L’esecutivo che succederà al governo Renzi dovrà affrontare il dossier banche. Il caso più complesso è quello di Mps. Poi c’è la difficile situazione delle banche venete e qualche eredità di “salvataggi” passati. A complicare il quadro è arrivata la sentenza del Consiglio di Stato sulle popolari.
Il caso Monte dei Paschi
Quale che sia il nuovo esecutivo che nascerà dalle ceneri del governo Renzi, si troverà sul tavolo la patata bollente del dossier banche, con alcuni casi che rischiano di diventare esplosivi.
Il primo e più importante è quello del Monte dei Paschi di Siena. Il piano di risanamento messo a punto da JP Morgan e Mediobanca era già traballante in origine ed è diventato ancora più accidentato dopo l’esito del referendum e la conseguente incertezza sulla evoluzione del quadro politico in Italia.
Il piano si compone di tre tasselli. Il primo ha avuto un esito abbastanza soddisfacente per la banca, con la conversione “volontaria” di parte delle obbligazioni subordinate in azioni, che ha consentito a Mps di rastrellare circa un miliardo di capitale azionario. Si è trattato di un bail-in mascherato, ma almeno aveva condizioni vantaggiose dal punto di vista del prezzo, poiché offriva ai detentori un premio rispetto a quello di mercato delle obbligazioni. Gli altri due tasselli, aumento di capitale (per altri quattro miliardi) e vendita sul mercato dei prestiti deteriorati, sono ancora in alto mare. Le banche del consorzio che dovrebbe garantire l’aumento di capitale stanno alla finestra, prima di decidersi a convertire la pre-garanzia in una garanzia vera e propria, in base alla quale dovrebbero impegnarsi a comprare le azioni che dovessero rimanere invendute in una offerta pubblica. Allo stesso modo, i cosiddetti anchor investors, cioè i grandi investitori che dovrebbero comprare pacchetti sostanziosi di azioni per attirare nella partita anche gli altri più piccoli, aspettano di vedere quale sarà il nuovo governo. Perché il piano vada in porto occorre che tutti facciano la loro parte, quindi basta che uno di questi soggetti si tiri indietro e non se ne fa nulla.
A quel punto al successore di Renzi non resterà che attuare ciò che è nell’aria già dall’estate scorsa, cioè il salvataggio pubblico. Questo probabilmente comporterà una conversione forzata delle obbligazioni subordinate in azioni, a condizioni peggiori di quelle previste dalla precedente conversione “volontaria”. In realtà non sarebbe un esito obbligato secondo le regole europee: queste, come abbiamo già chiarito, consentirebbero di sospendere il bail-in (e anche il burden-sharing, cioè il bail-in limitato alle azioni e alle obbligazioni subordinate) nel caso di una banca di importanza sistemica. Ma è probabile che nella trattativa con la Commissione UE il governo italiano ceda al coinvolgimento degli obbligazionisti subordinati, prevedendo però un rimborso a favore di quelli al dettaglio. Questo, almeno, era lo stato della trattativa a luglio, e da qui si ripartirà nei prossimi giorni se, come probabile, il piano targato JP Morgan non andrà in porto. Intanto si è perso tempo prezioso.
In Veneto non è bastato Atlante
Dalla Toscana al Veneto, il fronte bancario presenta un’altra battaglia in corso, cioè quella della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Il sacrificio dei vecchi azionisti (il cui investimento è stato azzerato) e gli sforzi di Atlante non sono bastati. Rimane da gestire una fusione sulla quale pesano un elevato ammontare di sofferenze, i rimborsi promessi ai vecchi azionisti e un assai probabile aumento di capitale.
C’è poi l’eredità del “salvataggio” di un anno fa delle quattro banche: Etruria e le altre. Le good banks nate da quell’operazione devono ancora trovare un acquirente. O meglio, l’avrebbero trovato: Ubi Banca. Ma è probabile che questo istituto voglia aspettare che si chiarisca la situazione politica prima di impegnarsi definitivamente.
Intanto la più grande banca italiana, Unicredit, vende un gioiello di famiglia, la società di gestione del risparmio Pioneer, per ridurre l’entità di quello che si preannuncia come un aumento di capitale monstre, di cui non sappiamo ancora l’esatta entità.
La sentenza sulle popolari
Come se non bastasse, il governo dovrà correre ai ripari sulla riforma delle banche popolari. Con un tempismo che fa invidia alla Corte costituzionale, il Consiglio di Stato ne ha rimesso in discussione una parte, quella che permette alle banche popolari di sospendere o ridurre il diritto di recesso dei soci nella fase di trasformazione in società per azioni. Quando tutte le più importanti operazioni sono già avvenute e con le ultime due (Bari e Sondrio) in corso, il Consiglio di Stato non trova di meglio che dichiarare ammissibile un ricorso sul diritto di recesso e rinviarlo alla Corte costituzionale, creando una confusione normativa a meno di un mese dalla scadenza prevista dalla legge per la trasformazione obbligatoria di alcune popolari (quelle con attivo maggiore di 8 miliardi) in spa.
Insomma, Matteo Renzi può consolarsi: ha lasciato al suo successore un bollettino di guerra sul fronte bancario, che nessuno vorrebbe ereditare.
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Federico Menegatti
Buonasera, mi permetto di commentare ed eventualmente ottenere una risposta. Ho letto l’articolo e seguo l’evoluzione delle vicissitudini del martoriato comparto bancario italiano. I “salvataggi”, virgolettati correttamente nascondono un vero e proprio fallimento degli istituti di credito, tant’è che le famose 4 hanno chiuso e riaperto come nei più banali casi di “truffe con i soldi”. Appurato questo, si parla di nazionalizzazione, si prevede anche un “Ok” da Bruxelles, ma con che denaro? nuove tasse o attraverso QE? è possibile una terza strada dicimo di “fantafinanza”: breve premessa. All’interno della UE le banconote sono emesse dalla BCE la quale ne è proprietaria e pretende un tasso di interesse; la moneta intesa dal punto di vista letterale, invece, viene stampata dalla zecca di stato, nei regolamenti europei non vi sono indicazioni, mi corregga se sbaglio, riguardo a tagli o quantità stampabili, tant’è che il Slovenia vi sono monete da 3€, dalle mie parti si dice: “sei falso come una moneta da 3 euro”, bisogna ricredersi perchè ha corso legale nello Stato di emissione. Al di là delle battute, vi sono altre monete con vari tagli: 2.5-5-10 euro che non ricadono sotto la scure di Draghi. Da qui la proposta: perchè non emettere moneta in questi termini e portare a compimento le nazionalizzazioni, in maniera totale, degli istituti di credito sofferenti, salvaguardando, almeno parzialmente i risparmiatori?
Federico Menegatti
continuo. ipotizziamo in assurdo monete da 50€, sulla base dei 50€/c al costo di 9€/c l’una, con 9mln€ di costo per la zecca si stamperebbero 5mld necessari per il salvataggio MPS. Salvaguardando la sistemicità della banca ed il costo sociale derivante dal crack della banca più vecchia del mondo. Lo stesso ragionamento potrebbe valere per le altre banche. Questo sarebbe un reale salvataggio. Il seguito è altra fantapolica. Che ne pensa Professore?
Lorenzo
dire che una conversione volontaria, dove il retail molto probabilmente si salverà completamente è un Bail-In Mascherato…..è un po’ come dire che Amazon è una società fallita, mascherata da Leader incontrastato di mercato.