Siamo a un passaggio cruciale delle politiche contro la povertà in Italia. Se il Piano nazionale non sarà formulato in modo da evitare la continua frammentazione categoriale, il reddito di inclusione diventerà l’ennesima tessera di un assemblaggio casuale di trasferimenti di reddito, inefficiente e iniquo.
Un passaggio cruciale
Nelle prossime settimane si deciderà del futuro delle politiche contro la povertà in Italia. Dovrebbe infatti concludersi la discussione parlamentare sulla legge delega sul reddito di inclusione e dovrà essere definito il Piano nazionale contro la povertà, con i suoi effetti anche sulla legge di bilancio del prossimo anno. È un passaggio difficile e per nulla scontato nei suoi esiti, come avverte anche il Rapporto Caritas sulla povertà in Italia presentato ieri, sotto il titolo significativo “Non fermate la riforma”. Le discussioni di questi giorni sul Documento di economia e finanza, in particolare sulla solidità delle coperture per le spese previste, unitamente alle molte promesse fatte nelle ultime settimane a diverse categorie, in primo luogo i pensionati, possono far temere che, nel migliore dei casi, la positiva rottura nella lunga tradizione italiana di assenza di una misura di sostegno a chi si trova in povertà, operata, nella legge di stabilità dello scorso anno, con l’approvazione della delega al governo per una riforma organica del sistema di assistenza sociale, si blocchi indefinitamente alla fase uno: alla introduzione di un modestissimo sostegno al reddito per una frazione soltanto dei poveri assoluti. Gli stessi cui in questo scorcio d’anno è destinato il Sia (sostegno per l’inclusione attiva): le famiglie con minori, o con persona disabile, o con una donna incinta. Come per il Sia, per altro, le risorse – un miliardo all’anno – attualmente stanziate per il reddito di inclusione a regime, il Rei appunto, sono largamente al di sotto del necessario non solo per garantire un reddito minimo adeguato (con il Sia una famiglia di cinque persone con un Isee di 3000 euro riceve 400 euro al mese), ma anche per coprire tutti coloro che pure hanno le caratteristiche del sottogruppo di poveri assoluti individuato come prioritariamente meritevole di sostegno. Secondo alcune stime, che tengono conto delle promesse del governo di aumentare lo stanziamento previsto, oltre che di unificare alcune misure assistenziali oggi in essere (il Sia, ma anche l’assicurazione per i disoccupati poveri che hanno perso il diritto all’indennità di disoccupazione e la vecchia carta acquisti di 40 euro al mese), si potrebbe arrivare a 2 miliardi, cinque in meno di quelli necessari a offrire un sostegno a tutti i 4 milioni e 600 milioni individui in povertà.
Gradualità e risorse
Non è scandaloso che si proceda per tappe, partendo da chi si ritiene sia in maggior condizione di bisogno per poi progressivamente allargare il sostegno a tutti coloro che si trovano in povertà assoluta. La gradualità può consentire di verificare eventuali criticità nella governance della misura, sia sul piano amministrativo sia su quello, delicatissimo e cruciale, delle misure di accompagnamento. Queste non possono essere lasciate alla estemporaneità più o meno ingegnosa e volenterosa vuoi degli assistenti sociali, vuoi dei soggetti del terzo settore. Per essere efficaci nel sostenere processi di inclusione e di uscita dalla povertà, richiedono competenze negli operatori e creazione di collaborazioni tra diversi soggetti pubblici e privati a livello locale. Già ora l’attuazione del Sia sta mostrando diverse criticità a tutti i livelli, con il rischio sia di non riuscire a spendere tutti i fondi disponibili pur in presenza di tassi di povertà elevati, sia di creare sfiducia (o cinismo) per mancanza di occasioni serie di inclusione e sviluppo delle proprie capacità. Ma perché questa prima fase sia, appunto, un primo passo verso una misura compiuta, che riguardi tutti coloro che si trovano in povertà, occorre che sia programmata come tale: con obiettivi e scadenze temporali chiare, che abbiano effetti sugli impegni di spesa per gli anni a venire (quindi entrino in un piano di priorità) e anche sulle azioni che si svolgono per mettere i territori in condizioni di svolgere con efficacia il loro compito. Appunto il Piano nazionale di contrasto alla povertà. Proprio di questo piano e di questi impegni non si vede, per ora, alcun segno. La delega parla vagamente di aumento degli stanziamenti “man mano che si libereranno in seguito alla riforma dell’assistenza”. In primo luogo, non si capisce perché i fondi debbano venire solo dal già risicatissimo bilancio dell’assistenza. Ottimo razionalizzare e rendere più equa l’attuale spesa assistenziale, ma non può bastare. Inoltre, proprio alcune promesse fatte in queste settimane dal governo vanno nella direzione opposta, non in un’ottica di razionalizzazione e di equità, bensì nella vecchia logica tutta italiana della frammentazione categoriale. È il caso di molte misure (quattordicesima e sua estensione, costo a carico del bilancio dello stato per l’anticipo della pensione per le pensioni basse) che aumentano di fatto la spesa assistenziale, ma solo per una limitata categoria e con criteri del tutto dissimili da quelli adottati per il Sia e in futuro il Rei: reddito personale e non Isee, soglia molto più alta, per citare le due più macroscopiche differenze.
Se il Piano nazionale contro la povertà non sarà formulato in modo da evitare questa continua frammentazione categoriale, il Rei, anziché rappresentare il pezzo mancante del welfare state italiano, diventerà un ennesimo frammento non di un puzzle (perché manca un disegno organico e compiuto in cui tutto si incastri), ma di un assemblaggio casuale di trasferimenti di reddito, inefficiente e talvolta produttore di iniquità. C’è ancora tempo perché ciò non avvenga, ma non può essere perso.
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Enzo Michelangeli
L’unico piano che puo’ ridurre la poverta’ e’ uno che faccia ripartire l’economia, e questo richiede uno stato piu’ snello ed efficiente, taglio alle tasse su lavoro e imprese, e riduzione della spesa improduttiva. Ma di questo non parla mai nessuno, perche’ non fa prendere voti: per cui il declino del paese continuera’ indisturbato.
bob
attenzione che è fuorviante pensare che il marcio sia solo nei politici, il marcio è nella cultura che questo Paese si porta dietro da 50 anni. Se ti presenti da sindaco e esponi un programma non sarai mai votato se prometti posti inutili e fittizi prendi una valanga di voti. Questo è il Paese di Masaniello non dimentichiamocelo
Un Paese abortito!
fatti neri
ha perfettamente anticipato gli effetti di questa ultima manovra finanziaria a firma pd-renzi-padoan,,,uno scandalo, l’ennesimo, di spreco di risorse pubbliche per ottenere voti. se dal suo insediamento renzi avesse ridotto il cuneo fiscale ora i dipendenti avrebbero una busta paga più pesante e chi assume minori costi con ovvia diminuzione della disoccupazione invece,,, hanno creato il PRECARIATO ETERNO CON I VOUCHER
fatti neri
sig.ra saraceno leggo una visione a senso unico errata dalle fondamenta: si nasconde dietro la coperta finanziaria che non copre mai tutti quando i fatti sono che manca una politica d’impresa espansiva volta a defiscalizzare ergo cuneo fiscale e irpef. il nostro paese in nome di una “decrescita”, impossibile da fare per le generazioni in corso, annunciata come la soluzione a tutti i mali sta aumentando l’iva e perdendo aziende con posti di lavoro sul’onda della visione “globalizzante” (a parte per ciò che producono i tedeschi) dello scambio commerciale che porta a scemare i salari dei lavoratori insieme ai diritti che al contrario le sue generazioni si sono tenuti ben stretti insieme ai privilegi, vitalizi in primis che sono stati solo tassati dal governo monti. per la dispersione a pioggia dei danari pubblici possiamo elencarne mille rivoli per mille fini in italia, sia per follie nostrane che per “induzione” europeista presente con due sedi gemelle simbolo di sperpero. presto questa avanzerà sul terreno militare esgigendo BOND in quota procapite dei paesi ue per adeguare la tecnologia europea ai più moderni armamenti di usa-russia-cina, al fine di partorire una difesa comune.ha senso ragionare solo del nostro orticello quando la politica ai contadini cottarelli ha segato le gambe pagandoli però profumatamente? è ora di trattare il tema includendo tutti gli italiani senza lavoro oggi e pensione domani, invece di fare i buonisti verso terzi mascherati da rifugiati. saluti