Lavoce.info

Se la Garanzia giovani diventa un servizio civile

Forse perché la Garanzia giovani si profila come un insuccesso annunciato, il Governo sembra volerla trasformare in una forma di servizio civile per giovani disoccupati. Le esperienze internazionali non sono però incoraggianti. Centri per l’impiego e necessità di servizi diversi per target diversi.

I RISCHI DELLA GARANZIA GIOVANI

La Garanzia giovani sperimenta notevoli difficoltà, per una ragione molto semplice: se il lavoro non c’è, non sono certo i soldi dell’iniziativa a crearlo. Al massimo i finanziamenti europei possono lenire la disoccupazione da mismatch: ovvero quella dovuta al fatto che i giovani non sanno dove si trovano le occasioni di lavoro oppure non hanno le “giuste” competenze per essere occupati dalle imprese. In questi casi, i centri per l’impiego indirizzano il giovane oppure gli forniscono un breve corso di formazione mirata, cosicché troverà prima e meglio un posto di lavoro.
Tuttavia, la disoccupazione da mismatch, benché sia parte importante del totale, non è tutto: oggi si tende a pensare che la maggior parte della disoccupazione sia dovuta alla bassa domanda delle imprese e al loro timore dell’incertezza. È per questo che alcuni sostengono che forse sarebbe stato meglio avere gli stessi soldi della Garanzia giovani sotto forma di riduzione del cuneo fiscale e contributivo: almeno si aveva una certezza di aumentare la domanda di lavoro. Ma ormai il dado è tratto, la Garanzia giovani è una politica europea e bisogna sfruttarne al meglio le opportunità. Tuttavia, poiché non è stata avviata una seria riforma dei centri per l’impiego e delle politiche attive (in attesa dei decreti attuativi del disegno legge n. 1428/2014), corriamo ora il rischio che la Garanzia giovani non sia neppure in grado di ridurre la disoccupazione da mismatch. Il programma è in mano alle Regioni che procederanno con sistemi distinti e privi di un vero coordinamento e controllo. L’unica nota sicuramente positiva è che è prevista la mobilità regionale, cioè la possibilità per i giovani residenti in una Regione di riferirsi ai servizi di un’altra.

L’OPZIONE SERVIZIO CIVILE

Forse consapevole del rischio di andare verso un “fallimento”, il Governo sembra voler ricorrere al servizio civilee ai posti di lavoro sussidiati: lo Stato può finanziare borse di lavoro, favorire esperienze lavorative nel settore pubblico e, forse, anche nel privato. Se la Garanzia giovani servirà a questo invece che a potenziare i servizi all’impiego e le politiche attive, è utile sapere alcune cose tratte dall’esperienza internazionale.
La Garanzia giovani non è il primo programma di questo tipo messo in atto e sulle politiche attive esiste una letteratura assai vasta. Forse il programma più famoso simile alla Garanzia giovani è il New Deal for young people realizzato nel Regno Unito durante il Governo Blair. I giovani avevano quattro possibilità: un lavoro nel settore privato sussidiato; un corso di formazione a tempo pieno; un lavoro nel servizio civile volontario (spesso nel settore dei servizi alla persona) o nelle enviroment task forces (per di più lavori manuali). Le ultime due opzioni riguardavano lavori nel settore pubblico o para-pubblico e hanno ottenuto risultati occupazionali negativi: i giovani hanno migliorato le loro opportunità di occupazione solo nel primo caso, i posti di lavoro nel settore privato. (1) Per di più, in indagini apposite sul grado di soddisfazione personale, i giovani hanno dichiarato di non essere affatto soddisfatti del servizio civile pubblico e di non farlo volentieri.
Anche nei paesi scandinavi, i programmi di creazione diretta di lavoro nel settore pubblico risultano tutt’altro che efficaci ed efficienti nel collocare le persone nel mercato del lavoro. (2)
Un altro paese di riferimento in questo campo è la Germania, dove gli schemi di creazione diretta del lavoro, i Job Creation Schemes, sono stati i veri protagonisti negli anni post-riunificazione (il confronto con Garanzia giovani è quindi da prendersi con le pinze sia per il tempo trascorso sia per l’eccezionalità dell’evento storico). (3)
Marco Caliendo, Steffen Künn e Ricarda Schmidl nel 2011, attraverso l’analisi di un ricco database, concludono che gli esiti occupazionali nel medio periodo sono “pessimi”. Non mancano, poi, fenomeni di spiazzamento per i giovani più istruiti, cosicché in media hanno più chance occupazionali coloro che non hanno partecipato ai programmi, si presume perché impegnati da più tempo nella ricerca di un lavoro coerente con le loro competenze. (4)

Leggi anche:  Nascite: è il lavoro delle donne a fare la differenza

LA CREAZIONE DI LAVORO ATTRAVERSO IL TARGETING

Se proprio dobbiamo prevedere l’opzione di un servizio civile, sarebbe meglio indirizzarlo verso i giovani con una disoccupazione di lungo periodo, con bassa istruzione o che abbiano intrapreso un percorso scolastico in linea o più o meno coerente con le opportunità offerte dal lavoro sussidiato. In questo caso, i giovani impareranno almeno a comportarsi bene all’interno di un’organizzazione. Impareranno che ogni struttura complessa ha una propria dimensione gerarchica e funzionale di divisione del lavoro, tempi prestabiliti ai quali bisogna adeguarsi e così via discorrendo. Accanto alla positiva formazione ricavata da un’esperienza di lavoro generica, i giovani avranno la possibilità di allargare il proprio network lavorativo al di là di quello che la loro famiglia e i loro amici consentono.
Ai giovani più istruiti è necessario assicurare, su tutto il territorio nazionale, la possibilità di realizzare programmi di mobilità occupazionale (anche attraverso Euros), formazione non vocazionale (ma orientata esclusivamente all’aggiornamento professionale), servizi per l’impiego e programmi di auto-impiego e auto-imprenditorialità.
Analogamente a quanto sperimentato in Germania e Svizzera, si dovrebbe pertanto allocare i giovani in target diversi a cui associare “pacchetti” ben definiti. Molto dipenderà dal processodi profiling del giovane che sostiene il colloquio per la Garanzia giovani. Ma qui torniamo al punto di partenza: per dare servizi mirati ai giovani, serve un sistema di centri dell’impiego minimamente efficiente e un coordinamento sul territorio nazionale. Se non si investe su questo, l’attuazione della Garanzia giovani in venti modelli regionali diversi sarà tutt’altro che facile da realizzare.

 

(1) Dorsett, R. (2006): “The new deal for young people: effect on the labor market status of young men”, Labor Economics, 13, 405–422.
(2) Si veda Kluve J., (2009), “Le politiche attive del lavoro in Europa: una rassegna”, in Cantalupi M. e Demurtas M. (a cura di), Politiche attive del lavoro, servizi per l’impiego e valutazione, Il Mulino, Bologna. Da pagina 46 a 49.
(3) Descrizione del programma: opportunità di lavoro in settori di pubblico interesse, ad esempio infrastrutture e lavoro sociale all’interno del settore pubblico, para-pubblico o privato sovvenzionato. È prevista una bassa remunerazione paragonabile a una cifra leggermente superiore al sussidio di disoccupazione e il programma non può durare più di dodici mesi. L’eventuale formazione è vincolata al tipo di lavoro (in caso contrario non viene rimborsata) e sono previsti incentivi ai privati per una eventuale successiva stabilizzazione.
(4) Caliendo M., Künn S., Schmidl R. (2011), “Fighting Youth Unemployment: The Effects of Active Labor Market Policies”, IZA DP No. 6222, December (www.iza.org).

Leggi anche:  Bilancio positivo per l'occupazione nel 2023

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Un primo maggio dai bersagli sbagliati

Precedente

Donne sull’orlo di una crisi di competizione

Successivo

I comuni e la trappola dei costi standard

14 commenti

  1. Se il tasso di disoccupazione giovanile è sopra il 40%, mentre il tasso generale è di tre volte inferiore, mi sembra che la differenza non possa essere spiegata con il difetto di domanda. La differenza nasce presumibilmente da un gravissimo difetto dei servizi di orientamento scolastico e professionale offerti ai ragazzi italiani.

    • Gianni Valerio

      Se non è dovuta alla mancanza di domanda com’è che fino alla crisi questa differenza tra disoccupazione giovanile e disoccupazione generale era niente rispetto ad oggi? Forse i servizi di orientamento scolastico e professionale hanno smesso tutti insieme di funzionare, tutti allo stesso momento, caso strano proprio in coincidenza della crisi?

    • Marco Leonardi

      Grazie Ichino del commento. Trovare una sola causa del divario di disoccupazione mi sembra difficile e forse inutile. Mi sembra che ci siano tre ragioni: mismatch, transizioni scuola-lavoro e domanda. Transizione scuola-lavoro è certo una spiegazione strutturale del divario, ma Garanzia Giovani può fare poco per curarla. Il calo della domanda può avere un effetto particolarmente negativo in Italia perché interagisce con contratti a termine in scadenza per i giovani e cassa integrazione che invece protegge gli anziani. Non saprei in che proporzioni queste tre diverse ragioni possono contare per spiegare l’aumento repentino del divario di disoccupazione giovani-anziani. Se qualcuno trova un lavoro serio su questo me lo indichi per favore.
      La garanzia giovani cura solo il mismatch tra tutte le possibili combinazioni di spiegazioni. Mi sembra che l’esperienza inglese del servizio civile sia molto interessante ai nostri fini. Attenzione che il servizio civile sembra una buona idea (tanto più che è ovviamente difficile piazzare al lavoro più di 100,000 giovani iscritti al programma Garanzia) ma è molto improbabile che aiuti i giovani a diventare più occupabili, tanto è vero che gli stessi giovani si dichiarano poi insoddisfatti dell’esperienza.

  2. Francesco Giubileo

    Vero, ma in Italia abbiamo il più alto tasso di “forza lavoro potenziale” (disoccupati scoraggiati), un terzo del totale in tutta Europa e tre volte la media Europea. In realtà, il tasso di disoccupazione italiano è almeno il doppio di quello ufficiale (pochi incentivi per Over 30 di registrarsi come disoccupati e comunque poco incentivati alla ricerca di un lavoro). I giovani sono una categorie particolare che con il tempo e con gli anni se non trova lavoro passa negli inattivi. Difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro per tutti, ancora di più per Over 45!, conflitto tra tutelati/atipici mai così elevato, curva di Beveridge mai così brutta per l’Italia, rapporto Avviamenti/cessati spesso nasconde fenomeni ciclici (si crea lavoro quanto se né distrugge e spesso cambiano i lavoratori, ma non il lavoro !) . Sì, la situazione del paese è molto seria e non sarà certo una delega al privato, qualche ora di orientamento, un banale corso di formazione o il servizio civile ad aiutare i giovani nel mercato del lavoro. Questi sistemi, senza interventi macro-economici (che ignoro quali possano essere) non funzioneranno, perché accompagnano e non possono sostituire la domanda di lavoro.

  3. DDPP

    Se la soluzione proposta ai disoccupati è di far far loro un servizio civile coatto, perchè fermarsi a queste mezze misure e non migliorare la proposta integrandola con nuovi istituti, ad esempio:due anni di carcere; quattro anni di esilio in Africa; donazione coatta degli organi.

    • giuseppe

      No il carcere no …. il resto sì, soprattutto per i giovani …. gli si darebbe una possibilità per ritrovare la posizione eretta

  4. Giannoni Alberto

    Una domanda per il Dott.Ichino: come mai anche negli altri paesi, a parte Germania e pochi altri, è esplosa la disoccupazione giovanile? Vale anche per gli altri paesi la spiegazione fornita sull’orientamento?
    Io credo che i motivi che hanno prodotto questa situazione durante la crisi abbiano motivazioni sicuramente più complesse e articolate di quelle che vogliono farci credere.

  5. Maurizio Serafin

    Al solito i fattori sono tanti, e non escluderei affatto la flessione della domanda almeno in questa fase, ma aggiungerei fra gli altri anche la crisi profonda degli “irriformati(bili)” sistemi di istruzione (scuola e università), con disinvestimento in capitale umano e risorse scarse destinate al diritto allo studio: in controtendenza con gli altri paesi occidentali siamo i soli che vedono in periodo di crisi non dimimuire sensibilmente la dispersione scolastica e addirittura ridursi gli iscritti all’università. Chiaro che i dati sull’occupazione giovanile siano molto sensibili alla riduzione del numero degli studenti visto che il numero degli attivi (il denominatore) è comunque ridotto rispetto agli adulti

  6. Cosimo Martella

    (1)Quando le cose vanno bene tutti vogliono prendersi il merito, quando invece vanno male, ognuno cerca di addossare la colpa agli altri. Il mese di ottobre u.s., ho letto un articolo in cui si ipotizzava una desertificazione industriale dell’Italia: ““Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale in soli vent’anni in una condizione di desertificazione economica,..”
    (fonte: http://www.investireoggi.it/economia/litalia-e-giunta-al-capolinea-per-la-london-school-of-economics/)
    Articolo pienamente condivisibile, alla luce di tutto quello che sta succedendo. Se è vero che Il futuro dipende da noi dobbiamo essere noi stessi a costruircelo. Eravamo convinti che ci avrebbe pensato la nostra classe politico-dirigenziale ma così non è stato. In un mondo globalizzato non è facile governare le politiche economiche e, a maggior ragione, il mercato del lavoro.
    Probabilmente occorrerà riscrivere e/o annullare molte di quelle norme e leggi sia nazionali che internazionali in materia economica. Sono in molti a pensare che la principale causa della crisi è stato il predominare della finanza sulla politica, che ha anteposto il guadagno a tutti i costi a discapito del lavoro e della persona.

  7. Cosimo Martella

    (2)Sarebbe opportuno rimettere al primo posto il lavoro e la persona e puntare di nuovo sull’economia reale e non a quella fittizia altrimenti non ci sarà futuro ( nemmeno per la finanza).
    Non deve essere la finanza padrona della moneta ma la politica. Solo se la politica si rimpossessa della moneta forse si potrebbe interrompere questo ciclo vizioso che ci sta portando verso il fallimento totale.
    La moneta non deve essere uno strumento di speculazione delle banche ma uno strumento in mano alla politica che lo deve utilizzare solo per agevolare lo scambio di beni e di servizi tra la popolazione e, questo strumento, dovrebbe essere teoricamente a costo zero per lo Stato.
    Finché saranno le Banche a prestare i soldi alla politica ( e non lo fanno di certo a costo zero), qualsiasi Stato non avrà la possibilità di avere un valido strumento per governare le politiche economiche e, aiutare le aziende. Se già rimane difficile per lo Stato avere credito dalle Banche, figuriamoci quant’è difficile per le aziende ricevere soldi dalla Banche.
    Il debito è come il cancro, è difficile estirparlo. Il debito, specialmente quello nostro, con tutti gli interessi passivi, genera altro debito e così via.
    Se vogliamo che nel futuro l’Italia non sia una Nazione malata terminale (economicamente) occorre trovare oggi la giusta terapia.
    E’ illusorio pensare che tanti giovani risultano disoccupati perché privi di competenze spendibili nel mercato del lavoro. Ci sono anche molti giovani competenti che continuano a rimanere disoccupati.

  8. Cosimo Martella

    (3) Penso che se non s’interviene sul costo del lavoro, tutte le misure che saranno messe in campo avranno solo effetti palliativi e non risolutivi del problema disoccupazione.
    Urge indagare per capire il perché le nostre aziende stiano morendo con conseguente sparizione di migliaia di posti di lavoro. Non penso sia un problema d’incapacità dei nostri imprenditori o del nostro sistema di formazione. Sarà senz’altro colpa del basso costo della manodopera (uguale basso costo dei prodotti) nei paesi emergenti; sarà colpa del fatto che non tutte le nostre aziende, nel corso degli anni hanno investito nella ricerca; sarà pure colpa del fatto che anche tante nostre aziende considerate “sane” hanno delocalizzato la loro attività produttiva e che così facendo, i loro prodotti vanno ad aggiungersi tra quelli importati in Italia. Sappiamo benissimo che le importazioni (cos’ì come le rimesse dei migranti presenti in Italia) non creano ricchezza e/o occupazione. Speriamo che a qualche economista venga in mente un algoritmo per la soluzione del problema lavoro magari utilizzando i seguenti dati:
    Importazione=disoccupazione; esportazione=occupazione; occupazione=consumo; consumo=produzione;produzione=occupazione;occupazione=lavoro;basso costo del lavoro=occupazione;alto costo del lavoro=disoccupazione;lavoro=ricchezza reale e non fittizia; ricchezza reale=moneta; moneta=carburante per il motore dell’economia.

  9. Gianni Valerio

    “Per di più, in indagini apposite sul grado di soddisfazione personale, i giovani hanno dichiarato di non essere affatto soddisfatti del servizio civile pubblico e di non farlo volentieri.”
    Si può sapere quali sono queste indagini? Perchè esistono invece indagini che sostengono l’esatto contrario. Potete citare le fonti per favore?

  10. sandro urbani

    Non è questione di pochi o mancati o sbagliati studi, è che l’imprenditore medio italiano tra un laureato e un non qualificato preferisce assumere il secondo: lo paga di meno e ha meno pretese con buona pace di quanti, non troppi anni fa, prospettavano addirittura una carenza di laureati

  11. Vincenzo Tondolo

    La domanda del lavoro italiana si svolge attraverso canali informali e non strutturati nella misura di oltre l’85%. E’ facile desumere quindi la maniera tutta nostrana di effettuare le selezioni di personale. Certamente non in base alle competenze! Nell’articolo viene riportato che “non è stata avviata una seria riforma dei centri per l’impiego e delle politiche attive”. Da dipendente e responsabile di uno di questi Centri per l’Impiego Pubblici (CIP) confermo e sottoscrivo. Mi e vi chiedo: ma con questa classe di dirigenza pubblica (provinciale in tutti i sensi) è mai ipotizzabile una seria riforma della Pubblica Amministrazione, in termini soprattutto di efficacia (raggiungimento degli obiettivi) e quindi di efficienza (rapporto costi/risultati)? Purtroppo si continua a fare confronti con altri paesi europei senza mai tenere conto delle specificità (patologie) italiane.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén