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Secondo turno in Francia, i rischi di una vittoria a metà

Al primo turno quasi la metà degli elettori francesi ha votato per candidati che mettono radicalmente in dubbio i principi su cui è costruito il processo di integrazione europea. E Macron ha ora il difficile compito di ottenere un mandato pieno.

Francia divisa

Se pensiamo a quanto sembrasse prossimo il baratro, certamente il voto francese del 23 aprile è stato un sollievo. Ma se è stato evitato il peggio, un secondo turno tra Marine Le Pen e Jean-Luc Mélanchon, il quadro che emerge è quello di una Francia profondamente divisa sulle grandi questioni economiche del nostro tempo, la globalizzazione e l’integrazione europea: anche se prevalesse Emmanuel Macron – come fanno presagire i sondaggi – lasciarsi andare ai trionfalismi sarebbe ingenuo e pericoloso.
Sommando estrema destra ed estrema sinistra, al primo turno quasi la metà degli elettori (48,5 per cento per la precisione) ha votato per candidati che mettono radicalmente in dubbio i principi di liberalizzazione e apertura su cui si è costruito il processo di integrazione europeo degli ultimi sessanta anni. I toni sono diversi, ma la diagnosi del Front National e del Nouveau Parti anticapitaliste, della France insoumise e di Debout la France è molto simile. La Francia soffre di troppo liberalismo e di troppa Europa e solo un ritorno al nazionalismo e al patriottismo economico (venato di xenofobia nel caso di Fn) potrebbe offrire protezione, sia sociale, sia politica. Di fronte allo scetticismo, particolarmente radicato nelle zone del paese più esposte alla concorrenza internazionale, i discorsi dei media tradizionali, degli intellettuali e delle tecnostrutture sono sempre più percepiti come astratti e in mala fede. Una narrativa demagogica cui è ricorso anche François Fillon, che si è appoggiato sui cattolici conservatori di Sens commun per accusare François Hollande e i magistrati di ordire un grande complotto ai suoi danni e favorire Macron, candidato della finanza internazionale senza volto e senza patria.

Tanti problemi per Macron

La grande sfida per Macron nelle ultime due settimane è stata convincere il 76 per cento dei francesi che non lo hanno votato che la sua formula centrista è radicalmente progressista. Per questo ha cercato di dimostrare empatia verso i ceti medi e i lavoratori a bassissimo reddito delle zone periurbane, così come nei confronti dei disoccupati (intorno al 10 per cento) e di chi ormai è talmente scoraggiato da aver rinunciato a cercare un lavoro. Per esempio, per convincere gli abitanti di Amiens – la sua città natale, dove la Whirlpool ha chiuso uno stabilimento per trasferirsi in Polonia e dove Mélanchon e Le Pen hanno raccolto più del 43 per cento di voti – che erigere barriere non porterebbe da nessuna parte. Ma soprattutto che in una Francia aperta e accogliente, dove si rispetta l’ecologia e fioriscono le start-up della French Tech, c’è spazio per tutti, non solo per chi ha un’istruzione di eccellenza e volteggia sulle onde della globalizzazione felice.
Fare leva solo sulle paure della vittoria del Fn, invece, non sarebbe sufficiente. Brexit, Donald Trump e referendum italiano del 4 dicembre hanno mostrato che il cielo non cade semplicemente perché gli elettori rifiutano la politica dei partiti e privilegiano il populismo. Una delle cause della sconfitta di Hillary Clinton, invece, è stata la sua incapacità di capire le ragioni del successo inatteso di Bernie Sanders e del suo socialismo in un solo paese.
Senza dimenticare il rischio che, con l’apparente certezza della sconfitta lepenista, molti elettori di sinistra facciano la scelta dell’astensionismo, anche perché lunedì 8 maggio è festivo e in Francia i weekend lunghi sono quasi sacri.
Tocca a Macron, dunque, il non facile compito di arrivare all’Eliseo con un mandato pienamente rappresentativo – ovvero raggiungere la barriera simbolica del 60 per cento dei voti con il 70 per cento di partecipazione (che equivarrebbe al 42 per cento degli aventi diritto al voto, rispetto al 66 per cento per Jacques Chirac nel 2002 e al 41 per cento per Hollande nel 2012).
La tappa successiva, le elezioni politiche di giugno, si annuncia oltremodo ricca di incognite. È improbabile che En marche! conquisti abbastanza seggi per governare da solo, ma anche che ci riesca il centro-destra duramente sanzionato al primo turno. Si prospetta allora una grande coalition. Ma la Francia, col suo sistema maggioritario, non ha nessuna tradizione con la formula, fatta necessariamente di sintesi e di compromessi, cioè esattamente quel modello di politica che gli elettori francesi hanno rifiutato.

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  1. Henri Schmit

    In F come in I, D e UK l’opinione pubblica viscerale-emotiva (in opposizione a quella discorsiva-ragionata) accusa confusamente i governanti e i poteri di fatto come responsabili del dissesto pubblico e privato e delle crescenti disuguaglianze e denuncia l’incapacità della politica tradizionale di riconoscere la gravità dei problemi e di proporre soluzioni. Hanno ragione. In assenza di risposte convincenti i disperati e perdenti seguiranno le voci di protesta distruttiva, i movimenti che sfruttano il malessere endemico e l’inadeguatezza (e in alcuni casi l’impostura) dei governanti. Wilders, Farrange, Le Pen, Salvini, Grillo, tutti cavalcano la stessa onda che ha rinforzato pure il fronte del no al referendum del 4/12. Ma la demagogia di breve respiro contagia anche i governanti: Orban, Trump, i Tories della Brexit (che hanno ragione solo se l’UE fallisce) e Renzi, populista nella politica fiscale, ambiguo con l’UE, imbroglione sulle riforme. Tutti comunque dipendono dal voto e la F non è un isola; i candidati anti-sistema con programmi irrazionali di chiusura raccoglieranono voti tanto che manca una proposta alternativa convincente. Il compito di Macron sarà immenso. Non so se si rende conto quanta rivoluzione ci vorrebbe davvero, se ha le capacità e i mentori per pensare e spiegare soluzioni radicali e ambiziose, e il coraggio e una maggioranza per applicarle. Con gli slogan del passato non faremo che accentuare il declino che segna gli ultimi 10, 15 e forse più anni.

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