La riforma dell’Irpef è necessaria perché la sua attuale struttura presenta molti problemi. Senza compromettere il gettito, quali sono i possibili interventi su aliquote e detrazioni? Da ripensare anche il ruolo delle addizionali regionali e comunali.
Aliquote marginali, medie ed effettive
Non è chiaro se la riforma dell’Irpef, che doveva caratterizzare la manovra di politica economica per il 2018, sarà davvero inserita nella prossima legge di bilancio. Tuttavia, si tratta di un tema da affrontare con urgenza. L’attuale Irpef presenta infatti un insieme articolato di criticità, che qui ci limitiamo a sintetizzare, senza alcuna pretesa di esaustività e nella speranza di rialimentare il dibattito.
Un primo problema riguarda l’elevato livello delle aliquote marginali e medie, e di quelle marginali effettive, che a causa di detrazioni decrescenti rispetto al reddito sono ancora più alte di quelle formali, soprattutto a redditi medio-bassi ( si veda qui e qui). La struttura delle aliquote è poco equa, tende a ridurre l’offerta di lavoro e la partecipazione al mercato del lavoro, soprattutto da parte delle donne e dei soggetti con redditi medio-bassi, tra cui si concentrano i giovani, e alimenta il sommerso. Per risolvere le criticità occorre non solo ridurre le aliquote formali, ma anche rivedere radicalmente il sistema delle detrazioni.
Anche per questo è tornata a circolare l’ipotesi di flat tax, che supererebbe gli scaglioni, ma con effetti redistributivi non desiderati. E se questi ultimi fossero mitigati da una forma di imposta negativa, vi sarebbero perdite di gettito difficilmente sostenibili.
Se si rimane nel quadro di un’imposta per scaglioni, ridurre le prime aliquote sarebbe costoso dal punto di vista del gettito perché coinvolgerebbe tutti i contribuenti, compresi quelli con redditi più elevati. Anche per questa ragione, è interessante la proposta di riduzione selettiva delle aliquote per i giovani che, pur criticata sul piano della compatibilità costituzionale, diluirebbe l’effetto di gettito lungo il ciclo di vita dei contribuenti.
In alternativa, si potrebbe agire sulle deduzioni e, soprattutto, sulle detrazioni, un’altra delle criticità dell’Irpef.
Detrazioni e 80 euro
La revisione delle detrazioni dall’Irpef lorda si inserisce in quella, più ampia, delle “tax expenditures” (si veda qui e qui). Le detrazioni Irpef, tuttavia, hanno una loro specificità. Quelle sul reddito da lavoro sono disegnate per creare la no tax area, modulare la progressività e attuare la discriminazione qualitativa dei redditi. La loro eventuale modifica incide direttamente su tutti questi aspetti, oltre a cambiare l’aliquota marginale effettiva. Le detrazioni per carichi familiari non soddisfano i criteri di equità orizzontale e verticale, sia per il problema degli “incapienti” che per la loro struttura, che non tiene adeguatamente conto dei costi e delle economie di scala delle diverse strutture familiari. Tra le proposte alternative, ci sono il quoziente familiare alla francese o il fattore famiglia, che però riducono ulteriormente gli incentivi al lavoro femminile, oltre a causare perdite di gettito. Andrebbe anche considerato l’assegno al nucleo familiare che, pur formalmente fuori dall’Irpef, contribuisce a rendere l’andamento dell’aliquota marginale effettiva ancora meno trasparente e del tutto irrazionale, con alcuni casi particolari in cui l’aliquota schizza a valori estremamente elevati. Una soluzione potrebbe essere la rivisitazione nella direzione di un assegno universale unico, correlato alla prova dei mezzi ( si veda qui e qui). Più in generale, la riforma dell’Irpef andrebbe condotta tenendo conto di tutti gli strumenti di welfare familiare esistenti. Mentre le detrazioni per oneri (spese mediche in primo luogo) sono utilizzabili solo in parte da chi ha redditi bassi.
È indubbio che la riforma dell’Irpef dovrà coinvolgere anche il bonus di 80 euro al mese per i dipendenti a reddito medio-basso introdotto nel 2014 e che ha molti difetti. Pur garantendo un forte calo dell’incidenza dell’imposta su buona parte dei soggetti interessati, infatti, non spetta agli incapienti, dipende dal reddito individuale e non da quello famigliare, produce aliquote marginali molto elevate tra 24mila e 26mila euro. L’idea di incentivare con un credito di imposta l’offerta di lavoro dei contribuenti a reddito basso è stata applicata in altri paesi (Usa, Francia) e si giustifica con l’aumento della polarizzazione dei redditi nel mercato del lavoro, ma andrebbe coordinata meglio con la struttura complessiva dell’Irpef.
Un altro aspetto che merita di essere approfondito è costituito dal ruolo delle addizionali regionali e comunali all’Irpef, che dopo l’abolizione della Tasi sulla prima casa sono diventate i principali strumenti di autonomia tributaria degli enti decentrati (per le regioni, assieme all’Irap). Vale la pena chiedersi se sia appropriato attribuire maggiori possibilità di scelta delle aliquote e delle basi imponibili, al di là dell’attuale blocco che non potrà durare per sempre, e quale sia il peso da dare all’attività redistributiva che si può esercitare con il tributo a livello locale. Le addizionali inoltre aumentano in modo non trasparente le aliquote medie e marginali effettive.
Intanto, l’evasione continua a essere un problema: i risultati degli ultimi anni sono meno confortanti rispetto a quelli dell’Iva e dell’Ires. Più che innovazioni sul terreno del disegno dell’imposta, servono cambiamenti di tipo organizzativo, che rendano possibile l’utilizzo effettivo da parte dell’amministrazione finanziaria della notevole quantità di dati in suo possesso.
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maurizio
sarebbe interessare capire quale, tra i paesi sviluppati, sia il paese in cui il calcolo delle simil-irpef sia più complesso (nel senso di pieno di voci) che da noi. E da questo partire per semplificare al massimo il calcolo.
Ma nessuno mi toglie dalla testa che la lobby dei commercialisti (come quella di avvocati et similia) sia da anni all’opera affinchè questo non avvenga.
wueydave
la lobby dei commercialisti et similia..
Marco
Lobby dei commercialisti rispetto all’IRPEF? Ma sa almeno che l’IRPEF è imposta sulle persone fisiche? Ok che anche le società di persone vi soggiacciono, ma si rende conto caro Maurizio di quanto ai commercialisti possa fregare dei compensi derivanti dai calcoli sulle imposte personali? Calcoli automatizzati, peraltro, nei software di studio? Forse intende allora una fantomatica lobby dei CAF! Maledetti CAF, con le loro assurde detrazioni per gli interventi di ristrutturazione edilizia che fanno emergere tutto il nero riscuotibile in quel settore, o le cattivissime spese antisismiche, o per disabili, o figli a carico etc. In generale, le lobby abbondano sulla bocca degli ignoranti in materia. Fonte: lobby degli scrittori di proverbi.
Maurizio Cocucci
Trovo interessante analizzare il sistema fiscale sui redditi delle persone fisiche in vigore in Germania (Einkommensteuer) per verificarne gli eventuali vantaggi rispetto a quello nostro. In sostanza mentre da noi ad ogni scaglione di reddito corrisponde una aliquota fissa, in Germania l’aliquota è progressiva linearmente (a parte le ultime due più elevate) all’interno di un intervallo delimitato da un valore inferiore e uno superiore. Esempio, fino a 8.820 euro annuo (dal 2017) vige la no tax area, poi l’imposta sul reddito delle persone fisiche parte dal 14% per crescere secondo progressione lineare fino al 23,97% per redditi di 13.769 euro annui. A seguire da 13.770 sale sempre linearmente fino al 42% per redditi pari a 54.057 euro e questa aliquota rimane fissa fino a 256.303 euro ed infine da 256.304 euro si trova l’ultima aliquota (anche questa costante) del 45%. La differenza è quindi intuibile rispetto al sistema nostro: è possibile abbassare maggiormente le aliquote dei redditi più bassi per incrementarle non ‘a scalini’ ma linearmente. In questo modo si disincentiva anche l’uso di artifici contabili per evitare il passaggio da una aliquota all’altra dato che con il sistema in uso in Germania il passaggio non è mai netto, bensì più ‘morbido’.
Marco
Il sistema progressivo tedesco, che lei prescrive, è analogo a quello per scaglioni IRPEF in vigore in Italia. Se lei sfora uno scaglione IRPEF italiano, pagherà la superiore percentuale di imposte dirette, difatti, solo sulla parte eccedente. Parla di artifici contabili senza sapere nemmeno quel che dice. Non capisco come la Redazione non filtri certi commenti.
Maurizio Cocucci
La Redazione sa di cosa sto parlando, diversamente da lei. I sistemi sono diversi come ho descritto ma forse questa differenza non l’ha compresa, allora lo rispiego: da noi ad ogni scaglione l’aliquota è fissa mentre in Germania è crescente tranne per gli ultimi due scaglioni. Se vuole approfondire, prima di replicare senza conoscere l’argomento, può cercare (anche su Wikipedia) Einkommensteuer in Deutschland tramite qualsiasi motore di ricerca e trova una sufficiente illustrazione sia descrittiva che matematica della funzione lineare di progressività alla quale il sistema tedesco fa riferimento.
Michele
Basta guardarsi attorno in una qualunque città italiana per rendersi conto che, in un paese dove solo 34.022 contribuenti (pari allo 0,08% del totale – dati MEF) dichiarano più di € 300.000 all’anno, la riforma dell’IRPEF e di tutto il sistema fiscale è assolutamente vitale e urgente per evitare il declino del paese, con tutto quello che ne consegue sul piano del vivere civile.
Lelio Violetti
Nell’articolo sono evidenziate gran parte delle criticità segnalate anche dalla nostra Associazione per la Legalità e l’Equità fiscale (LEF – http://www.fiscoequo.it), di cui sono membro del direttivo, nell’“Indagine conoscitiva sulla struttura dell’imposta sul Reddito delle PErsone Fisiche (Anni d’imposta 2003-2014)”; indagine realizzata sui dati statistici delle dichiarazioni dei redditi pubblicati annualmente sul sito del Dipartimento delle Finanze e giunta ormai alla quarta edizione.
Manca, a mio parere nell’articolo una valutazione dei costi amministrativi relativi alla gestione dell’imposta che è forse la principale criticità che caratterizza la nostra IRPEF.
Mentre l’evasione è sempre più un fenomeno di massa la cosiddetta “stagione delle dichiarazioni” impegna in Italia milioni di persone, tra contribuenti, CAF e consulenti, per un lungo periodo di tempo.
La richiesta delle agevolazioni (detrazioni, deduzioni e crediti) in Italia muove centinaia di milioni di documenti. Si può con buona approssimazione stimare che a breve saranno trattati, digitalizzati o fotocopiati oltre 200 milioni di pezzi di carta.
È uno spreco impressionante di energie (tempo e denaro) anche in considerazione del fatto che circa dieci milioni di contribuenti, un quarto del totale, quelli più bisognosi, non potranno usufruirne perché incapienti.