L’Unione Europea ha da tempo un registro dei lobbisti, che indica le regole per svolgere l’attività e prevede l’adesione a un codice di condotta. Per superare alcune lacune si prepara ora una sua riforma. Che potrebbe essere di ispirazione anche in Italia, dove manca una normativa sulle lobby.

Regole europee per le lobby

Sempre più spesso, quando si sente parlare di Europa, si sente parlare di istituzioni “assediate” da potenti lobbisti che decidono, dietro porte chiuse, le sorti di 500 milioni di cittadini europei. In parte è un assunto corretto: un recente rapporto di Transparency International stima che a Bruxelles, sede delle istituzioni europee, siano attivi oltre 26mila lobbisti. Quello che spesso si omette, però, è che tra di loro troviamo non solo i rappresentanti di interessi economicamente forti, come Goldman Sachs o Microsoft, ma anche gruppi che rappresentano le persone che soffrono di autismo o che si battono per i diritti degli animali. Insomma, non solo interessi privati, ma anche quelli della società civile. Nelle discussioni sull’attività di lobbying, poi, si tralascia spesso di sottolineare il fatto che le istituzioni europee, in seguito a un processo iniziato nel 1995, si siano dotate di un registro indirizzato a chi vuole influenzare il processo decisionale. Se ne parla poco, ma il sistema, noto come EU Transparency Register, è riconosciuto come uno dei più completi e ambiziosi, soprattutto se il confronto è con le legislazioni nazionali dove, a parte alcune eccezioni, non sono presenti normative che disciplinano l’attività di lobbying. Il registro europeo (facilmente consultabile online da qualsiasi cittadino) conta quasi 10mila iscritti e prevede che i lobbisti elenchino gli interessi che rappresentano, i dossier a cui sono interessati e le risorse impiegate nella loro attività, concepita come l’insieme delle azioni svolte allo scopo di influenzare direttamente o indirettamente le politiche della UE (incontri con i decisori pubblici, invio di position papers, partecipazione a consultazioni o audizioni pubbliche, elaborazione di campagne di comunicazione). Chi si iscrive al registro si assoggetta a un codice di condotta. Insomma, parliamo di uno strumento che contribuisce a rendere trasparente il processo decisionale e fa chiarezza su chi sono i famosi lobbisti che “assediano” le istituzioni. Tuttavia, il registro presenta alcune falle, principalmente tre. Primo, mancano veri incentivi per iscriversi: ad esempio, anche se non iscritto al registro, un lobbista può tranquillamente fissare un appuntamento con un deputato europeo. In secondo luogo, il Consiglio dell’UE, l’istituzione europea che rappresenta gli stati membri e gioca un ruolo chiave nel processo decisionale, non aderisce al registro. Manca poi un controllo sistematico sulle informazioni contenute nel registro, non sempre aggiornate ed esaustive (Commissione e Parlamento non hanno dedicato sufficiente personale a questo scopo). Per ovviare alle criticità, la Commissione europea ha quindi deciso di presentare una nuova proposta e le modifiche indicate sembrano equilibrate. La possibilità di incontrare deputati europei, commissari e alti funzionari viene subordinata all’iscrizione al registro, che diventa di fatto obbligatorio anche per partecipare alle audizioni parlamentari. Insomma, più incentivi che con tutta probabilità faranno aumentare il numero di iscritti. In secondo luogo, la proposta allarga il registro agli alti funzionari del Consiglio e ai rappresentanti dello stato membro che ha la presidenza di turno. Viene introdotto un segretariato incaricato di monitorare il contenuto del registro, avviare investigazioni e, se necessario, sospendere o revocare la registrazione, negando così di fatto al lobbista sospeso o revocato l’accesso ai decisori.

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Opportunità per l’Italia

La discussione che si aprirà sulla proposta rappresenta sicuramente un’importante opportunità di riflessione per l’Italia. Nel nostro paese manca una regolamentazione dell’attività di lobbying, mentre si susseguono gli scandali che riguardano politici e faccendieri, non da ultimo quello che ha portato alle dimissioni della ministra dello Sviluppo economico Federica Guidi. Proprio il caso Guidi ha spinto il ministero a fare un primo passo verso la trasparenza, istituendo un registro per i portatori di interesse (online da settembre). Sicuramente è un passo in avanti, ma il fatto stesso che il registro riguardi un solo ministero fa capire quanto l’iniziativa sia isolata e poco condivisa. Così come il numero di soggetti registrati (solo 167) e la presenza di informazioni quantomeno approssimative dimostrano che i margini di miglioramento sono ampi. Un impegno condiviso verso una maggiore trasparenza del processo decisionale sarebbe un apprezzabile segnale per riavvicinare i cittadini alle istituzioni. Allo stesso tempo, porterebbe a una maggiore professionalizzazione della figura del lobbista, accentuando notevolmente la distinzione tra professionisti veri e faccendieri improvvisati.

 

 

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