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È più a rischio l’Italia o la Spagna?

Il grafico mostra lo spread tra Btp e Bonos, ossia il differenziale tra il rendimento dei titoli di stato italiani e quello dei titoli spagnoli e rappresenta una misura della fiducia relativa degli investitori internazionali nei due paesi presi in considerazione, spesso accomunati dai mercati per il loro rischio di insolvenza.

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Fonte: dati Bloomberg

Il grafico – relativo al 2016 – mostra che i italiani erano percepiti come meno rischiosi rispetto a quelli spagnoli durante il primo semestre 2016. La relazione si è invertita nella seconda metà dell’anno. Il differenziale di rendimento tra Btp e Bonos ha cominciato ad assottigliarsi dal mese di aprile. Lo spread Btp-Bonos è diventato positivo nei giorni compresi tra il referendum  britannico del 23 giugno e le elezioni spagnole del 26 giugno. Sono tante le ragioni che possono spiegare questa inversione di tendenza. Sul lato italiano a pesare su un aumento dello spread c’è l’incertezza  politica in vista del referendum, i dubbi sulla credibilità del risanamento dei conti pubblici italiani e la potenziale inefficacia dei piani di ricapitalizzazione proposti per alcune grandi banche italiane. Sul fronte spagnolo c’è il presumibile assestamento della situazione politica con la creazione del nuovo governo Rajoy con l’astensione del partito socialista. Distinguere quali fattori siano più importanti richiederebbe analisi più dettagliate.

(A cura di Matteo Laffi)

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  1. Cosa fa pensare che l’aumento sia legato al referendum sulle modifiche alla costituzione?

    • Ottima domanda! Si tratta di un equivoco: i parametri economici sono sfavorevoli e c’è chi è riuscito a far credere alla gente e ai mercati che in caso di una vittoria del si tutto cambierebbe, cioè che nel tempo rimanente della legislatura si farebbero le riforme economiche che in tre anni non si sono fatte e che alle successive elezioni politiche vincerebbero i veri riformatori, cioè una parte di quelli che sono al potere dal 2014; probabilmente pensano pure che le elezioni del 2017 in F e in D saranno seguite da una svolta nell’UE che consentirà maggiore flessibilità all’Italia. Questo per me è una partita di poker e se vince il bluff ci porta al disastro. Più nessuno parla di riforme strutturali a favore dell’investimento (privato) e della produttività, di spending review, di lotta contro lo spreco del denaro pubblico. Era quella la cura per ridurre lo spread. Adesso la parola d’ordine è investimento (pubblico), cioè spesa, flessibilità del deficit e aumento del debito. Se è così, gli spread aumenteranno; se la D si arrendesse, dovremmo guardare lo spread con la CH.

      • Luca_ba

        Non sono d’accordo, dubito che i mercati possano credere che tutto cambierebbe con il si al referendum. La verità è che bene o male questo governo era riuscito a dare un minimo di stabilità all’Italia in un momento di grossa crisi internazionale e quindi i mercati bene o male l’hanno premiato anche considerando che qualche timida riforma c’è stata. Di fatto da questa primavera tale stabilità è venuta meno e quindi il mercato ha reagito di conseguenza. Dubito quindi che a prescindere dal voto lo spread potrà cambiare, anche perché le altre forze politiche sono percepite come non affidabili. Se cambia sarà merito o colpa della Spagna l’Italia al momento può fare poco.

        • Henri Schmit

          Penso anch’io che il governo in carica abbia fatto cose positive; penso pure che la riforma costituzionale contenga elementi positivi. Penso però anche che il governo, nell’alternativa fra riforme consistenti e interventi svolti a raccogliere consensi, tenda decisamente verso quest’ultimi e che nella doppia riforma istituzionali prevalgano gli elementi destinati ad assicurare la permanenza al potere di chi già lo detiene rispetto a quelli per ammodernare la democrazia e rinforzare l’azione governativa. Gli analisti hanno ragione di temere per il futuro del paese: Con una vittoria del si rimane al potere un governo che in previsione delle prossime politiche continuerà a prendere misure popolari piuttosto che misure utili; con una vittoria del no invece il governo sarà ancora più debole e il futuro, proprio per colpa della doppia riforma, sarà una partita di poker (“ça passe ou ça casse”) dove tutto può succedere. In ogni caso gli spread vs. i vari benchmark aumenteranno. L’ipotesi peggiore è se l’UE concedesse sempre più “flessibilità”. I segnali che vengono dal commissario Moscovici sono pessimi.

  2. Copio la risposta di Alberto Mingardi dell’Istituto Bruno Leoni alla domanda del giornalista A. Franzi: “Si rischia un nuovo 2011?” – “No, sono situazioni imparagonabili. Ma la più grossa minaccia per il nostro Paese non è, credo, il referendum – prevede il direttore dell’istituto Leoni -, ma un rialzo dei tassi. A un certo punto avverrà, anche se non sappiamo quando. Allora, smetteremo di poterci indebitare a costo zero e i nodi verranno al pettine”. “Ancora una volta.” Fine citazione. Aggiungo io: qua si gioca con il fuoco, discutendo di referendum invece di occuparsi dell’economia, un fuoco che sarà alimentato dalla polvere da sparo accumulata nei portafogli crediti delle banche.

  3. Henri Schmit

    Lo spread si sta allargando. Ora siamo a 180 vs. Bund. Non è purtroppo per via del nervosismo creato dal referendum, ma per quello che c’è sotto. Spero che vinca il si (pur votando no) per avere la prova che sono i dati economici catastrofici che ne sono la causa e non la mancata riforma. Renzi parla bene, ma non fa abbastanza e spesso – per motivi squallidamente elettorali – fa pure le cose sbagliate. Merita una lezione, lo schiaffo della vittoria del no, non solo perché la riforma è mediocre e truccata, ma anche perché l’azione eco-finanziaria del governo è a dir poco deludente.

  4. Appena pubblicati due dati positivi uno sulla crescita migliore del previsto l’altro sulla riduzione di 12 miliardi del debito pubblico sceso a 2,212 M, lo spread migliora, e nonostante i sondaggi, pubblicati proprio ieri, sempre più neri sull’esito del referendum, pardon: plebiscito. Ma contro qualsiasi logica, anche di pura sopravvivenza, il presidente del consiglio (aiutato dai suoi valori ministri, Gentiloni e Padoan) ribadisce invece il nesso fra evoluzione dello spread e referendum. O non ha capito niente lui, o non capisco io. Continua ad attaccare l’UE, esattamwnte come fece Berlusconi prima del tracollo sulla propria inettitudine. Faccio una previsione: appena pubblicati i risultati del referendum – non importa il verdetto – tornerà alla ribalta la questione (dimenticata?) dei bilanci bancari e quindi salirà lo spread. L’incertezza accumulata in Europa e in America aumenta il rischio. Prima o poi la politica della BCE cambierà, e allora saranno guai per chi non si è messo in regola (conti pubblici e investimenti privati). E quello che spaventa i mercati.

  5. Alessandro

    Inutile girarci intorno….una politica forte fa bene all’economia, sono anni che si parla di riforme che in Italia si fanno sempre e solo per tramite di governi tecnici e quando si è alla canna del gas.
    Una riforma in senso “presidenzialista” dai mercati è letta sempre positivamente perchè sai che, chi vince riuscira’ ad attuare il suo programma (nel bene e nel male).
    Voglio vedere tutti quelli che votano no, come faranno passare una riduzione dei senatori o un’eliminazione delle provincie dopo il no…la politica sarà legittimata a dire: “il popolo le vuole ha votato no”.
    La riforma (che non è il massimo, ma il massimo possibile oggi) ha in se aspetti strutturali sul paese….
    Se vince il NO, la storia la conosciamo già: Governo tecnico -> Ricette Europee -> Aumento dell’IVA, ristrutturazione della tassazione sul patrimonio (IMU), e magari altra bottarella tra pensioni e sanità.
    Ma noi italiani siamo il massimo nella flagellazione! (leggasi il commento qui: spero vinca il SI, ma voto NO).

    • Henri Schmit

      Ho detto che spero che vinca il SI per avere la prova che lo spread sale lo stesso. Era quello il tema dei commenti. Il referendum e la riforma costituzionale (che di buono ha la riforma del titolo v e altre due i tre cose, mentre il resto è un inganno indegno) sono un pretesto per coprire il fallimento e la prova dell’inettitudine del governo: nonostante tassi storicamente bassi, l’ossigeno fornito dal QE e il petrolio a un terzo del prezzo di pochi anni fa, non è riuscito a risanare la situazione economica del paese: competitività, crescita, investimenti, occupazione, crisi bancaria. Il dopo referendum sarà un brutto risveglio, anche se vincesse il SI.

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