La sanzione che la Consob può essere infliggere per l’illecito amministrativo di insider trading è tutt’altro che lieve. Anzi la Consulta la definisce punitiva. Però ne ammette la retroattività, perché sarebbe un regime più favorevole rispetto al passato.
Sanzione punitiva per l’insider trading
Secondo la Corte costituzionale, la Consob può legittimamente confiscare all’autore di un insider trading denaro e beni per un importo corrispondente al valore del profitto dell’illecito, anche se una simile sanzione non era prevista dalla legge quando il fatto è stato commesso.
La sorprendente affermazione è contenuta nella sentenza n. 68/2017, pubblicata lo scorso 7 aprile, con la quale i giudici di Palazzo della Consulta hanno dichiarato inammissibile una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla seconda sezione della Cassazione civile, per una norma che stabilisce l’applicabilità di questa forma di confisca – denominata confisca “per equivalente” – anche ai fatti commessi prima del 2005, quando la sanzione fu per la prima volta introdotta nell’ordinamento italiano in relazione agli illeciti amministrativi di abuso di mercato.
La Corte costituzionale, in verità, ha riconosciuto che la confisca per equivalente costituisce una sanzione punitiva, come tale soggetta al quadro di garanzie che la Costituzione italiana e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo prevedono per la materia penale, tra le quali il divieto di applicazione retroattiva delle nuove pene introdotte dal legislatore. Tuttavia, la Corte ha considerato che i fatti di insider trading sanzionabili oggi soltanto con sanzioni amministrative da parte della Consob erano già previsti come reato prima della riforma del 2005, ed erano soggetti allora alla pena della reclusione fino a due anni, nonché a una pena pecuniaria. Trasformando il reato in un mero illecito amministrativo, e facendo così venir meno la possibilità di applicazione della pena detentiva, il legislatore del 2005 avrebbe introdotto un regime sanzionatorio complessivamente più favorevole, che potrebbe essere applicato senza difficoltà anche ai fatti pregressi, senza alcuna violazione del divieto costituzionale.
Tradotta in termini più prosaici, la logica della Consulta è più o meno la seguente: se hai commesso una condotta di insider trading prima del 2005, ringrazia il cielo che il legislatore ti risparmia oggi la galera; e non lagnarti della sanzione pecuniaria irrogata dalla Consob, che – non coinvolgendo la libertà personale – è certamente più favorevole rispetto a quella precedente.
Perché non è un regime più favorevole
Che le cose stiamo proprio così, però, è lecito dubitare. Come ho sottolineato in un altro più ampio intervento, la sanzione che può essere inflitta dalla Consob per l’illecito amministrativo di insider trading è tutt’altro che una bagatella. Prima del 2005, il soggetto rischiava una modesta pena detentiva condizionalmente sospesa, assieme a una multa probabilmente contenuta in qualche decina di migliaia di euro. Oggi la sanzione pecuniaria amministrativa può arrivare fino a 15 milioni di euro; e a tale somma dovrà aggiungersi quella colpita dalla confisca per equivalente, che non ha tetto massimo, dal momento che il suo ammontare dipende dall’entità del profitto che il soggetto ha ricavato dall’operazione. Sostenere che la riforma abbia in definitiva migliorato la posizione del soggetto, mi pare davvero difficile.
Ma tant’è: la Corte costituzionale ha avallato, con questa sentenza, una pericolosa deroga al principio di non retroattività della sanzione penale. E lo ha fatto proprio nel contesto di una sentenza in cui – meritoriamente – aveva riconosciuto che la confisca per equivalente irrogata dalla Consob, proprio perché così rilevante, ha una “colorazione penale”. Peccato che da questa importante considerazione, suscettibile di aprire la strada al riconoscimento di maggiori tutele per l’individuo di fronte alla potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, la Corte non abbia tratto le necessarie conseguenze rispetto alla specifica sanzione sottoposta al suo esame.
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Federico Grillo Pasquarelli
Non sono assolutamente d’accordo. La libertà personale è un bene incommensurabile rispetto al patrimonio. Provare per credere
Federico Grillo Pasquarelli (magistrato, che ha anche mandato in galera qualcuno, mai a cuor leggero)