuovo di economia che ormai serve come il pane se non vogliamo auto- distruggerci. Al pensiero di imporre delle quote mi viene subito in mente chi decide quella percentuale e con quali modalità, la ritengo una discriminazione in termini peggiore della situazione attuale. Cosa è la donna per essere scelta di entrare nel “recinto” una extraterrestre? La libertà e il merito arrischiscono la democrazia ecco perchè una nuova economia deve tener conto con massimo valore aggiunto ” ..la conciliazione di lavoro e famiglia”. Dovrebbe essere cosa civile e acquisita

  3. M P

    Mi è capitato più volte di leggere articoli della prof. Profeta che apprezzo per il suo lavoro. Questa volta, però, devo dissentire dall’esaltazione delle quote rosa soprattutto se applicate al mondo della politica, perché ritengo che ogni cittadino abbia diritto di esprimere un voto per “tentare” di scegliere una persona che meriti la sua fiducia (dico tentare perché con l’attuale legge elettorale…). Ma lo stesso discorso va applicato anche nel mondo imprenditoriale, perché a ogni imprenditore va garantito il diritto di scegliere i propri dipendenti e collaboratori sulla base di criteri meritocratici. E’ sorprendente vedere come, da un lato, si tenda ad esaltare la meritocrazia e, dall’altra, si parli di quote. Purtroppo, a me viene da pensare che, dietro la promozione di un sistema di scelta basato sulle quote (rosa, gialle, rosse…), al di là dei criteri illustrati da una studiosa come la Professoressa, si possa nascondere solo l’intenzione di alcuni di garantirsi visibilità o di consolidare il potere politico.

  4. M P

    Rimanendo nell’ambito della politica e delle cariche elettive, credo che, meglio delle quote rosa, si potrebbero ottenere risultati più soddisfacentise coloro che occupano tali cariche (senatore, deputato, sindaco, consigliere regionale ecc.) non fossero rieleggibili, non fossero immediatamente rieleggibili, o lo fossero per un solo mandato.

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