Tribunali sovraccarichi per i ricorsi dei richiedenti asilo cui è stata negata la protezione internazionale e un sistema di espulsione del tutto inefficace: il decreto Minniti-Orlando affronta le due questioni. Ma non sembra risolvere i veri nodi critici.

Riforma del diritto d’asilo

Il 12 aprile è stato approvato il decreto Minniti-Orlando. Apporta tre principali novità al governo dell’immigrazione: riforma giudiziaria in tema d’asilo, riforma di parte del sistema di prima accoglienza e possibilità d’impiego dei migranti in lavori socialmente utili. Ci concentreremo qui sui primi due punti.
La mini-riforma processuale affronta il tema del sovraccarico dei tribunali, causato dai ricorsi contro le decisioni sulle richieste d’asilo.
Il diritto d’asilo è particolarmente tutelato nel nostro paese, che è uno dei pochi, con Germania e Repubblica Ceca, a inserirlo esplicitamente tra i diritti costituzionali (art. 10). In Italia la richiesta di protezione internazionale garantisce poi il rilascio di un permesso di soggiorno valido per tutto il tempo necessario all’esame della domanda e dell’eventuale ricorso. Venti commissioni territoriali, composte da funzionari del ministero dell’Interno, esaminano le richieste ed esprimono un giudizio sentito il richiedente. Il diniego della protezione è soggetto a ricorso.
I numeri suggeriscono (figura 1) che le commissioni territoriali non sembrano in grado di far fronte a tutte le richieste, molto spesso rifiutate (figura 2) e quindi causa di ricorso. Il fenomeno è evidente anche su base mensile (figura 3). Tuttavia, le cifre vanno esaminate tenendo conto della debolezza comunicativa e della scarsa preparazione dei richiedenti asilo oltreché delle consistenti barriere linguistiche.

Figura 1 – Il sovraccarico delle Commissioni Territoriali

Fonte: Commissione Nazionale per il Diritto d’Asilo

Figura 2 – Esito delle richieste (2016)

Fonte: Commissione Nazionale per il Diritto d’Asilo

Figura 3 – Dati mensili disaggregati (2017)

Fonte: Commissione Nazionale per il Diritto d’Asilo

La lunghezza dei procedimenti giudiziari – 268 giorni in primo grado e 407 in appello – contribuisce a inasprire l’ingolfamento del sistema.
La riforma Minniti-Orlando potenzia in primo luogo il personale delle commissioni territoriali e istituisce 26 sezioni interne ai tribunali composte da giudici con competenze specifiche in materia di immigrazione e protezione internazionale.
La misura principale – e più controversa – riguarda però l’abolizione del secondo grado e dell’udienza in primo grado. È previsto ora un rito camerale in cui il giudice potrà visionare il colloquio avvenuto di fronte alla commissione territoriale o ascoltare il richiedente in prima persona. Di fatto, il colloquio davanti alla commissione diventa così un primo grado di giudizio, nel quale però la sentenza viene emessa da funzionari e il richiedente non è assistito da un legale.
Secondo diversi giuristi e la stessa Associazione nazionale magistrati, l’abolizione dell’udienza andrebbe a ledere in particolare gli articoli 111 e 24 della Costituzione, che sanciscono il diritto al giusto processo e il diritto alla difesa, e l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sul diritto al contraddittorio. In aggiunta, poiché la Cassazione esprime solamente un giudizio di legittimità, l’abbinata abolizione del secondo grado e modifica del primo rischia di ridurre in modo consistente le garanzie dei richiedenti.

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Riforma dei Cie

La rete di prima accoglienza è attualmente composta da diverse tipologie di centri, tra cui spiccano i quattro Cie (centri di identificazione ed espulsione), dove chi ha ricevuto un decreto di espulsione può essere trattenuto per un massimo di 18 mesi.
Dalla loro introduzione, i Cie si sono caratterizzati per il sovraffollamento, i servizi e le strutture scadenti, le condizioni di vita quasi carcerarie, i tanti casi di suicidi e violenze. In più, a causa di inagibilità, danneggiamenti, manutenzioni, solo uno su quattro sfrutta la sua capacità effettiva, mentre nessuno satura la capacità teorica.
A testimoniare la strutturale inadeguatezza del sistema, nel 2015 su 34.107 stranieri espulsi, solo 15.979 (circa il 46 per cento) sono stati allontanati: 12.236 sono stati respinti alle frontiere o rimandati nel paese UE dal quale sono entrati e solo 3.688 sono stati effettivamente rimpatriati. Tra coloro che sono stati allontanati, meno di un terzo è transitato per i Cie, che sembrano avere più finalità di deterrenza e rassicurazione dell’opinione pubblica interna.
Non aiuta poi l’inefficienza del sistema di rimpatrio e riallocazione: alla fine di dicembre 2016 sono state riallocate solo 2.350 persone sulle 40mila previste dal piano europeo, mentre il programma di ritorni volontari assistiti (Rva) ha coinvolto appena 3.562 individui in cinque anni (2009-2014).
La riforma non cambia l’impostazione di fondo del sistema di espulsione e mantiene inalterata la logica dei Cie, trasformandoli in Cpr (centri permanenti per il rimpatrio). I Cpr sono progettati per avere una capienza piccola e diventano venti, uno per ogni regione, da posizionare vicino agli aeroporti e lontano dai centri abitati. Tuttavia, i 1.600 posti indicati dal decreto sembrano ancora inadeguati alla dimensione del fenomeno.
Il decreto affronta un chiaro quadro di lentezza giudiziaria e inefficienza del sistema di espulsione velocizzando i ricorsi e potenziando le strutture. Tuttavia, oltre le critiche sul piano dei diritti, ci si interroga se non si tratti ancora una volta di risposte che non affrontano i nodi critici.
Come non li affronta la legge sull’immigrazione, che garantisce un visto per lavoro solo a chi è assunto quando ancora risiede nel paese di origine, rendendo difficile avvalersi di procedure di regolarizzazione alternative a quella della protezione internazionale. L’ultimo decreto-flussi, ad esempio, prevede 30mila ingressi per il 2017, ma è rivolto a chi è già in Italia regolarmente e ai lavoratori stagionali.
Il diritto di asilo previsto dalla Costituzione, poi, per evidenti ragioni storiche è incentrato sulla protezione dei perseguitati politici: anche se ormai fortemente esteso dagli impegni internazionali, mal si adatta al fenomeno migratorio contemporaneo.
Eppure, un’analisi comparata delle cifre chiarisce che, in realtà, la crisi migratoria in Europa è un problema controllabile e di dimensioni abbastanza circoscritte (figura 4). Tuttavia, resta urgente una riforma più profonda di un sistema che deve rispondere a un fenomeno molto diverso rispetto al passato (figura 5).

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Figura 4 – Numero di rifugiati per 1000 abitanti

Fonte: Commissione Nazionale per il Diritto d’Asilo

Figura 5 – Serie storica delle richieste d’asilo

Fonte: Commissione Nazionale per il Diritto d’Asilo

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