Nelle aree metropolitane si concentra una quota molto alta della ricchezza totale e dell’innovazione radicale. Ma se nel 2007 a produrre la metà del Pil mondiale erano le città occidentali, già nel 2025 saranno protagoniste quelle cinesi. L’attenzione di Pechino alle politiche di urbanizzazione.

La crescita è in città

A Guangzhou dal 6 all’8 dicembre l’International Urban Innovation Conference ha presentato i modelli di sviluppo e innovazione urbana di alcune tra le più grandi città del mondo.
Poiché la crescita di lungo periodo dipende soprattutto dalla capacità di innovare e l’innovazione tende a concentrarsi nelle aree più urbanizzate, sono le città i veri motori della crescita. Infatti, sebbene la si misuri spesso in aggregato, la crescita ha importanti connotazioni spaziali ed è strettamente connessa all’espansione metropolitana e all’urbanizzazione. Da come le più grandi aree urbane del mondo sapranno gestire il proprio sviluppo dipenderà gran parte della crescita futura.
Non è una novità che gran parte del Pil mondiale provenga dalle città. Secondo i dati del McKinsey Global Institute, nel 2007 le seicento città più grandi del mondo (City600) contavano per il 60 per cento del Pil mondiale. Il 50 per cento originava in 380 città di paesi industrializzati, di cui il 20 per cento da 190 città nordamericane. Le 220 città più grandi delle aree in via di sviluppo contribuivano per un altro 10 per cento. Anche oggi le maggiori aree urbane dei paesi industrializzati hanno dimensioni economiche gigantesche, spesso più di intere nazioni.
Nel 2025 le prime seicento città continueranno a produrre il 60 per cento del Pil mondiale, ma la composizione di City600 sarà molto diversa: il centro di gravità del mondo urbano si sposterà verso sud e ancor di più verso est. Un terzo delle città dei paesi industrializzati che oggi appartengono alle top 600 non lo saranno più, così come una su venti delle città dei paesi emergenti. Nel 2025, ci si aspetta che 136 nuove città entrino in classifica, tutte dai paesi emergenti. Soprattutto, cento di queste saranno cinesi.

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Grandi città e megalopoli

Anche in Cina – per quindici anni il motore principale della crescita mondiale – le città sono state protagoniste. E, sempre secondo le stime del McKinsey Global Institute, così sarà ancora da oggi al 2030, quando dai consumatori cinesi urbani dipenderà il 30 per cento della crescita del consumo globale (circa 7000 miliardi di dollari). Oggi, i consumatori urbani in età lavorativa nel paese asiatico sono 521 milioni; fra dieci anni diventeranno 628 milioni. Pechino, Guangzhou, Shanghai, Shenzhen avranno più di un milione di famiglie con reddito annuo sopra i 70mila dollari – lo stesso numero di famiglie che ha oggi Hong Kong in quella fascia di reddito. La spesa pro capite aumenterà da 4.800 a 10.700 dollari nel 2030, superando una soglia in cui quella per beni e servizi accelera rapidamente. La spesa annua delle famiglie in prodotti personali e ristorazione sarà più che raddoppiata. I consumatori cinesi viaggiano sempre di più, e secondo il China Outbound Tourism Research Institute, più di 100 milioni di loro si recheranno all’estero entro il 2020. Il nuovo esercito dei consumatori cinesi avrà i mezzi e, soprattutto, un’elevata disponibilità a spendere. Secondo il McKinsey Global Sentiment Survey del 2016, su più di 22mila consumatori in ventisei paesi, la popolazione in età lavorativa in Cina ha la propensione marginale al consumo più alta del mondo.
Nelle aree metropolitane del mondo si concentra una quota senza precedenti della ricchezza totale e dell’innovazione radicale. Come ha magistralmente spiegato Enrico Moretti, la produttività aumenta laddove il sapere viene condiviso tramite l’interazione costante tra gli innovatori, innescando in tal modo le esternalità del capitale umano. In questo senso le economie di agglomerazione sono più determinanti nell’economia della conoscenza che in quella industriale. La maggior produttività innesca un aumento dei salari, perciò le città hanno il potenziale di generare prosperità. L’evidenza empirica mostra che dove è stata perseguita e pianificata, l’urbanizzazione è stata fondamentale per la trasformazione economica di molti paesi negli ultimi decenni. Ne sono esempio molte delle grandi metropoli nei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), tra cui diverse aree metropolitane cinesi, quelle cosiddette di prima, seconda e terza fascia (come Shenzhen, Chengdu e Chongqing). Tuttavia le forze di agglomerazione non sono esenti dal generare diseconomie di scala. L’evidenza internazionale mostra che le megalopoli non sono cresciute più velocemente dei paesi che le ospitano. Le ventitré megalopoli di oggi — con popolazione di 10 milioni o più – contribuiranno per circa il 10 per cento della crescita mondiale da qui al 2025, cioè meno del loro peso economico (il 14 per cento sul Pil mondiale). Al contrario, 577 città con popolazione compresa tra 150mila e 10 milioni contribuiranno per oltre la metà della crescita globale. Entro il 2025, tredici di queste città saranno diventate megalopoli, dodici delle quali in paesi emergenti (la tredicesima è Chicago) e sette nella sola Cina. Per questo le politiche di urbanizzazione sostenibile e di innovazione urbana sono al centro dell’agenda di Pechino: dalla qualità della crescita delle aree urbane dipende il futuro economico e politico dell’intero paese.

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